di Alberto Zei
Si tratta di un ipogeo scavato nell’ eterno granito da un signore dell’ Isola del Ferro, che daterebbe anche l’epoca dell’ uso degli strumenti di ferro temperato nel commercio etrusco del VI secolo a.C.
I pareri discordi – Questo argomento era già stato trattato da Paese Roma auspicando l’ l’ intervento dello Stato, quando alcuni mesi fa infuriava la polemica da parte di chi sosteneva che l’ipogeo ritrovato a Marciana nell’ Elba fosse una zecca del Principato di Piombino retto dalla famiglia degli Appiani e di chi invece, sosteneva che si trattasse di un luogo funerario etrusco di inestimabile pregio e valore culturale, oltre ad altre stravaganti ipotesi come una neviera o una cisterna (con pianta a croce? mai viste!).
Il dromos scavato nel granito – A fronte di tanto animosa quanto sterile discussione, si era infatti, appreso che il Viceprefetto dell’ Elba, Dott. Daveti avrebbe saggiamente convocato le parti in causa e le autorità competenti in materia, in primis la Soprintendenza Archeologica di Firenze e la Soprintendenza ai Beni Architettonici di Pisa affinché dopo le dovute riflessioni, potessero esprimere i loro orientamenti sulla questione. In quell’ occasione infatti, avrebbero dovuto esprimere pro veritate” il proprio motivato convincimento sull’ una o su altre tesi per addivenire di concerto all’ attribuzione definitiva della realtà storica dell’ ipogeo.
A quanto finora risulta, questa riunione è stata anticipata dalla risposta dei primi di ottobre c.a., redatta dalla Direzione Archeologia di Roma, la quale ha fatto proprio il parere della Soprintendenza Archeologica di Firenze, già espresso una prima volta nell’ottobre 2014. Cosicché di quel confronto di motivati pareri professionali, richiesto dal Viceprefetto alle altre parti in causa per la definizione della natura dell’ ipogeo, non vi è traccia. Il confronto infatti, è stato sostituito dalla apodittica opinione di una soltanto di queste, ovvero della Soprintendenza Archeologica di Firenze che sosteneva che quell’ opera d’ arte scavata nel granito sarebbe stata una neviera (ovvero un luogo dove poteva essere ammucchiata la neve e usata per la conservazione degli alimenti) oppure una cisterna degli Appiani, Signori e poi Principi di Piombino e dell’Elba dalla fine del XIV agli anni trenta del XVII secolo.La Soprintendenza ai Beni Architettonici e Storici di Pisa, cui la legge affida la competenza proprio sull’epoca suddetta, nel dicembre 2014 aveva invece sostanzialmente sconfessato la consorella fiorentina definendo “poco credibili” sia le ipotesi di neviera e di cisterna, sia l’ipotesi di zecca sostenuta dal Comune di Marciana. Effettivamente basta guardare le planimetrie qui sotto pubblicate per rendersi subito conto che la pianta della tomba Castellina in Chianti, senza alcun dubbio etrusca, è assai simile a quella di Marciana. Le planimetrie di neviere, cisterne e zecche, al contrario, sono ovviamente molto diverse.
Il Convegno dell’ Elba. Pochi giorni dopo la risposta del Ministero Beni Culturali (Direzione Archeologia) c’è stata un’ altra risposta sulla natura dell’ipogeo. Si tratta del responso pro veritate avanzato il 16 e il 17 ottobre scorsi, durante un convegno sui beni culturali dell’ isola d’Elba, organizzato dall’ Associazione culturale ILVA-ISOLA d’ELBA e dal Comune di Marciana Marina, con in patrocinio dell’Università di Firenze e del Comitato Scientifico Centrale del CAI. Cattedratici universitari ed esperti di varie discipline (archeologia, etruscologia, storia, geologia, architettura, restauro, archivistica, storia dell’arte) hanno manifestato il loro autorevole parere a favore dell’interpretazione dell’ipogeo quale luogo di sepoltura etrusca, auspicando che vengano fatti al più presto i necessari approfondimenti. I lavori nelle due giornate di convegno hanno compreso un sopralluogo nell’ ipogeo di Marciana al fine di poter personalmente constatare i dettagli tecnici necessari per esprimere un motivato parere sulla natura del manufatto.
