Dalla presentazione del Protocollo Napoli (consulenza tecnica in caso di violenza domestica, deliberato dall’Ordine degli psicologi della Campania e approvato dall’ordine Nazionale) del 24 giugno dell’anno scorso (presentato dalla agenzia DIRE), dai numerosi seminari, si arriva al webinar del 6 maggio sulla pagina facebook del protocollo Napoli, organizzato dalle dottoresse, Caterina Arcidiacono (ordinario di Psicologia Unina), Antonella Bozzaotra (presidente dell’ordine degli psicologi della Campania), Elvira Reale (responsabile scientifica dell’associazione Salute donna e centro Dafne di Napoli e consulente della commissione parlamentare sul Femminicidio), Gabriella Ferrari Bravo (psicologa presso il centro antiviolenza Napoli Aurora), dalle psicologhe promotrici del protocollo Napoli in Campania.
L’ attività di informazione degli intervenuti e di messaggio di corretta applicazione delle norme vigenti, è esattamente in linea con i risultati della scienza, in particolare delle psicologie e con le neuroscienze.
Un webinar lungo di 2 ore e mezza, nelle parole di specialisti che rappresenta la massima espressione per competenza e conoscenza della materia. Psicologhe e magistrati, un confronto sulla violenza contro donne e bambini e soluzioni in tre focus.
Auspichiamo che questi si possono moltiplicare il più possibile sia per un confronto tra esperti, ma soprattutto per veicolare nell’opinione pubblica e nelle istituzioni di riferimento, conoscenze e sapere importanti e fondamentali per modificare l’attuale amministrazione della giustizia, in particolare in quella minore.
Sono tre i focus su cui si concentreranno gli esperti, procedimenti penale e false accuse, quanto pesano nei tribunali civili, la distinzione tra conflitto e violenza, la legge sulla bigenitorialità.
Ho deciso per l’importanza anche di questo webinar, per gli argomenti trattati e per le persone che vi hanno partecipato, di preparare 3 articoli con i tre focus distinti, proprio per dare ampio spazio a quanto è stato trattato, argomentato, temi di attualità, di grande importanza, soprattutto atteso il fatto che riguardano i diritti dei minori, sovente calpestati, ed il contrasto alla violenza di genere.
In questo articolo parleremo del primo punto e successivamente del secondo e del terzo.
Sembra inderogabile sia necessaria una radicale riforma della giustizia, imporre il rispetto delle normative nazionali, sovranazionali, le Convenzioni europee, le sentenze della Suprema Corte di Cassazione, impedire che alcuni soggetti possano delinquere, oltre ad una modificazione del reclutamento.
La disaffezione dei cittadini nei confronti della amministrazione della giustizia degrada continuamente.
“Il tema di oggi”, ci spiega la dottoressa Caterina Arcidiacono (Università Federico II di Napoli) che introduce il webinar, è “ magistrati e psicologi a confronto sulla violenza domestica, affidamento di figli minorenni nell’ambito della convenzione di Istanbul”.
Quando si parla e si lavora contro la violenza sulle donne, ma soprattutto di bambini, non solo bisogna avere le competenze, particolare e nobile sensibilità, ma anche non appartenere a quel genere di “mentalità” che non protegge donne e bambini, anzi li fa precipitare in un abisso di violenze e maltrattamenti da cui difficilmente si esce.
Ed ecco che arrivano in aiuto di donne e bambini una folta squadra fatta di psicologhe a cui molti dovrebbero fare riferimento e leggere integralmente il “protocollo Napoli” (dovrebbe essere applicato nei tribunali) e giudici che innalzano il prestigio della magistratura.
Mi riferisco al presidente Vicario del Tribunale di Milano, il dottor Fabio Roia, il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, la dottoressa Francesca Ceroni e la giudice del tribunale di Napoli dottoressa Rosetti.
Continua la dottoressa Arcidiacono, “ apparentemente il tema è facile perché abbiamo la convenzione di Istanbul, apparentemente siamo tutti animati da ottime migliori intenzioni della tutela dei bambini, della tutela delle vittime e di isolamento della dannosità del perpetratore di violenza, ma quando questi discorsi di principio, di teoria di obiettivi generali diventano pratiche bisogna andare a capire le implicazioni che le pratiche, le gestione delle pratiche portano e bisogna anche capire come interagiscono gli specifici delle diverse professionalità.
