Siamo nell’era dell’economia digitale, fondata su modelli di business che si avvalgono sempre più spesso dell’intelligenza artificiale e del machine learning: metodo di analisi dati che automatizza la costruzione di modelli analitici e si basa sull’idea che i sistemi possono imparare dai dati, identificare modelli autonomamente e prendere decisioni con un intervento umano ridotto al minimo.
Una delle nuove forme di organizzazione dei sistemi produttivi e dell’economia digitale è la “gig” economy: modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo.
Non si conoscono le origini di questa espressione ma si ipotizza che, come riportato in un articolo da La Stampa https://www.lastampa.it/cultura/2018/02/24/news/che-cos-e-la-gig-economy-1.33984250 questa locuzione attinga dallo slang dei jazzisti statunitensi, in cui “gig” – contrazione di engagement – indica la prestazione occasionale per la quale i musicisti venivano scritturati senza molte formalità e con compensi esigui.
In italiano si traduce come “economia dei lavoretti”, corrispondendo in teoria a mestieri, piccole attività, da svolgere a tempo perso, come secondo lavoro.
Nella pratica, tuttavia, tale modello organizzativo, consiste in un lavoro affidato a freelance molto spesso gestito dalle piattaforme con formule di organizzazione come quelle da lavoro dipendente.
La diffusione di siti e software che mettono in contatto domanda e offerta ha creato un nuovo modo di lavorare: i fattorini di consegne a domicilio per Glovo, Foodora, Deliveroo, la locazione di una camera, il baby sitting di una sera o la ripetizione privata, Airbnb o Uber sono solo gli esempi più diffusi di “gig” economy.
La velocità del progresso non sempre, però, coincide con la progressione di tutele e garanzie legislative per le nuove figure professionali che si fanno profilando.
Infatti, i diritti di alcuni di questi lavoratori, sono a rischio non solo per quel che riguarda le condizioni di lavoro – basti pensare agli incidenti stradali, talvolta mortali, di cui sono stati vittime i riders – ma anche con riferimento all’accesso, alle tutele previdenziali e ai diritti collettivi.
In particolare, quello che negli ultimi tempi ha destato non poca perplessità è l’algoritmo che organizza il lavoro dei riders, ne controlla l’operato, misura le prestazioni, pianifica le ricompense e gli stimoli, prevede meccanismi di promozione, appronta dispositivi istantanei di feedback e contestazione.
Proprio l’algoritmo di Deliveroo, ha originato un procedimento definito con l’ordinanza del 31 dicembre 2020 del giudice del Tribunale di Bologna, sezione lavoro che ne ha sancito la natura discriminatoria.
Deliveroo Italy s.r.l. – azienda multinazionale operante nel settore delle consegne del cibo a domicilio – per lo svolgimento delle proprie attività, si avvale di un modello organizzativo basato su una rete di riders, qualificati dalla società come parasubordinati.
La distribuzione del lavoro tra i riders avviene attraverso una piattaforma digitale che provvede – tramite un complesso sistema di pianificazione – alla distribuzione e gestione dei flussi di lavoro tra coloro che si sono resi preventivamente disponibili prenotando sessioni di lavoro.
Al fine di svolgere la propria attività, i riders devono installare sul proprio smarthphone un software (c.d. “app”), che genera un profilo personalizzato tramite il quale possono registrarsi e accedere alla piattaforma digitale della società, mediante un sistema selettivo di prenotazione delle sessioni di lavoro.
Tale sistema di prenotazione è basato su un punteggio, attribuito dall’algoritmo a ciascun rider ed elaborato su due parametri: affidabilità e partecipazione.
Ciascun rider viene quindi periodicamente “profilato” tramite statistiche elaborate dalla società che valutano il tasso di rispetto delle ultime giornate di lavoro dallo stesso prenotate e non cancellate nel termine di 24 ore come previsto dal regolamento.
Secondo le condizioni d’impiego di Deliveroo, qualsiasi “cancellazione”, ovvero annullamento della prenotazione della sessione con un preavviso inferiore alle 24 ore, determina per il rider una penalizzazione delle sue statistiche.
Tale sistema di prenotazione delle fasce di lavoro per priorità, in ragione delle statistiche assegnate al rider, è stato introdotto dalla società come misura organizzativa in coincidenza con le prime iniziative di astensione dal lavoro attuate dai riders autorganizzati negli anni 2017/2018.
Ne discende logicamente che il rider che aderisca a uno sciopero, e non cancelli almeno 24 ore prima del suo inizio la sessione prenotata, può subire un trattamento discriminatorio, giacché rischia di veder peggiorare le sue statistiche e di perdere la posizione eventualmente ricoperta nel gruppo prioritario, con i relativi vantaggi.
Né può sostenersi che il rider – allo scopo di evitare gli effetti pregiudizievoli dell’adesione allo sciopero – possa/debba semplicemente cancellare anticipatamente la sessione prenotata, perché così facendo metterebbe la piattaforma in condizioni di sostituirlo, annullando ogni effetto pratico dell’iniziativa di astensione collettiva e vanificando il diritto di sciopero costituzionalmente garantito anche ai lavoratori autonomi parasubordinati.
Le medesime considerazioni possono essere svolte per le altre cause (malattia, handicap, esigenze legate alla cure di figli minori, ecc.): in tutti questi casi il rider vede penalizzate le sue statistiche indipendentemente dalla giustificazione della sua condotta e ciò per la semplice motivazione, espressamente riconosciuta dalla società, che la piattaforma non conosce e non vuole conoscere i motivi per cui il rider cancella la sua prenotazione o non partecipa ad una sessione prenotata e non cancellata.
Ma è proprio in questa “cecità” del programma di elaborazione delle statistiche di ciascun rider che alberga la potenzialità discriminatoria dello stesso.
Il sistema di profilazione dei rider, nel trattare allo stesso modo chi non partecipa alla sessione prenotata per futili motivi e chi non partecipa perché sta scioperando (o perché è malato, è portatore di un handicap, o assiste un soggetto portatore di handicap o un minore malato, ecc.), in concreto discrimina quest’ultimo, emarginandolo dal gruppo prioritario e dunque riducendo significativamente le sue future occasioni di accesso al lavoro.
Secondo il giudice, questo sistema di accesso alle prenotazioni adottato dalla società, realizza una discriminazione indiretta ex art. 2 del D. Lgs. 216/2003, secondo cui, la discriminazione è diretta quando “per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga“, divenendo indiretta nei casi in cui “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone“.
L’algoritmo di Deliveroo, quindi, che dà applicazione a una disposizione apparentemente neutra (la normativa contrattuale sulla cancellazione anticipata delle sessioni prenotate) mette quindi una determinata categoria di lavoratori (quelli partecipanti ad iniziative sindacali di astensione dal lavoro) in una posizione di potenziale svantaggio.
La decisione del Tribunale di Bologna costituisce un importante passo in avanti per introdurre dei presidi di tutela anche per le nuove figure professionali create dall’economia digitale, soprattutto quando la giurisprudenza interviene per colmare i vuoti normativi generati dall’evolversi degli sviluppi tecnologici in atto.