Il padre di Francesco Trombadori è stato Antonino, il libraio, incisore e artigiano delle statuine da presepe che sposò Concetta Randazzo. Antonino gestiva a Siracusa la libreria di famiglia “L’Emporio del buon gusto”, ad Ortigia, nella via Maestranza all’angolo con via Roma, e dopo la nascita di Francesco ebbe altri tre figli: Vincenzo (1890-1959), Giuseppe nel 1896, chiamato Peppino, comunista e antifascista che morì a Milano nel 1939 per gli stenti cui era stato costretto dopo l’uscita dal confino e Gaetano Trombadori (1900-1994), critico letterario e professore universitario di lingua e letteratura italiana nell’università ungherese di Debrecen (1940-45, 1947-50), e dal 1956 professore nelle università di Salerno, Palermo e Milano.
Di formazione storicistica, nel dopoguerra si avvicinò alla metodologia marxista.
Francesco Trombadori autoritratto 1931 villa Strohl-Fern
Nella sua adolescenza Francesco Trombadori frequenta la scuola tecnica “Archimede”; per passione si dedica e si specializza nelle pratiche di rilegatoria dei libri, a cuoio e a pergamena.
Francesco Trombadori nasce a Siracusa, il 7 aprile 1886.
Resta affascinato dalla immensa tela con la tematica del “Seppellimento di santa Lucia”, capolavoro di Michelangelo Merisi del 1608, esposto nella Chiesa di Santa Lucia alla Badia di Siracusa.
Caravaggio, seppellimento santa Lucia 1608 nella Chiesa di S Lucia alla Badia
Nel 1907, dalla sua Sicilia, si trasferisce a Roma dove segue i corsi dell’Accademia di Belle Arti e la scuola libera del nudo.
Tra i maestri c’è Giuseppe Cellini, tra i compagni di corso troviamo Cipriano Efisio Oppo, Amerigo Bartoli, Mario Broglio, Virgilio Guidi. È del 1911 la sua prima esposizione personale, nel foyer del Teatro Massimo di Siracusa.
Nel 1913 inizia a frequentare lo studio di Enrico Lionne (1875-1921) confermando la propria tendenza verso la pittura divisionista, la scomposizione del colore, allora molto in voga a Roma.
Nel 1915 parte per la guerra: nell’agosto 1916 è ferito sul monte Podgora nell’azione bellica per la presa di Gorizia.
Alla fine del conflitto Francesco Trombadori è nuovamente a Roma e si ricongiunge a Margherita Ermenegildo, sposata nella Chiesa di Santa Maria in Transpontina nel luglio del 1916, figlia del direttore d’orchestra del Municipio di Siracusa.
Il 10 giugno 1917 nacque il figlio Antonello e nel 1929 la figlia Donatella Trombadori:
http://www.laurentkalfala.com/donatella-tombadori#1
Francesco Trombadori frequenta i compagni della Terza Saletta del Caffè Aragno.
È in contatto con l’ambiente di Anton Giulio Bragaglia, il regista di film futuristi e fondatore del Teatro Sperimentale degli Indipendenti, per la produzione di teatro d’avanguardia.
Francesco Trombadori, lo si nota per una serie di ritratti in fotodinamica e dalla sua presenza nell’Index Rerum Virorumque Prohibitorum, il pamphlet satirico diretto da A. G. Bragaglia.
Il rapporto di stima proseguirà anche quando l’artista entrerà nella sua fase “neoclassica”. Alla fine del 1919 ricevette in assegnazione lo studio n. 24 a villa Strohl-Fern, dopo la morte precoce di Umberto Moggioli (Trento, 1886 – Roma, 26 gennaio 1919) pittore della scuola di Burano, ed in questa villa si trasferì con la famiglia. Villa Strohl-Fern fu acquistata nel 1879 dal nobile alsaziano Alfred Wilhelm Strohl (1847-1927) che aveva interessi artistici e talora indugiava nel mecenatismo. Fern non è un cognome ma un aggettivo tedesco “fern” che significa libero, lontano dalla patria, così come si considerava Alfred Wilhelm Strohl.
