E’ accaduto ieri nel pavese, il compagno ha cercato di uccidere la sua convivente incinta al secondo mese dandole fuoco con dell’alcol, la donna ha riportato ustioni per il 50% del corpo.
I carabinieri di Bereguardo (Pavia) giunti sul posto hanno arrestato in flagranza di reato un romeno di 41 anni per tentato omicidio ( Vellezzo Bellini, in provincia di Pavia). La donna è ricoverata all’ospedale Niguarda di Milano in prognosi riservata, le sue condizioni sono gravissime, ma sembra non sia in pericolo di vita.
E’ accaduto la notte scorsa quando l’uomo, rincasato ubriaco, si scaglia contro la compagna, una donna italiana di 40 anni. I due iniziano a litigare. L’uomo afferra una bottiglia di alcol etilico e la getta addosso alla compagna. Poi con l’accendino le dà fuoco. Le urla della donna hanno svegliato i vicini che hanno chiesto subito aiuto. Lei ha fatto appena in tempo a chiedere aiuto, a indicare ai carabinieri chi le aveva cosparsa di alcol e con un filo di voce ha detto “ è stato lui”, poi ha perso i sensi e si è accasciata a terra.
Gli interrogativi sono sempre gli stessi, inizialmente la donna ha dichiarato di essere vittima di un incidente domestico, ma poi ha spiegato che era stato il compagno ad aggredirla. Un interrogativo che ci fa riflettere. Aveva paura di accusare il compagno, atteso che stava per ucciderla? E se l’avesse fatta franca avrebbe provato nuovamente ad ucciderla? Da qui il terrore nel denunciare ed accusare un compagno, un ex marito che avendo provato ad uccidere, può farlo ancora.
È difficile comprendere le paure, le mie emozioni, i sentimenti che prova una donna quando viene aggredita, soprattutto quando pensa che da lì a poco potrebbe perdere la vita in un istante. Una donna che subisce violenza oggi, come raccontano le cronache giudiziarie, ci mostrano realtà ben lontane da ciò che dovrebbe essere la protezione di donne e figli.
Le istituzioni invitano sempre le donne a denunciare, i procuratori invitano a depositare una denuncia anche per una “banale spinta”, o un messaggio non apprezzato, oppure come da sentenza della Corte di Cassazione (condannato un uomo) un mazzo di fiori non gradito, ma poi accade in alcuni tribunali una sorte ancora peggiore, se ancora la donna non è morta. Anni ed anni sotto accuse e processi, soldi spesi, senza più una vita, oltre al terrore della morte. Intanto l’uomo violento, si sente “protetto” se non ancora arrestato, motivo per cui lo induce a pedinamenti, all’invio di messaggi, al controllo della propria ex moglie per farla vivere in uno stato di terrore quotidiano.
Molte donne non vengono credute, sono sottoposte per anni a procedimenti giudiziari in cui si cerca di farla passare come carnefici, e l’uomo spesso viene protetto. Ma perché ci chiediamo? Che interesse c’è nel difendere un uomo violento?
In questo secondo inferno in cui si trovano le donne, che temono anche di denunciare, oppure se lo fanno vengono anche rinviate a giudizio per calunnia, spiega perché ancora oggi ci sono tanti femminicidi senza che venga realmente risolto alla fonte.
Da gennaio ad oggi sono 22 i femminicidi, le donne continuano a morire, figli orfani, famiglie distrutte, tutto che si sarebbe potuto evitare. Se solo quella denuncia fosse stata presa in considerazione!
Un femminicidio non accade mai per caso, ci sono sempre degli atteggiamenti violenti precedenti, maltrattamenti, ossessione, droghe, alcool per cui un femminicidio è prevedibile soprattutto perché la maggior parte delle donne che muoiono avevano già presentato 10,20, 30 denunce, tutte rimaste inascoltate.
A pochi giorni dal decimo anniversario della ratifica della convenzione di Istanbul (11 maggio), ancora oggi non vengono rispettate neppure le convenzioni europee, norme che se fossero rispettate, metterebbero in protezione donne e soprattutto bambini ed eviterebbero tanti femminicidi.
Quando cambierà qualcosa in questo paese? Forse le donne sono solo “numeri” da elencare nel necrologio?
Di Giada Giunti