Il migliore amico dell’uomo non è il cane, ma tutti gli animali, che hanno, infatti, sacrificato la vita per servire l’uomo in battaglia. Racconta le loro gesta, lo scrittore Vincenzo di Michele attraverso le testimonianze dei soldati al fronte che in entrambe le guerre registrarono le condizioni difficili in cui versavano i quadrupedi. Tra i più sfruttati, si annoverano i muli, nati dall’incrocio tra una cavalla e un asino, noti per la loro resistenza e potenza, tale da sostenere fino a 200 chili di carico. Se allo strenuo delle forze si rifiutavano di procedere, venivano sollecitati con un tizzone ardente posto sotto al ventre e soppressi qualora si fossero rotti un arto, per l’impossibilità anatomica di una ricostruzione ossea adeguata. La loro prestanza fisica era molto apprezzata, sia dai conduttori che dal Duce in persona. «I conducenti dei muli erano gente di bassa cultura e di estrazione contadina e nei modi erano piuttosto rudi. Nonostante ciò mantenevano sempre il giusto rispetto nei confronti del loro mulo, che ritenevano insostituibile. All’unisono proclamavano a piena voce il loro credo: “Vuoi mettere la differenza tra un mulo e un cavallo? Solo al mulo puoi caricare le armi pesanti sulla sua soma. Puoi caricargli anche 200 kg e stai tranquillo che la tua dolce metà li porterà” ». Circa 400.000, invece, erano i cavalli arruolati tra servizi di cavalleria, portaordini e traino di carri. Il loro ruolo prioritario era quello bellico, utilizzati negli assalti contro gli avversari in campo. Celebre rimase, per questo, la campagna di Russia con la prima sudata vittoria degli italiani nella steppa grazie ai tanti cavalli in forze e ad Albino, un puledro che assurse a emblema del reggimento Savoia. «Era la carica di Isbuscenskij, la più gloriosa carica della cavalleria italiana. Le cariche si succedettero ininterrottamente per buona parte della giornata e Albino continuò a galoppare insieme agli altri cavalli, anche se a un certo punto si accorse di non avere più in sella il suo amico Fantini, colpito da una raffica di mitragliatrice nemica. Fu una grande vittoria! Seicentocinquanta cavalieri avevano combattuto e ricacciato indietro, duemila siberiani». E fu Albino, il giorno dopo, senza un occhio e con la zampa insanguinata a rintracciare da solo il suo reggimento in ritirata e ritornare in Italia; una volta nel Belpaese con la baraonda del 1943, il puledro fu dato di nuovo per disperso e fu nuovamente lui a ritrovare il suo reggimento nel 1946, rispondendo prontamente al richiamo della fanfara, ormai deformato e consunto, durante una cerimonia commemorativa a Somma Lombarda. Per queste gesta si meritò i riconoscimenti ufficiali: «Affinché nessuno potesse dimenticarsene, scrissero anche per lui, in prima persona, l’intera storia a grandi lettere nere sulla parete imbiancata a calce, firmandola con il disegno del suo zoccolo destro seguito dai titoli di benemerenza: “Mutilato, Ferito e Reduce di Russia”». Ancora oggi è esposto e imbalsamato presso il museo reggimentale di Grosseto, un emblema dell’imperitura fedeltà animale.
Casa Editrice: Il Cerchio
Collana: Gli Archi
Genere: Saggio storico
Pagine: 224
Prezzo: 12,00 €