Nel 1921 Francesco Trombadori è nominato professore di disegno all’Istituto Tecnico di Civitavecchia.
Partecipa alla I Biennale di Roma. Lavora anche come illustratore, per il libro di novelle di Henry Barbusse “L’uomo e la donna“. Nel 1922, agli “Amatori e Cultori” presenta “Siracusa mia!“, che può essere considerato come il punto di arrivo del suo periodo divisionista.
Nei primi anni Venti, Francesco Trombadori dedica molto tempo allo studio della pittura antica, cercando una via personale nel difficile rapporto tra avanguardia e tradizione.
La II Biennale di Roma, nel 1923, è l’occasione per confrontare il suo lavoro con quello di altri “compagni di strada”, da Antonio Donghi a Carlo Socrate a Nino Bertoletti, con i quali espone in una sala di intonazione “neoclassica” e purista.
Nel 1924 espone alla Biennale di Venezia e al vernissage di venti artisti italiani presso la galleria Pesaro di Milano.
Alla III Biennale di Roma del 1925, espone nella stessa sala di Giorgio De Chirico al quale è legato da un rapporto di reciproca stima ed amicizia, di Antonio Donghi, Francesco Di Cocco e Filippo De Pisis. Sempre nel 1925 inizia la sua attività di critico d’arte, pubblicando su “L’Epoca” due scritti dedicati a Giovanni Fattori, l’artista più influente tra i pittori Macchiaioli, e alla morte di Armando Spadini e per il giornale “L’Opinione” scrive un testo critico sulla situazione artistica italiana. Fin dalla primavera del 1925 Francesco Trombadori è in contatto con la giornalista e critica Margherita Grassini Sarfatti e con il comitato organizzatore del “Novecento Italiano“, che oltre ad invitarlo come artista lo incaricano di propiziare la partecipazione di altri esponenti dell’ambiente romano, da Aldo Bandinelli (1897-1977) a Giorgio De Chirico ad Amerigo Bartoli Natinguerra al giovane Edolo Masci ad Antonio Donghi, la cui pittura venne assorbita da Duccio Trombadori.
DUCCIO TROMBADORI ritratto da Renato Guttuso nel S. Natale del 1950
Duccio Trombadori nato a Roma nel 1945, giornalista di politica e di cultura, ha lavorato per il quotidiano “l’Unità” e per “Rinascita”. Critico d’arte, ha collaborato con la Rai, scrive su quotidiani e settimanali nazionali, dirige la rivista «Quadri & Sculture» e svolge attività sindacale come capo ufficio stampa della Cisl.
Quali ricordi ha della sua infanzia e degli affetti familiari?
Sono nato il 28 febbraio 1945. Antonello Trombadori e Fulvia Trozzi, mio padre e mia madre, si sposarono subito dopo la liberazione di Roma, da parte delle truppe angloamericane. I miei genitori erano stati partigiani, erano comunisti, pieni di ottimismo e di slancio ideale verso un futuro pieno di promesse. I miei ricordi sono piccoli bagliori analoghi, di intensa felicità. Ricordo che mi teneva in braccio un soldato USA, di nome Lee, che poi sposò Alda, una fidata e affettuosa cameriera di casa nostra. C’era tanta familiarità e simpatia solidale con i nostri liberatori americani! Poi, verso i quattro-cinque anni d’età si precipitò nella “guerra fredda”… e tutto cambiò.
I miei si trincerarono attorno alla difesa, senza se e senza ma, dell’Urss, “fortezza assediata”, e si toccava con mano in casa un senso di contrapposizione morale intransigente.
