Di Chico Forti, condannato negli Usa e in via di trasferimento nei penitenziari italiani, se ne parla da tempo. Purtroppo, il velista italiano, arrestato con l’accusa di omicidio tutta da provare, non è l’unica vittima di una giustizia discutibile che vede nel Paese oltreoceano numerose variabili. C’è anche Pino Lo Porto, 87enne dalla salute malferma, rinchiuso in un carcere dell’Alabama per altrettante accuse di molestie sessuali che vedono molti punti di criticità. Lo Porto è portatore di pacemaker ed è stato operato di cancro, elementi che costituiscono un’aggravante alla detenzione. Tale condizione non gli ha impedito di finire in carcere in Alabama, per le accuse della sua ex moglie americana, al termine di un frettoloso procedimento di estradizione precedentemente negato in Olanda e di cui anche il Tar del Lazio ha dichiarato la nullità. Nonostante questo Pino, tessera numero uno dell’”Associazione internazionale vittime errori giudiziari”, rimane in America. La storia ha inizio il 2 luglio 1996. Lo Porto vive in una cittadina dell’Alabama. Negli ultimi mesi sta pensando di separarsi dalla moglie, della quale ha adottato i due figli. Una mattina come tante, esce per recarsi a lavoro. Ma questa volta non fa in tempo a varcare la soglia: fuori dalla porta due agenti lo ammanettano e lo portano via. Sembra un film, invece purtroppo non è così. Inizialmente pensa ad un errore, ma bastano pochi minuti a capire la tragica realtà: la moglie lo ha accusato di molestie ai danni della figlia minore. Un espediente che molte donne separate usano di frequente per mettere in difficoltà il coniuge. Difatti Pino è in uno stato di incredulità al momento della cattura. Gli agenti, dopo averlo fatto salire sull’auto lo trascinano subito in carcere, malgrado le accuse non siano avvalorate da un referto clinico. Immediatamente la moglie si ingegna per tentare il prelievo di tutti i soldi dal conto bancario comune, operazione che riesce solo in parte perché Lo Porto ha appena disposto un bonifico per il proprio avvocato che gli garantirà almeno l’inizio della difesa. Pino nel frattempo viene scarcerato, mentre i capi d’accusa variano in continuazione. Alcuni spariscono, altri si aggiungono e nel contempo l’uomo, facoltoso imprenditore, prosciuga tutte le sue finanze per sostenere le sue ragioni e corrispondere gli emolumenti relativi all’altra causa di divorzio che deve affrontare. Una totale disfatta di cui si avvantaggia la ex moglie, tanto che la disperazione induce l’uomo a fuggire in Italia, dove avrà la forza di scrivere un libro-denuncia del sistema giudiziario statunitense, narrando non solo la propria storia ma vicende analoghe di cui è venuto a conoscenza. Dopo varie vicissitudini, che lo portano anche in Olanda, Lo Porto torna in Italia ma la sua libertà dura poco: passano due anni e viene di nuovo imprigionato per poi essere estradato come cittadino americano, sebbene abbia da anni riottenuto la cittadinanza italiana. Per questo, una sentenza del Tar ha annullato ogni provvedimento ma sulla testa dell’italiano una taglia di 5mila dollari ha favorito le condizioni per la sua repentina cattura da parte di un funzionario del ministero della Giustizia Usa. Ora Lo Porto malato, disperato, privato di tutti i suoi beni è rinchiuso in un carcere nella contea di Baldwin, in Alabama, la detenzione dura dal 24 maggio 2012. A nulla sono serviti i numerosi appelli dell’associazione internazionale delle vittime giudiziarie, che si sta battendo, a tutt’oggi senza successo, per il suo ritorno in Italia. Ci vorrebbe un serio interessamento delle nostre istituzioni ma, nonostante la copiosa corrispondenza inviata al ministero di Giustizia, nessuna risposta è a tutt’oggi pervenuta. In favore di Lo Porto ha svolto per molto tempo una frenetica attività il console onorario David Gratta mentre per la difesa dell’italiano, ci si è avvalsi tempo fa dell’avvocato statunitense Daniel Buttafuoco di New York. Nessun segnale è arrivato dalla Farnesina, il ministero guidato da Luigi Di Maio non ha mai stabilito una significativa collaborazione con l’associazione per le vittime di errori giudiziari, volta a intraprendere una forte azione nei confronti degli Usa. Neppure Rita Bernardini, già parlamentare del Partito radicale, da anni impegnata per la difesa dei diritti delle persone private della libertà, è riuscita a rompere il muro di gomma che caratterizza tutta la vicenda di Giuseppe Lo Porto. Fin dal dicembre del 2012 presentò un’interrogazione parlamentare a cui, a tutt’oggi, nessuno ha dato ancora risposta. Salvare nonno Pino però si deve, è una emergenza per la sua salute, i suoi diritti e per fare finalmente luce in tutti quei procedimenti opachi che ledono la dignità di ogni uomo.