Lo psicologo anzitutto nell’ambito di un intervento di violenza domestica e di gestione di affido dei minori deve avere da un lato delle conoscenze su quelle che sono le competenze genitoriali, deve avere delle conoscenze su quelle che sono le fasi dello sviluppo di un minore, di un bambino, di una bambina ma essenzialmente il suo lavoro deve consistere nel creare un contesto, uno scenario, uno spazio all’interno del quale la persona il minore possa sentirsi affidato, possa sentire uno spazio nel quale può parlare, uno spazio di fiducia e di rispetto nel quale può essere capito per quello che viene a esprimere.
Questo è quello che permette la costruzione di uno scenario nel quale si può cominciare a ragionare per capire che cosa fare.
Noi qui dobbiamo lavorare nell’ambito di quelli che sono i fatti e i fatti sono nell’ambito della gestione familiare, qual è la violenza, chi la usa quali sono gli effetti di questa violenza, ma anche in una logica positiva, chi dà le cure, come dà le cure, come gestisce le cure e, quindi, dobbiamo andare a creare, a costruire una storia di quella che è la storia delle cure primarie. Poi via via via secondari con le quali è stato cresciuto cresciuta il bambino o la bambina
quindi l’intervento psicologico deve permettere l’espressione della conoscenza sui fatti della relazione nei fatti, nella gestione di come sono avvenuti e avvengono
La dimensione interpretativa la dimensione prospettica, la dimensione visto che oggi è così, domani non so che cosa, questo non attiene a un discorso sull’affidamento di figli minori e perché la priorità non è tanto l’interpretazione ma la priorità è proprio la costruzione di uno scenario, nel quale le persone e il minore la minore innanzitutto possano sentirsi accolti e ritenuti afidevoli, affidabili in quello che dicono.
Questa è una premessa che può sembrare molto sciocca o molto banale, ma è la premessa di un intervento psicologico in ambito giudiziario, in ambito sociale per affido di minori che è molto diverso da quello che è una presa in carico clinica, per un percorso terapeutico, di cura di rimedio, di recovery da quelli che sono i danni subiti”.
La premessa non è per niente “molto sciocca o molto banale”, perché sappiamo che purtroppo ciò che è sancito dalle normative ed anche dal buonsenso, non viene rispettato molto spesso quando si decide per i bambini, i fatti di Bibbiano, del Forteto, di Massa, come di tutta Italia, sono purtroppo noti.
Spiega la dottoressa Arcidiacono che con la dottoressa “Antonella Bozzaotra, la responsabile di Olv, oltre la violenza, centro per il trattamento la cura e la prevenzione dell’azione degli uomini autori di violenza domestica, che ha messo in piedi all’asl Napoli uno centro unico, un centro pubblico del Sud Italia e se non sbaglio, forse italiano” ha una esperienza di “collaborazione con un progetto europeo che si chiama Vidax, con un progetto della presidenza del Consiglio dei ministri, con un progetto della Fondazione per il Sud.
Antonella Bozzaotra, presidente dell’ordine degli psicologi della Campania
“Sappiamo bene quello che succede nell’ambito dei procedimenti penali e di come il rischio della violenza istituzionale della rivitalizzazione è continuo soprattutto nei confronti delle vittime di violenza assistita e quelli dei bambini, di minori e delle loro madri.
Il primo focus riguarda l’istruttoria e quindi l’intervento del PM come e come pesano i procedimenti penali e soprattutto come pesa il mito delle false accuse; noi sappiamo bene che molto spesso nei confronti delle donne che fanno delle denunce, le donne non vengono prese in considerazione, alle donne non si crede e questo crea una serie di problemi compresa quella che individuiamo come violenza istituzionale e rivitalizzazione secondaria.
Il tema lo introduce Gabriella Ferrari Bravo, psicologa presso il centro antiviolenza Napoli Aurora
Introduce il tema la dottoressa Gabriella Ferrari Bravo che ci spiega il motivo per il quale hanno realizzato questo webinar. “Perché l’istruttoria secondo noi e secondo la giurisprudenza, ovviamente, è il momento centrale in cui il processo prende la sua fisionomia e determina in un certo modo tutto il resto del provvedimento, sia in campo civile sia in campo penale.