Era condannato tutto ciò che era “americano”, dai film western ai fumetti di Disney, alla Coca Cola al chewing gum: io non capivo bene perché, ma assecondavo i loro precetti (anche se poi la nonna, di soppiatto, mi conduceva a vedere i films di Paperino e Topolino…). Anche a scuola, d’altra parte, si era stabilito un clima contrapposto di paura e diffidenza contro i “comunisti”, appena scomunicati da Pio XII, e demonizzati quali “mangiatori di bambini”: una atmosfera da “caccia alle streghe” che ricordo bene, mi fece soffrire ed alla quale mi ribellavo con disprezzo.
Poi dopo, con la traumatica rivelazione di Krusciov sul dispotismo di Stalin (1956), molte cose cambiarono nella vita di famiglia, ed anche per me. Entravo nella prima adolescenza, con i turbamenti, le ansie e le gioie di tutti gli altri coetanei. Un ragazzo inserito nella “normalità”, più o meno…
D.: Duccio Trombadori, come è stata la vostra adolescenza a Villa Strohl-Fern?
La Villa Strohl-Fern allora era un luogo magico, introvabile e irripetibile. I miei nonni paterni ci vivevano in una bohème che durava dal 1922. Lì erano cresciuti mio padre Antonello e mia zia Donatella; la nonna faceva il bucato in una fontana dirimpettaia piena di ninfee e di ranocchie; mio nonno si appartava e dipingeva i suoi quadri. Il parco era abitato da decine di artisti, scultori, pittori, orafi, incisori con le loro famiglie. In mezzo al folto dei pini o dei bambù spiccavano i busti delle sculture in terracotta, noi giocavamo con le cerbottane in bande di ragazzini; le ragazzine correvano e facevano i loro giochi danzanti; era come in una campagna tutta per noi piantata nel cuore di Roma. Io, poi, mi accucciavo di tanto in tanto ad osservare in silenzio mio nonno quando disponeva il colore sulla tela; lui non permetteva a nessuno di disturbarlo mentre dipingeva, ma visto il mio interesse, mi lasciava guardare silenziosamente compiaciuto…Villa Strohl-Fern oggi non è più quella di prima; ma lo studio Trombadori è diventato casa-museo che ricorda un passato di grande fascino artistico e culturale. Per me è soprattutto il cuore della memoria di famiglia, dei primi giochi, dei primi amori.
Duccio Trombadori, dopo tutte le avanguardie, dall’Impressionismo al Surrealismo, al Divisionismo, quali sono stati secondo lei i caratteri della pittura di questi ultimi anni?
La pittura è sempre stata e sarà essenzialmente una questione di valori cromatici, di sintesi di forma-colore, di sguardo personale sul mondo, che può essere depositato come meglio si crede sulle cose viste o immaginate: suddividere le manifestazioni espressive in correnti di gusto o di poetica, non è mai molto utile per apprezzare davvero la qualità di un artista. Al di là degli “ismi” bisogna saper guardare al cuore di un autore, apprezzare l’intensità della sua espressione. L’esercizio migliore della critica non è tanto nella classificazione di un’opera in questo o quel “genere”, ma nella sua interpretazione e descrizione, oltre che nella sua “lettura interna” (i riferimenti morali, storici, culturali, religiosi, che l’opera stessa implica o può suggerire). Da almeno tre decenni viviamo nella temperie del gusto variamente definito “post-moderno”, vale a dire di un eclettismo stilistico che ottiene pregevoli risultati, in più occasioni; con il difetto, tuttavia, di perdere l’intensità del messaggio visivo. L’eclettismo (cioè l’agglomerato di tecniche, indirizzi poetici, materiali estetici, ecc…) è in genere segno di un’epoca indecisa, perché ricca di motivazioni contrastanti. È un limite, ma è anche, sicuramente, una fase preparatoria di un salto culturale. È quello che si attende dall’evolvere del gusto, e soprattutto dall’emergere personalità capaci di effettuare sintesi innovative. Oggi questo ancora non si vede, ma io sono ottimista. L’Italia pullula di sinceri testimoni della nobile arte pittorica; sono certo che dal loro impegno nascerà qualcosa di buono.