L’ uso funerario dell’ ipogeo di Marciana da parte degli Etruschi, scambiato per una zecca o per una neviera, era già stato comprovato a suo tempo dalla pressoché identica forma strutturale della tomba etrusca di Castellina in Chianti, entrambe mostrate in figura, compreso sostanzialmente l’ orientamento.
La conclusione è stata che non si trattava quindi, né di una zecca; né tanto meno di una neviera o una cisterna come riteneva la Soprintendenza di Firenze ma di una tomba etrusca del VI secolo a.c. di elevatissimo pregio archeologico, unica al mondo per la tipologia di scavo nella dura roccia granitica.
Il riconoscimento – La realtà dei fatti convalida così la tesi dell’Associazione culturale elbana “Ilva-Isola d’Elba”, e in particolare quella del prof. Michelangelo Zecchini e del Prof. Giuseppe Centauro (noto archeologo il primo, docente universitario di restauro architettonico il secondo), i quali sin dall’inizio dell’ animata discussione avevano decisamente affermato che la granitica struttura sotterranea con planimetria a croce altro non era che un manufatto etrusco realizzato a scopo funerario. Non solo, i due professori avevano anche indicato la data: 6º secolo avanti Cristo.
A questo punto, a prescindere da tutte le altre considerazioni, non può sfuggire il divario di tempo (circa 2.000 anni! ) che separa l’epoca etrusca arcaica da quella degli Appiani.
Assodato quindi che si tratta di un luogo funerario, questo finora è unico nel suo genere in tutto il mondo etrusco in quanto è stato costruito attraverso uno scavo impensabile per quei tempi, in una delle più dure rocce che si conoscono, ossia nel granito dell’Elba; talmente duro da originare un detto scherzoso elbano: “duro come il granito”, rivolto ad una persona che non vuole intendere.
Un’ impresa di tal genere costituisce, quindi, una vera e propria singolarità funeraria che oltre a rappresentare un’ opera d’arte etrusca di pregiatissimo valore, ha una precisa ragione storica.
L’architettura fu, pertanto, molto probabilmente realizzata per far conoscere ai contemporanei lo stato dell’ arte della lavorazione del ferro, ovvero degli utensili prodotti con il prezioso metallo ricavato dai forni di riduzione. Il ferro temprato costituiva la materia prima per la forgiatura delle armi che in battaglia né si piegano né si intaccano.
Il valore storico della datazione – Il messaggio insito nella costruzione dell’ ipogeo è soprattutto quello della datazione di questo evento, che costituisce l’inizio della conoscenza e della capacità tecnologica nella produzione di ferro sicuramente acciaioso e pertanto temperabile, di elevata qualità; qualità molto più tecnologicamente avanzata di quanto fino adesso si riteneva, ivi compresa la produzione di armi di grande pregio ed efficacia; fatto questo di notevole rilevanza anche per la conoscenza della civiltà etrusca e per le implicazioni storiche che da questo evento derivano. Meritoria è stata dunque l’ opera dell’ Associazione Ilva, che ha consentito di porre un’altra pietra miliare nel cammino della storia dei popoli del Mediterraneo a cui la stessa Elba con la secolare produzione del suo ferro ha sicuramente contribuito.
Con queste armi pertanto e con gli utensili adatti per durezza anche alla lavorazione del granito, quasi sicuramente gli etruschi dell’Isola già esercitavano fiorenti commerci con chi ne aveva necessità e mezzi economici per l’ acquisto. Non possono non sorgere perplessità sul fatto che l’ipogeo è stato aperto al pubblico dal Comune di Marciana, a titolo oneroso, come museo della presunta zecca di Marciana, di cui pèrò, non è nota alcuna coniazione antica (l’unica moneta esistente è stata coniata nel 2015!).