L’assalto al Congresso degli Stati Uniti d’America non è affatto un’incuria democratica; si tratta di un sintomo preesistente trascinato a lungo per alimentare il solo e unico creatore che abbia mai poggiato piedi sul suolo americano: ma stavolta lo stesso creatore Donald J.Trump è abissato per la ‘marea’ causata dai facinorosi esposti. È la fine del Trumpismo?
Imprevedibile da dire, fin qui non si ritirano -i propri- per timore di fiaccare il consenso, così pare che la dottrina trumpiana o trumpista non solo (resisterà), ma adotterà altrettante trasformazioni con il solo conto di rivendicare la sconfitta elettorale nei confronti del neoeletto Biden, passato per (cuor di leone) dopo aver richiamato alla responsabilità il Presidente uscente.
“Non andrò alla cerimonia di insediamento il 20 gennaio” -fa sapere Trump- poi aggiunge:
(I 75 milioni di grandi patrioti americani che hanno votato per me, per l’America prima, e per rendere l’America di nuovo grande, avranno ancora una voce gigantesca in futuro.)
Ciò significa che non ha digerito la sconfitta, e queste parole acclamate con prestigio nasconderebbero un sasso ‘ben più pesante’. Intanto sul piano Internazionale si guarda agli USA come continente crepuscolare: capace di vedere -giorno e buio- “alla stessa ora”.
Pronti a snobbare il protagonismo di Trump?
Trump non è fuori dalla scacchiera. Certamente non sarà la sua ultima apparizione; ma da qui in poi la società americana dovrà confrontarsi con un linguaggio più moderato come chiosano i saggisti (politically correct) altrimenti l’opposto prolifera la violenza, il crimine, quel disappunto promiscuo che porterebbe a legittimare il Parlamento come scatola vuota. Per la storia, “gutta cavat lapidem”.
Alessandro Ungaro