Duccio Trombadori tra i suoi quadri – ph Pino Mannarino
Febbraio del 1926: si inaugura a Palazzo della Permanente di Milano la I Mostra del Novecento italiano alla quale partecipa Francesco Trombadori con tre opere.
Francesco Trombadori 1923 Natura morta con piatto Galleria Nazionale d’Arte Moderna ROMA
Anche più interessante per i risvolti romani del “Novecento” è la mostra dei “Dieci artisti del Novecento Italiano” che viene presentata dalla critica d’arte Margherita Grassini Sarfatti nell’ambito della XCIII Esposizione di Belle Arti della Società Amatori e Cultori. Il nucleo è rappresentato da Virgilio Guidi e Carlo Socrate, Gisberto Ceracchini, Riccardo Francalancia; Francesco Trombadori presenta quattro tele: due paesaggi e due nature morte. Nella pittura di Francesco Trombadori inizia a manifestarsi un nuovo interesse per il paesaggio, frequentemente esposto nelle mostre nazionali ed internazionali.
paura della pittura 1940 di Francesco Trombadori
Nel 1931 partecipa alla Prima Quadriennale, pubblicando anche su “Gente nostra” varie recensioni, utili per capire le sue preferenze nel panorama italiano. Ricordiamo che nel 1930 Francesco Trombadori recensisce con attenzione anche la mostra di due giovani “espressionisti”: Mario Mafai e Gino Bonichi, noto come Scipione Bonichi o semplicemente, Scipione.
Prosegue la sua partecipazione alle mostre del Novecento Italiano, che in questo periodo si tengono soprattutto all’estero (Buenos Aires 1930, Stoccolma 1931, Oslo 1932). Nel 1931 partecipa con un dipinto alla Exhibition of Contemporary Italian Painting nel museo di Baltimore (USA). Una piccola personale è accolta dalla Biennale di Venezia del 1932.
Tra le altre mostre degli anni Trenta possiamo ricordare le varie edizioni della Biennale di Venezia e della Quadriennale di Roma, alle quali partecipa sempre con piccoli gruppi di opere.
Nel 1938 appare la prima monografia, quaranta opere introdotte da un testo di Adriano Grande, nella rivista genovese “Circoli”, diretta proprio dal direttore del giornale, Adriano Grande, e animata tra gli altri da Elio Vittorini, Leo Longanesi, Salvatore Quasimodo, Sandro Penna.
La sua collaborazione a “Circoli” è molto intensa e qualitativamente alta, con articoli che spaziano dalla recensione libraria alla pittura del seicento. All’inizio degli anni Quaranta c’è da segnalare un momento abbastanza curioso, rappresentato dai quadri dipinti per il salone dell’Aeronautica alla Biennale di Venezia del 1942 e poi esposti anche alla Mostra dell’arte aeronautica della Galleria di Roma (1943).
Una evasione dal repertorio consueto ma forse anche un segno delle difficoltà di lavoro nel periodo bellico. L’ultimo periodo della guerra è particolarmente duro: nell’aprile 1944 è arrestato dalla banda Koch che operava a Roma al servizio dei tedeschi e dei fascisti. Viene relegato nella Pensione Jaccarino per strappargli notizie del figlio Antonello ricercato dalle SS.
Antonello Trombadori
Antonello Trombadori nacque a Roma, il 10 giugno 1917 ed è stato un giornalista, un critico d’arte, un poeta in dialetto romanesco ed un politico italiano ma, soprattutto un partigiano combattente nelle “Brigate Garibaldi”. Amico fraterno di Renato Guttuso, da giovane collabora con alcune riviste, quali La Ruota, Primato, Città, Corrente, Cinema.
