“Il Tempo”: così si intitola il nuovo romanzo di Giovanna Breccia, Editrice Italia Semplice, 2020, pp.141, € 16
Fiorella Gobbini traccia un’analisi profonda del testo, proponendoci una recensione fine e intensa:
Ci domandiamo che cosa sia veramente il tempo, questo titano che tutto divora, che tutto sottomette alla sua legge. Ci chiediamo se sia lui a inseguire noi, costringendoci a fare, progettare, realizzare, con la sensazione di non avere tregua, o siamo noi a inseguire lui, cercando di tenerci al passo, il più delle volte senza riuscirvi, e chiedendone dunque di più e di più, in genere senza il minimo successo.
Incapaci di dare una risposta all’ozioso dilemma, lo lasciamo cadere e concentriamo la nostra attenzione sulla protagonista del romanzo: la colta, raffinata scrittrice che ha deciso di regalarsi, in occasione del suo ottantesimo compleanno, un viaggio. Un viaggio solitario, sì, ma popolato di monologhi, dialoghi, figure, eventi visti e rivisitati attraverso la magica lente, ora di ingrandimento ora di ridimensionamento, della memoria.
Quel viaggio è guidato dalla volontà di “andare lontano, il più lontano possibile, vedere, conoscere, scoprire l’ignoto per avere infine paradossalmente il piacere del ritorno al noto”. (p.23)
E in fondo non è forse un po’ così per tutti noi? Non partiamo forse anche noi assaporando, più o meno inconsapevolmente, il piacere del ritorno alle cose che conosciamo e che già sappiamo ci mancheranno mentre saremo lontani?
Nel silenzio dell’aereo che la porterà a Mosca, sprofondata in una specie di “coma sentimentale”, la protagonista ripercorre le tappe della sua esistenza, con il favore della notte che si è ormai impossessata del cielo. “La notte è lo spazio dell’anima, la distensione del tempo, il luogo ove dimora la verità che si nasconde dietro l’abbaglio del sole”. (p.60)
La verità della sua vita è un caleidoscopio di emozioni, sentimenti, ricordi, persone e accadimenti che hanno lasciato un segno nella sua anima e nel suo corpo. Ci sono stati i successi negli studi e nella professione. Ci sono state le gioie, le conquiste e le perdite. Ci sono stati i dolori, anche grandi e profondi, ma ella non ha perso il coraggio, la voglia di conoscere la vita e di guardare con fiducia al futuro, perché ogni vita, “anche la più disperata, è in sé un capolavoro unico, ricco di pensieri, emozioni, delusioni, illusioni e soprattutto speranze, perché è sempre e solo la speranza il grande motore che vince l’inerzia che vorrebbe accelerare il nostro ritorno all’inorganico”. (p.19)
Nelle circa quattro ore di volo che separano Roma da Mosca, nel dilatarsi dello spazio esteriore e del tempo interiore, dalla rivisitazione degli eventi e dall’analisi delle motivazioni profonde da cui sono scaturite le scelte, libere o obbligate, e i conseguenti successi o fallimenti, l’anziana scrittrice trarrà il senso del suo presente e lascerà emergere, in nome del continuo divenire della vita, la volontà di “fare posto ad altre esperienze, nuove, poche forse ma essenziali, frutto proprio di questo viaggio “. (p.141)
Terminata la lettura di questo nuovo, coinvolgente romanzo psicologico di Giovanna Breccia, davanti agli occhi della nostra fantasia rimane la sembianza non solo e non tanto della poliedrica ottuagenaria, bensì della bionda, affascinante, giovane donna, dalla vita intensa e dalla mente apertissima, che è stata e che in fondo è ancora, perché nel guscio, pur ferito e ammaccato, della sua interiorità palpita una scintilla tuttora viva e splendente.
In una sorta di processo di introiezione e come in uno specchio magico, quel guscio ci rimanda l’immagine del nostro stesso guscio, anch’esso, seppur diversamente, ferito e ammaccato, ma capace altresì di custodire al suo interno una scintilla viva, sempre nuova e tuttavia immutata, ineluttabilmente proiettata verso quella dimensione di non-tempo che chiamiamo eternità.
Redazione