Un titolo così suona indubbiamente forte, eccessivo, quasi provocatorio.Tuttavia, quel che ha spinto Ernesto Marzano – economista con lunga esperienza di dirigente delle Partecipazioni statali e di aziende private, e autore di saggi e scritti autobiografici – a scrivere “Israele, il killer che piange” ( Roma, Aracne editrice, 2015, e. 14,00) è, in realtà, una forte voglia di dialogo, d’ un confronto, acceso ma sincero, coi fratelli ebrei. Per ragionare di storia e d’attualità, e parlare degli errori che, come tutti i mortali, anche essi possono commettere. Criticare anche fortemente le scelte dello Stato d’ Israele, poi, non significa essere antiisraeliani “senza se e senza ma”, o, addiritura, antisemiti.
Questa la cornice concettuale della prima presentazione di questo saggio, presso la libreria “Invito alla lettura” di Corso Vittorio a Roma, con Walter D’Amari, giornalista del “Corriere della sera“, moderatore, e l’ intervento di saluto di Gioacchino Onorati, presidente di Aracne editrice. Nel saggio, Marzano affronta questioni come il sionismo ( nel contesto generale dei movimenti di Risorgimento nazionale dell’ Otto-Novecento ) e la Seconda guerra mondiale, con la Shoah, e la nascita, nel 1947-’48, dello Stato d’ Israele, insieme alla cacciata in massa, dalla Palestina, dei residenti palestinesi. La guerra del ’67, che nei Paesi arabi sconfitti, Egitto in testa, innescò un vero e proprio trauma psicologico di massa. E le altre successive fiammate belliche in Medio Oriente, sino alla cruenta operazione “Margine di sicurezza” a Gaza (estate 2014), e alle due Intifade palestinesi (1987-’88 e 2000-2002): cui se ne sta probabilmente aggiungendo una terza(con la preoccupante escalation di attentati antiisraeliani, e la protesta di massa degli stessi arabi con cittadinanza israeliana).
Mario Canino, già docente universitario e nei Licei, s’è soffermato sulle tante risoluzioni ONU (a volte dello stesso Consiglio di Sicurezza), rimaste imapplicate, che, sin dal 1947, esortavano il neostato israeliano a garantire ai palestinesi il ritorno alle loro terre e alle loro proprietà; e, dal 1967, ad evacuare la Cisgiordania, occupata appunto nella Guerra dei Sei giorni (la Striscia di Gaza, ricordiamo, fu invece evacuata nel 2005, da un premier fortemente criticabile, ma capace anche di decisioni lungimiranti, come Ariel Sharon). E ha ricordato la costante minaccia anche del terrorismo islamico, antiisraeliano a priori: da Hamas (che comunque, accettando di partecipare alle elezioni nei Territori occupati del 2006, indirettamente riconobbe lo Stato d’Israele) all’ambiguo (quanto a origini e finanziamenti, in parte – come già fu per Al Qaeda – di marca saudita e occidentale) ISIS.
Ernesto Marzano, insieme alle critiche alla politica israeliana e a certi aspetti delle stesse storia e cultura ebraiche (di serrata nazionalistica e religioso-culturale, introversione e chiusura quasi “a riccio” ) che, dal Medioevo in poi, spesso hanno offuscato i lati positivi dello spirito ebraico ( cosmopolitismo, forte senso pratico-economico, spinta all’anticonformismo e all’ innovazione, scientifica e tecnologica), non ha mancato di ricordare i movimenti pacifisti e nonviolenti israeliani, da lui personalmente incontrati in Israele e nei Territori occupati. Quei movimenti (come Bet’ Selem, Comitato israeliano per i diritti umani, Tayush, e il quasi scomparso “Peace now” ) che promuovono quotidianamente il dialogo e iniziative comuni coi palestinesi: e, un po’ come i loro omologhi negli USA, hanno in mente tutta un’altra idea del proprio Paese e della propria identità. Mentre ha citato con commozione, vent’anni dopo, Ytzhak Rabin: il premier laburista israeliano, barbaramente ucciso da un ebreo estremista il 4 novembre 1995, che nei primi anni ’90, nel nuovo contesto mondiale post caduta dei Muri, aveva portato avanti coerentemente la politica di pace, concludendo con l’ OLP di Arafat gli accordi di Oslo I e II e Washington (1992- ’93), e i primi trattati di pace con Giordania e Siria.
In chiusura, Salameh Ashour, presidente della Comunità palestinese di Roma e del Lazio, ha auspicato – pur nel peggiorato contesto di oggi – una forte ripresa di questa politica di pace ( per la quale,osserviamo, da ambo le parti sembran mancare, però, leader veramente all’altezza). Ricordando come, sino alla seconda metà dell’ 800, arabi ed ebrei, sotto tanti diversi regimi, in realtà erano tranquillamente convissuti in Palestina, in pieno scambio economico, interreligioso e interculturale.
di Fabrizio Federici