Studia prima al liceo Mamiani, in Viale delle Milizie, poi al liceo Visconti, nella piazza del Collegio Romano, frequentato anche da Paolo Bufalini e da Giulio Andreotti. Iscritto ai Gruppi Universitari Fascisti, partecipa ai Littoriali della cultura e dell’arte di Napoli (1937) e di Bologna (1940). Successivamente, dopo una iniziale simpatia per il liberalsocialismo, in quel periodo divenne amico di Bruno Zevi, si avvicina rapidamente al Partito Comunista clandestino, al quale si iscrive dopo l’entrata in guerra dell’Italia.
Ufficiale dei bersaglieri, Trombadori è inviato al fronte greco-albanese, dove è ferito e, per tale motivo, rimandato a Roma in licenza di convalescenza. A Roma, nel 1941, è arrestato con altri studenti e operai per avere organizzato moti all’Università La Sapienza contro la guerra, ed è condannato al confino dal Tribunale Speciale; Benito Mussolini gli propone la possibilità di proscioglierlo da ogni accusa, per via dell’importanza della famiglia, in caso di pentimento pubblico. Antonello Trombadori rifiuta ogni compromesso e viene confinato a Carsoli.
Alla caduta del fascismo, Trombadori rientra a Roma.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la fuga dei Savoia da Roma, in assenza di comandi militari, partecipa alla disperata difesa popolare della Capitale dall’occupazione tedesca a Porta San Paolo, dopo aver tentato di distribuire armi per la resistenza agli ordini di Luigi Longo e con il sostegno del generale Giacomo Carboni.
Durante l’occupazione tedesca della città costituisce i G.A.P.-Gruppi di Azione Patriottica, una formazione partigiana incaricata di effettuare attentati e sabotaggi contro il nemico. Arrestato il 2 febbraio 1944 dalle SS, Antonello Trombadori è imprigionato prima a Via Tasso e poi a Regina Coeli.
Riesce a scampare alla decimazione ordinata da Herbert Kappler, di 335 tra civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni, trucidati a Roma il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine, grazie all’azione del medico socialista del carcere Alfredo Monaco, che lo ricovera temporaneamente in infermeria. Successivamente è inviato al lavoro forzato sul fronte di Anzio, dove però fugge, riprendendo l’attività clandestina partigiana fino al giorno della Liberazione di Roma, il 4 giugno 1944.
Per i suoi meriti di combattente gli è conferita la medaglia d’argento al valore militare.
Dopo la Liberazione, Antonello Trombadori organizza la mostra “L’arte contro la barbarie”. Nel 1945 presenta l’album di disegni di Renato Guttuso “Gott mit uns” e nello stesso anno è aiuto regista di Roberto Rossellini e Carlo Lizzani per il capolavoro del cinema neorealista “Roma città aperta” con Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Si sposa con Fulvia Trozzi, figlia dell’avvocato e parlamentare socialista Mario Trozzi ed ha due figli: Duccio e Lucilla; più tardi avrà tre nipoti: Cecilia (1976), Ortensia (1979) e Charlotte (1991).
casa al mare Duccio Trombadori
Quanto ha contribuito alla sua arte pittorica l’influenza dei dipinti di Antonio Donghi?
Io mi limito a seguire annotazioni espressive che si condensano nell’arte di far parlare il “paesaggio italiano” come sintesi di forma-colore. Non so quanto sia riuscito nel mio intento. Più in là non vado. I miei riferimenti visivi? Certamente ho guardato Antonio Donghi, Mario Mafai ed altri della “scuola romana”, come soprattutto i dipinti di mio nonno Francesco Trombadori. Restano tuttavia modelli ideali i paesaggi di Carrà e Morandi, la lezione dei grandi toscani Soffici e Rosai, autori tutti di un paesaggismo tanto veridico quanto idealizzato. Ciò che nel mio piccolo, avrei l’ambizione di fare anche io.
Nel 1956 Antonello Trombadori è eletto consigliere comunale di Roma, nelle liste del PCI e viene confermato alle successive elezioni del 1960, 1962 e 1966. Nel 1967 è inviato speciale in Vietnam per conto del quotidiano l’Unità.
