Il punto su un delitto rimasto purtroppo, nella storia criminale e civile di Roma, come un altro caso di “nera” irrisolto, senza alcuna conclusione definitiva riguardo a colpevoli e movente: proprio come per Via Poma e, in tempi piu’ recenti e fuori dell’ Urbe, i casi di Perugia e Garlasco. Parliamo del “delitto dell’armadio”: l’assassinio, l’11 aprile 1994, della consulente del lavoro Antonella Di Veroli, trovata morta, il giorno dopo, in un armadio della sua camera da letto. Caso sul quale fa il punto il saggio del giornalista e scrittore romano Mauro Valentini, “40 passi-L’omicidio di Antonella Di Veroli” ( Roma, Sovera Edizioni, 2015, €. 15,00).
Per questo caso, nell’ottobre 2011 si è riaperta l’inchiesta, condotta, come nel ’94, dal p.m. Nicola Maiorano. Speriamo davvero che i progressi tecnologici degli ultimi vent’anni consentano di valutare meglio i reperti d’un’indagine che – come documentato da Valentini – fu condotta in modo a dir poco dilettantesco, con errori, negligenze e omissioni incredibili.
Antonella Di Veroli, 47 anni, consulente del lavoro residente nel quartiere romano di Talenti, in Via Domenico Oliva 8, viene uccisa, a tarda sera dell’ 11 aprile 1994, da una persona che conosceva bene(cui lei ha aperto tranquillamente la porta di casa): che, dopo averle sparato in testa due colpi d’arma da fuoco di piccolo calibro (peraltro, secondo l’autopsia, non determinanti), la chiude in un armadio, avvolgendole la testa in un sacchetto di plastica che ne causa la morte per asfissia. Il corpo viene ritrovato, il pomeriggio del giorno dopo, da un gruppo di familiari e amici, guidati dal sessantatreenne commercialista Umberto Nardinocchi (già legato alla vittima da rapporti affettivi e d’amicizia): che sarà poi a lungo interrogato in tribunale, solo come testimone (e’ davvero impensabile per lui – che, tra l’altro, ha un alibi inattaccabile – un’imputazione d’omicidio). Ma le indagini si concentrano sul fotografo professionista Vittorio Biffani, 51 anni: che risulta aver avuto, con la vittima, una lunga storia d’amore.
Il processo si apre a febbraio 1996. Le udienze evidenziano i tanti lati non convincenti dell’impianto accusatorio contro Biffani. Dallo scontrino d’un bar di via Nomentana (dove Antonella, la sera del delitto, avrebbe comprato una bottiglia di spumante), trovato in possesso di Biffani, ma la cui matrice sembra esser stata sequestrata da misteriosi agenti in borghese, al pianale dell’armadio in cui la donna è morta, contenente un’impronta di scarpa del probabile assassino. Pianale perso nel deposito dell’ufficio corpi del reato di Roma (fatto, questo, che fa pensare a possibili complicità con l’autore del delitto; e davvero richiama la negligenza mostrata, a suo tempo, nelle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini, con le tracce di sangue sul tetto della sua macchina cancellate da un improvviso acquazzone).Sino ai risultati dello STUB, la celebre prova del “guanto di paraffina”: che, nel caso di Biffani, al processo d’appello del 1999 risulteranno riferirsi incredibilmente a un’altra persona…
La Cassazione, infine, nel 2000 confermerà le sentenze di primo e secondo grado, assolvendo definitivamente Vittorio Biffani: che, però, morirà a luglio 2003, stroncato dalla malattia causata – come già per Enzo Tortora – dallo stress subito per anni. Il delitto Di Veroli resterà per sempre impunito?
di Fabrizio Federici