E tra le altre cose assumono importanza ancora più rilevante quando c’è in ballo il tema della violenza domestica, degli interessi dei minori e degli interessi di chi subisce violenza perché è il luogo e lo spazio nel quale si può discriminare in un modo corretto le situazioni di conflitto, dalle situazioni di violenza che molto spesso vengono confuse purtroppo”.
E ci fornisce una soluzione e cioè “ l’ interdipendenza tra il processo penale ed il processo civile e anche il processo davanti al tribunale per i minorenni è dovuta nell’interesse di chi è attore nel processo, ed è dovuta soprattutto ai minori che sono evidentemente la parte più debole.
Naturalmente ne viene di conseguenza il discorso sul pubblico ministero che malgrado si siano delle norme che precisano che tutto quanto c’è nel processo penale sia a conoscenza degli attori del processo civile e viceversa, questa disposizione di legge, di norme, non viene sempre osservata.
Ci porta, quindi, a dei fenomeni di rivittimizzazione, ad arrivare a delle incongruenze e arrivare sostanzialmente a poca giustizia, malgrado il grande sforzo.
Questo ha a che fare per esempio molto da vicino con le consulenze tecniche che diventano quasi un atto dovuto in molti processi per l’affidamento dei figli, quindi nel processo in sede civile e che come se si ignorasse tutto quello che già si è svolto e che già è stato accertato nella sede penale” .
Precisa la dottoressa Gabriella Ferrari Bravo che questo “ovviamente non significa che il penale e il civile abbiano lo stesso peso e lo stesso valore sulle sugli stessi contenuti, perché sono due branche completamente diverse, però questo vuol dire una cosa che il giudice civile non ha bisogno di arrivare al terzo grado, che si arrivi nel penale al terzo grado di giudizio per riconoscere una situazione di violenza familiare. Quindi non è questo il punto, mentre invece molto spesso sembra che questo sia il punto, cioè nel senso che quando c’è un processo penale che non è concluso e non è perfezionato con una sentenza di condanna è come se venisse completamente ignorato in sede civile.
Questa è una realtà che vediamo molto spesso ed è una realtà che consente una sorta di “abuso” nei confronti di chi si presenta in sede civile con una storia di violenza e si sente dire fino a quando non c’è una condanna noi non possiamo interrompere la violenza”.
La sostituta procuratrice generale della Corte di Cassazione, dottoressa Francesca Ceroni
Dalle parole” i bambini non si tolgono neanche ai mafiosi”, alla requisitoria (16 febbraio 2021) che ha messo un punto alla PAS ed elenca una serie di violazioni delle normative da parte della Corte d’Appello di Roma, arriviamo ad un volto, il volto di una donna, che nella sua semplice, chiara esposizione, come pure professionale, trasmette anche quella delicatezza, come ogni persona che partecipa al webinar, quell’amore trasuda dalle sue parole ed espressioni e la porta a lottare nella difesa dei bambini.
Per quanto riguarda il primo focus la procuratrice dottoressa Ceroni è più che chiara, ci fornisce una risposta secca, “i procedimenti penali pesano pochissimo ed invece il mito delle false accuse pesa tantissimo, false accuse che drammaticamente inverte l’onere della prova. Nel senso che a questo punto è la donna che deve provare di dire la verità e tra l’altro con stupore mi rendo conto che sostengono appunto il mito, si autosostiene anche con l’opinione di persone estremamente competenti e professioniste proprio della materia”.
La dottoressa Ceroni ci racconta la versione di un noto collega universitario che sosteneva che “nel nostro ordinamento esiste una presunzione di innocenza e non esiste invece una presunzione di verità delle dichiarazioni della vittima. E quindi, dice, è inevitabile che nel bilanciamento si tuteli maggiormente quella che è poi la presunzione vera che è quella di innocenza”
La dottoressa Ceroni per sfatare il mito che molto accomuna molti giudici che decidono sul futuro dei bambini e cioè “ l’idea che esistono delle donne maligne, delle donne che per soldi o per vendicarsi magari dell’abbandono farebbero qualunque cosa” ha proposto un “esperimento mentale” ad una collega “che stimo molto e che so animata da ottimi propositi” perché si era resa conto che “che non riuscivamo a trovare da un punto di vista teorico, trovare un punto di contatto”.
