Una mamma, Maria Cristina, ci racconta la sua storia da quando va a convivere con un uomo che si è mostrato “prima gentile, poi è cambiato”. Maria Cristina non ha denunciato e si chiede se ha fatto bene. Difficile risponde a questa domanda considerato che oggi in alcuni tribunali accade sovente che le donne vittime di violenza, non solo non vengono difese, ma subiscono ulteriore violenza, ossia la c.d. istituzionale, come pure vengono allontanate dai propri figli che cercano di difendere come leonesse. Ma possiamo dire che i comportamenti di questa mamma hanno impedito che le allontanassero il proprio figlio, anche se ha vissuto e vive l’inferno.
La natura è di esempio, una leonessa lotta per amore del proprio cucciolo e darebbe la vita per difenderlo. Alla stessa maniera molte mamme leonesse, come pure tanti padri, vivono per i propri figli e lottano per dargli amore, serenità, gioia, e soprattutto, per non vederseli allontanati senza motivo.
La violenza istituzionale è ben rappresentata da un folto numero di esperti, come coloro che hanno redatto il c.d. “protocollo Napoli” firmato dall’ordine degli psicologi campani, che sono “Linee guida per la consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito di separazione dei genitori, una consulenza psicologica in caso di violenza nella cornice della convenzione di Istanbul (CdI)”.
Il documento porta le firme di Caterina Arcidiacono (ordinario di Psicologia Unina), Antonella Bozzaotra (presidente Ordine Psicologi Campania e psicologa sportelli antiviolenza Asl Na 1 Centro), Gabriella Ferrari Bravo (psicologa), Elvira Reale (responsabile Centro Dafne ospedale Cardarelli) ed Ester Ricciardelli (psicologa sportelli antiviolenza Asl Na 1 Centro), ed è stato adottato ufficialmente dall’Ordine degli Psicologi della Campania.
Raccontiamo, oggi, la storia di una mamma di un ragazzo appena 18enne, che si è liberato da un incubo durato ben 15 anni.
Un uomo che si presenta” gentile, affabile e poi è cambiato”. Una mamma che ha difeso suo figlio per evitare un allontanamento illegittimo e l’eventuale collocamento in casa famiglia, come si sul dire con i denti, con le unghie, nonostante anche le difficoltà economiche e quelle di salute. Non ha denunciato per i lividi e le ecchimosi sul corpo che le sono stati procurati, ma suo malgrado è bastata una semplice richiesta al giudice per far rispettare un assegno di mantenimento che non veniva versato per far scatenare l’inferno e l’intromissione delle c.d. figure istituzionali che molto spesso non fanno l’interesse del minore. Sarebbe così semplice risolvere una “controversia”, atteso che se in una sentenza viene stabilità una somma da pagare per un figlio che non viene versata, allora il giudice dovrebbe semplicemente far rispettare quella sentenza, per il “supremo interesse del minore”. Peraltro, un padre o una madre, dovrebbe versare quelle somme decise, non solo perché sancito in una sentenza, ma a maggior ragione per far vivere il proprio figlio nel migliore delle condizioni. Invece, sovente accade che da una questione economica di facile risoluzione si innesca quel meccanismo, quel modus operandi ben noto alle cronache. Questa mamma oggi cerca un lavoro anche notturno per far cresce al meglio suo figlio, per aver dovuto spendere tutto ciò che si era costruita nella vita per pagare le spese legali conseguenti all’intervento delle figure istituzionali e quant’altro. Ed il padre? E’ stata difesa la mamma ed il figlio?
Ci racconta Maria Cristina
“Tutto il mio calvario è iniziato nel 1999 quando ho conosciuto un collega che poi sarebbe diventato il padre di mio figlio. Per quest’uomo ho cambiato città, ho ricominciato da zero dal punto di vista lavorativo, ero lontana da amici e famiglia. All’inizio si è presentato come un uomo gentile affabile educato, ma tutto cambia dopo qualche mese di convivenza.
Comincia a diventare aggressivo, si innervosiva per nulla e più di una volta sono uscita di casa con lividi nelle braccia. Grazie ad un collega di ufficio conobbi in maresciallo dell’Arma dei Carabinieri al quale raccontai quello che accadeva dentro quella casa e lui mi consigliò di sporgere denuncia nei confronti del mio compagno. Io non lo feci purtroppo, ho avuto paura, ma se tornassi indietro lo farei sicuramente”.
E qui, sorge un dubbio, se avesse denunciato, avrebbe continuato ad avere suo figlio con lei?
A volte si entra in un sistema da cui difficilmente riesci ad uscire se non al compimento dei 18 anni dei tuoi figli. Ma, in questo caso, come in tanti altri, la adolescenza di un figlio è già segnata, rovinata, nessuno gliela restituisce più.