Nel 1968 è eletto deputato al Parlamento ed è confermato nelle quattro legislature successive come deputato della Repubblica Italiana dal 5 giugno 1968 al 1º luglio 1987.
Dopo la contestazione giovanile del Sessantotto, polemico con la deriva dell’estremismo interno ed esterno al PCI, Antonello Trombadori torna progressivamente su posizioni sempre più vicine al liberalsocialismo delle origini. E si avvicinerà alle posizioni ‘filosocialiste’ di esponenti comunisti come Paolo Bufalini e Giorgio Napolitano.
Dal 1976, anno in cui Bettino Craxi diventa segretario del Partito Socialista Italiano, Antonello Trombadori inizia una graduale riflessione che lo porterà nel 1993 a dichiararsi “non più comunista” ed a votare esplicitamente PSI, dal simbolo del garofano rosso.
Anche prima di questa personale “svolta”, è d’accordo con Bettino Craxi sulla riforma della scala mobile, iniziata con il decreto di San Valentino, e riserverà l’unica critica al segretario del garofano rosso solo durante il rapimento di Aldo Moro, non condividendo la sua proposta di ‘trattativa’ con le Brigate Rosse.
Si ritiene comunque “che in Trombadori non c’era traccia dell’antisocialismo tipico della classe dirigente comunista berlingueriana e che Craxi esercitava su di lui un certo fascino“.
Antonello Trombadori morì a Roma, il 19 gennaio 1993.
D.: Duccio Trombadori, come venne vissuta la tragedia Moro tra le vostre mura domestiche?
Fu un trauma terribile. E come l’avveramento di un destino fatale. Aldo Moro ci apparve, a me e a mio padre, come una vittima sacrificale, o il capro espiatorio di qualcosa che si voleva avvenisse, ma che non doveva avvenire: l’annunciato ingresso del PCI di Enrico Berlinguer nell’area di governo. Posso dire che in quei giorni pensai soltanto a come poter salvare Moro e a chi poteva stare dietro ai sequestratori. Pensai al folle estremismo di sinistra che aveva sottovalutato la pericolosità delle Brigate Rosse e del loro tentativo di gettare l’Italia nella guerra civile pregiudicando l’avanzata graduale e democratica del PCI, in previsione del suo inserimento nel “campo occidentale”. Fui allora sostenitore della massima fermezza nei confronti dei rapitori senza concedere spazi a nessuna trattativa. Forse sbagliavo. Si sa come sono andate le cose. Non so ancora oggi dire con precisione se dietro il rapimento e l’assassinio di Moro ci fossero manovre segrete di potenze straniere. Forse si, forse no. Fatto sta che con la morte del presidente della DC, la politica italiana venne stravolta, e la marcia del PCI attraverso le istituzioni democratiche si bloccò, con il ritorno alla opposizione con toni settari e antiriformisti.
Che ricordi ha dell’amicizia politica o meglio, dell’affinità politica tra suo padre Antonello e Bettino Craxi?
Mio padre Antonello fin dagli anni ’60 si era dichiarato come favorevole all’incontro sempre più ravvicinato di comunisti e socialisti in nome di una evoluzione socialdemocratica del comunismo italiano. Questa posizione si accentuò quando Berlinguer, in nome della “questione morale”, si lanciò in una polemica senza quartiere contro i partiti del centro-sinistra e contro il PSI di Craxi in particolare. Ricordo che tra mio padre e Craxi non c’era amicizia, ma corrente autentica di simpatia e affinità politica. A partire dal comune amore per l’opera e la figura di Giuseppe Garibaldi, dei cui cimeli e scritti Bettino Craxi era collezionista, come anche mio padre. In proposito, tra i due avvennero scambi di omaggi garibaldini con dedica reciproca sulle “memorie” del Generale in camicia rossa, sull’impresa dei Mille, ed altro ancora.