E la prova è stata accertata con una percentuale di numeri, “facciamo un esperimento mentale, facciamo un giro d’orizzonte sui nostri 30 anni di età, di attività e verifichiamo in quante false denunce ci siamo imbattute e quante donne maligne per vendicarsi della dell’abbandono per soldi hanno accusato ingiustamente i padri dei loro uffici delle malefatte orribili e, invece
in quante donne ci siamo imbattute che davvero avevano subito violenza economica, moltissime, violenza psicologica, credo molte di più di quelle che poi ho accertato e violenza fisica e tutto quello che sappiamo. Ed effettivamente poi la collega in modo onesto intellettualmente mi ha detto no effettivamente, hai ragione, perché di fatto è vero che ricordo pochissime donne maligne e moltissimi uomini maltrattanti”. Onore anche alla collega!
La soluzione, ce la fornisce la dottoressa Ceroni “ e allora forse trovare un sistema per accertare statisticamente questo sarebbe utile a tentare di smantellare questo mito delle false accuse”.
La tematica sul pubblico ministero
Continua la Ceroni “c’è il nostro articolo 70 del codice di procedura civile che prevede che in tutti procedimenti di separazione e di divorzio di affidamento di figli minori il pubblico ministero debba intervenire obbligatoriamente. E come ha interpretato la Cassazione questo intervento obbligatorio?
Non ci sono pronunce recentissime almeno io non le ho trovate però sono abbastanza chiare le quali affermano che per l’ osservanza, c’è le leggo così almeno non interpreto: ” per l’osservanza delle norme che prevedono l’intervento obbligatorio del pubblico ministero nel processo civile è sufficiente che gli atti siano comunicati all’ufficio del pubblico ministero per consentirgli di intervenire nel giudizio senza che rilevi opposta in alcun modo essere oggetto di censura o di nullità processuale, il modo di intervento di tale organo eluso fatto del potere di intervento a lui attribuito trattandosi di modalità rimesse alla sua dirigenza.
Io credo proprio che sul ruolo del pubblico ministero ci sia moltissimo lavoro da fare, moltissima formazione e moltissima riflessione perché è questo lo prevede l’articolo 72 del codice di procedura, che appunto prevede che i poteri del Pubblico Ministero nel processo civile.
E allora il secondo comma dice il pubblico ministero può produrre documenti, dedurre prove prendere conclusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti, per cui il codice di rito da un’amplissima possibilità per il Pubblico Ministero di essere parte attiva ed io spero e credo che dovrebbe proprio puntare ad essere la cerniera trait d’union tra processo penale e processo civile.
Tra l’altro rispetto all’impostazione che pretendeva che ci fosse una sentenza penale passata in giudicato per poter, insomma, affermare nel processo civile ed effettivamente eravamo alla presenza di un uomo violento o maltrattante, oggi si ritiene, purtroppo però la formazione rimane un punto dolente, quindi le persone specializzate e formate sui processi che riguardano la violenza nei confronti di donne e bambini sia nel penale, ma soprattutto nel civile, si ritiene che in realtà ci sia la necessità di una collaborazione di un coordinamento sempre più stretto tra autorità giudiziaria penale e autorità giudiziaria civile. Dico questo perché già nel 2018 con una risoluzione del maggio lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura ha raccomandato con delle linee guida che teoricamente gli uffici giudiziari dovrebbero rispettare, ha raccomandato il coordinamento tra autorità giudiziaria civile e penale nel caso in cui vi siano indagini della procura ordinaria che riguardano i medesimi soggetti che siano parte nei giudizi civili o minorili in cui si ipotizzino condotte di abusi familiari, intrafamiliari o familiari.
E poi il segnale è chiarissimo anche perché lo ha dato lo stesso legislatore nel varare il codice rosso, perché lo sappiamo che all’articolo 64 bis delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale, ha previsto la trasmissione obbligatoria dei provvedimenti al giudice civile ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi, e delle cause relative all’affidamento dei figli minori o comunque all’esercizio della responsabilità genitoriale.