“Andavo in ufficio ad agosto con 40 gradi con le magliette a maniche lunghe per non far notare ai miei colleghi i lividi sulle braccia, mi vergognavo. Quanti giorni e notti passati a piangere, quanta sofferenza. Per alcuni mesi la situazione si stabilizzò e ciò mi fece sperare in positivo. Ma la calma durò molto poco…. nel 2002 sono rimasta incinta e nel 2003 è nato mio figlio. Ho trascorso i nove mesi di gravidanza in ansia e terrore, più di una volta mi ha spinto fino a farmi cadere.
Preoccupata più di una volta sono andata a fare un’ecografia per vedere se mio figlio stava crescendo senza aver subito danni. Con la sua nascita la situazione peggiorò sempre di più.
Il mio compagno era assente, sempre più assente, completamente disinteressato nei confronti del figlio; voglio sottolineare che non ha mai contribuito a nessuna spesa (latte, pannolini, visite mediche, giochi, nido, vestiti) ho pensato sempre io a mantenere economicamente mio figlio.
Nel 2005, dato che ormai era diventato impossibile vivere in quella casa con lui, decisi di tornare a Roma con mio figlio. Il giudice della città in cui ho vissuto decise una somma per il mantenimento e le modalità di visita. Devo dire che trovai in questa città un giudice obiettivo che aveva compreso la situazione, tanto da consigliarmi cambiare città.
Ricordo inoltre con enorme tristezza che più di una volta il padre di mio figlio manifestò comportamenti violenti anche nei confronti di mio figlio piccolo”.
Il ritorno a Roma, l’inferno
“Tornai a Roma e cominciò l’inferno sia per me che per mio figlio. Non voleva pagare il mantenimento al proprio figlio e questo lo portò a citarmi più di una volta in tribunale.
Fece intervenire gli assistenti sociali che ci hanno perseguitato perché mio figlio non voleva frequentare più di tanto il padre, uno sconosciuto per lui e dai modi rudi e grezzi.
Fui chiaramente accusata di Pas ( la PAS, sindrome di alienazione parentale, smentita sia dalla comunità scientifica, dalle sentenze della Corte di Cassazione, come pure dal ministero della salute a firma del ministro) ed abbiamo subito un tale calvario abbiamo per 15 lunghi anni. Nei decreti è stato minacciato più di una volta l’allontanamento di mio figlio. Il padre addirittura ha proposto più di una volta la casa famiglia. Tutore, curatore speciale, una vera persecuzione, impedimenti allo sport, allo studio, ai viaggi, offese da parte di giudici che si sono permessi di giudicarmi. Il giudice ha più volte scritto nelle sentenze che se mio figlio non avesse incontrato il padre, nonostante l’età di 17 anni, lo avrebbe collocato in casa famiglia, per noi è stato un incubo quotidiano. Mio figlio era terrorizzato dal padre e le figure istituzionali lo costringevano ad incontrare il padre sotto minacce. Lui si è sempre opposto, nonostante la minaccia di essere allontanato dalla me, ma del padre non ne voleva sapere nulla”.
Da alcune ricerche è emerso che le stesse modalità e decisioni erano state prese per tante altre donne nelle stesse situazioni, nello stesso tribunale, stesse sezione.
Continua il racconta mamma Maria Cristina. “Dissi ai servizi sociali che li avrei denunciati se non avessero smesso di torturarci, visto che potevo provare ciò che mi stavano facendo, ma soprattutto quello che stavano facendo a mio figlio. Mio figlio ha compiuto da pochi mesi 18 anni, è un ragazzo serio, responsabile, studioso, meritevole il classico bravo ragazzo. È’ sereno e tranquillo, ha tanti amici, tante passioni e hobby. La situazione non è cambiata, il padre non corrisponde nulla per i suoi studi e la sua vita”.
Conclude mamma Maria Cristina con dolore, amarezza, sofferenza per aver subito tanti anni di violenze, ma con la forza e l’amore che distingue una mamma.
“Ce l’abbiamo fatta, siamo stati forti e ora continuiamo la nostra vita da persone libere dato che per 15 anni non abbiamo respirato neanche un giorno, un alito di libertà”.
Da persone libere, conclude Maria Cristina, liberi dalla “giustizia, colpisce anche questa affermazione.
A questa donna, ma soprattutto una mamma coraggio che ha difeso suo figlio, cresciuto semplicemente con l’amore di un genitore, in questo caso di una mamma, a lei vanno i complimenti, come pure al figlio che ha resistito, combattuto ed è, finalmente, uscito dall’inferno. Ora può vivere sereno, ma dimenticherà ciò che ha vissuto? Gli anni persi, i 15 anni trascorsi come li ha vissuti, che effetti hanno avuto? La forza di questo ragazzo che ha avuto vicino una mamma combattiva ha reso questo ragazzo un uomo, un uomo che ha deciso di raccontarsi per descrivere le sue sensazioni e ciò che è accaduto a lui, come succede a tanti bambini in Italia.
La mamma dimenticherà ciò che ha vissuto in questi lunghi anni? Ci ha raccontato di avere problemi di salute ed economici. Forza mamma.
Siamo sicuri che sono stati rispettati gli interessi del minore ed è stata difesa la mamma assieme a suo figlio?
Di Giada Giunti