D.: Come sta affrontando il complesso periodo “politico” che coinvolge il mondo intero?
Dopo avere operato come giornalista militante del PCI (fino al 1991), sono poi approdato alla CISL, sindacato nel quale ho lavorato per venti anni, condividendone le impostazioni riformiste in materia di contrattazione e di autonomia dal sistema politico. Resto tuttavia in attesa della formazione di una convincente forza socialista democratica e liberale capace di rappresentare il mondo del lavoro nel suo insieme affrontando tutte le difficoltà economiche e sociali poste in Italia e in Europa dalla crescente integrazione globale. In questo senso, mi pare abbia tentato di dare una risposta il Partito Democratico. Ma la ritengo ancora oggi abbozzata, imprecisa, e piena di domande irrisolte (politiche, ideali, culturali). Spero che questa esigenza venga soddisfatta nel futuro. La parola “socialismo” non è una parolaccia. Bisogna trovare il modo di poterla pronunciare ancora con coraggio e ottimismo.
Le chiedo una riflessione sull’attuale condizione culturale del Paese.
Vince su tutto il “presente irredimibile” del web, di internet e dei circuiti informativi mediatici. È il nuovo territorio su cui si fondano le sommatorie sociologiche delle “identità culturali” (costui, opinione, morale corrente, ecc). Le élite di pensiero non sono morte, sono eclissate, non tengono più il campo della informazione culturale, che è passata nelle mani dei conduttori televisivi o altro. È il nuovo modo di esprimersi dello “spirito pubblico”. Lo si può disprezzare, ma non esorcizzare. Io non sono tuttavia pessimista. Ogni generazione incontra il mezzo di comunicazione e i “sistemi di valore” che quello stesso mezzo impone. Ci vorrà tempo per attraversare questa esperienza e ridimensionarne la portata informativa. Ma il tempo è galantuomo e saprà alla fine distinguere il grano dal loglio. Glielo ho già detto che sono un ottimista…!
Ritorniamo alla storia di suo nonno paterno. Dopo la guerra Francesco Trombadori inizia un nuovo periodo pittorico, dedicato a una originale e raffinata lettura del paesaggio romano in chiave neometafisica. Tra le mostre possiamo ricordare le personali alla “Galleria del Pincio” (Roma 1951), alla “Tartaruga” di Plinio De Martiis (Roma 1955), Le vedute di Roma furono raccolte nel 1958 in una personale alla “galleria del Vantaggio” di Roma, al “Centro San Babila” (Milano 1960), alla “Galleria Russo” (Roma 1961). Dal 1950 in poi torna sempre più frequentemente in Sicilia, nella sua Siracusa.
Francesco Trombadori 1919 Siracusa Mia
Francesco Trombadori muore a Roma, il 24 agosto 1961, nel proprio studio, a pochi mesi dalla sua ultima mostra personale.
Nel 1983 Maurizio Fagiolo, Netta Vespignani, con Antonello e Donatella Trombadori, danno vita all’Archivio della Scuola Romana.
Dal 1985 nella Villa Strohl-Fern, è lo studio n. 12 di Francesco Trombadori, l’archivio personale, con alcuni quadri, gli appunti e i suoi libri.
Lo studio del pittore è dal 1991 aperto al pubblico, agli studenti di ogni ordine e grado, e agli studiosi.
A Roma, a Villa Strohl-Fern che attualmente è di proprietà dello Stato Francese e sede del Lycée Chateaubriand, è visitabile lo studio che il pittore allestì in questo ampio spazio verde così come gli altri angoli di pittura degli artisti dell’epoca; lo studio di Francesco è tra i pochi studi d’artista vincolati dal Ministero per i beni culturali e ambientali. Oggi rimane il fascino dell’ultima e unica testimonianza della vita artistica e culturale che si è svolta per oltre un secolo nel luogo magico di Villa Strohl-Fern.
Giuseppe Lorin
(Articolo in prima pubblicazione su Periodico Italiano Magazine.it)