Quindi diventa cruciale ridisegnare il ruolo del PM ordinario, affari civili per il contrasto alla violenza su donne e sui bambini”.
Una chiarezza estrema per documentare ciò che malauguratamente avviene nei tribunali “ purtroppo però la resistenza del sistema è forte, ancora è evenienza frequente che al processo penale relativi a reati di maltrattamenti, atti persecutori, abusi sessuali, minacce ..”
Conclude il primo focus, “continua ad essere frequente che nel processo civile si discute di affidamento magari si dà l’incarico al CTU di capire qual è il genitore migliore e nel processo penale c’è una misura cautelare di allontanamento.”
Il presidente vicario del Tribunale di Milano, dottor Fabio Roia
Della stessa opinione il presidente vicario del Tribunale di Milano, il noto dottor Fabio Roia, autore peraltro del libro “crimini contro le donne, politiche, leggi, buone pratiche.
“Partiamo ad alcuni dati per sviluppare una riflessione che in parte è già stata avviata nella magistratura giudicante solo il 17% di giudici sono specializzati nella trattazione di affari che riguardano la violenza domestica che è un dato bassissimo.
Sono dati del 2018 quindi probabilmente grazie all’attività di formazione e di intervento del Consiglio Superiore della Magistratura questo dato sia innalzato però è un dato veramente avvilente. Là dove per specializzazione non intendiamo esclusività nella trattazione di affari perché questo ovviamente non è possibile in taluni Tribunali soprattutto in quelli medio-piccoli dove i giudici devono fare un pò di tutto, ma specializzazione significa conoscenza di scienze complementari che portino poi il giudice che è il padrone del progetto e che quindi non può delegare surrettiziamente delle decisioni che competono al giudice e mi riferisco ovviamente sia al giudice penale che a quello civile o a periti nel primo caso a consulenti tecnici d’ufficio come spesso avviene nei giudizi di separazione e divorzio, non può delegare, deve avere però la padronanza di alcuni istituti per poter dominare e controllare gli ausiliari che sono da i servizi sociali ai consulenti tecnici d’ufficio.
Dico questo perché credo che noi siamo ancora vittime di pregiudizi, pregiudizi, Francesca Ceroni citava questa frase di questo noto professore universitario, vorrei dire al professore universitario attraverso Francesca Ceroni che noi abbiamo un sistema per il quale possiamo arrivare ad una sentenza di condanna solo sulle base delle dichiarazioni della persona offesa che è testimone che quindi assume una qualità impegnativa dal punto di vista dell’ordinamento nella rappresentazione di fatti perché lo dice sotto l’assunzione di responsabilità e, quindi, se dice cose non vere commette reato di falsa testimonianza se non di calunnia, noi possiamo arrivare ad una sentenza di condanna solo sulla base della dichiarazione della vittima del reato.
Il problema è che questo va bene se la vittima del reato è un reato non so di truffa di rapina di ricettazione di reati comuni, quando andiamo a parlare di reati che interessano le vicende intrafamiliari le relazioni di intimità evidentemente il giudice ha una forma di ritrosia e applica dei pregiudizi. Applica secondo me quello che Calamandrei citava nel 1953 in un saggio bellissimo “la crisi della Giustizia” una sorta di condizionamento che noi non abbiamo il coraggio di confessare nemmeno noi stessi che deriva dalla nostra formazione culturale, dal nostro credo politico, dalla nostra sensibilità o meno su temi che sono come questi che trattiamo di grande sensibilità”.
Il presidente Roia che si occupa “di misure di prevenzione, quindi giudico la pericolosità sociale di soggetti”, ci racconta un aneddoto secondo cui un avvocato donna nel depositare una denuncia di maltrattamenti da parte di una cliente donna aveva già appellato la denuncia come “strumentale” perché “questa denuncia è stata presentata all’inizio della fase di separazione si sa che le denunce sono tutte strumentali ad ottenere dei benefici.
Questo è l’approccio comune banale se volete superficiale che ancora oggi abbiamo nei nostri Tribunali”, commenta Roia ed aggiunge “è smentito da un fatto, se la donna volesse ottenere un beneficio sul piano non so dell’affidamento dei minori sul piano del collocamento dei minori sul piano economico in sede civile certamente non dovrebbe presentare una denuncia perché oggi abbiamo il problema contrario, che cioè c’è una sottovalutazione totale non solo delle denunce, ma addirittura di ordinanze di misure cautelari e quindi con un giudizio di valutazione su gravi indizi di colpevolezza da parte del giudice penale o addirittura di sentenze di condanna di primo grado da parte del giudice civile che tende a ignorare tutta la situazione di violenza domestica accertata anche incidentalmente nel ramo penale. E su ciò credo ci torneremo in violazione palese dell’articolo 31 della convenzione di Istanbul che è norma operativa nel nostro sistema questo lo dice apertamente una sentenza a sezioni unite della Corte di Cassazione del 2016 la quale si ricorda ricordano i giudici che tutte le convenzioni sovranazionali soprattutto di rango europeo e ratificate in Italia che non trovano elementi di contrasto in norme positive interne devono essere applicati dai giudici.
Noi abbiamo visto quanto poco i giudici e in generale gli avvocati che non sono specializzati richiamino questi atti sovranazionali per sostenere delle tesi, per esempio nella tema del necessario accertamento che il giudice civile deve fare della violenza intra domestica esercitata dall’uomo prima di decidere sull’ affidamento dei minori, credo che su questo ci torneremo, cosa che non avviene”.
Con altrettanta estrema chiarezza Roia “allora i procedimenti penali quanto pesano? Zero, pesano zero perché c’è questa sorta di schizofrenia del nostro sistema giudiziario, per cui il giudice civile non accetta quello che accade nel procedimento penale, non recepisce le carte soprattutto non le valorizza avendo poi un potere istruttorio autonomo e doveroso perché è vero che i poteri istruttori del giudice civile sono molto inferiori rispetto a quelli del giudice penale, ma quando deve decidere in merito all’affidamento dei minori deve valutare perché ripeto lo dice l’articolo 31 della convenzione di Istanbul che è stato richiamato dal legislatore Nazionale perché quell’articolo il 64 bis disposizioni attuazione che prevede una trasmissione di tutti gli atti del processo penale nel civile non è altro che l’attuazione dell’articolo 31 della convenzione di Istanbul che legislatore del codice rosso Legge 69 del 2019 ha voluto in qualche modo attuare nell’ordinamento italiano.
E questo però non accade perché c’è una sorta di pregiudizio c’è una sorta anche da parte dei consulenti non è il loro compito he, l’attività istruttoria dovrebbe essere compiuta dal giudice civile, di verificare di pesare, di accertare la situazione di violenza domestica esistente perché evidentemente e qui dico una banalità, se noi abbiamo un padre violento tanto per rimanere i dati statistici evidentemente questo padre questo modello di padre violento non può essere fino a quando non riconosce i suoi agiti violenti e soprattutto non si mette in gioco e supera questi agiti violenti un buon modello di riferimento per il minore che magari ha assistito o ha assorbito o ha percepito le situazioni di violenza domestica”.
Si esprime nuovamente il Grevio in difesa il contrasto alla violenza sulle donne e bambini e bacchetta nuovamente l’Italia
“Questo nei nostri tribunali accade poco, c’è un giudizio veramente pesante del Grevio che voi sapete è quel comitato di esperti del Consiglio d’Europa che ha avuto il compito di verificare l’attuazione della convenzione di Istanbul in tutti i paesi che hanno sottoscritto. Il rapporto del Grevio è del gennaio 2020 ed ha un giudizio pesantissimo su come in Italia venga applicato l’articolo 31 della convenzione di Istanbul, tant’è che dice che se l’interpretazione dei giudici continuano a essere in questo senso cioè sostanzialmente di totale abbandono di totale rifiuto di verificare una situazione di violenza domestica esistente bisognerà riscrivere la legge sull’affido condiviso, legge con un obiettivo ben preciso a verificare l’idoneità dei genitori nell’interesse del minore, ma non come un diritto adultocentrico, come un dovere un servizio di favore dell’interesse del minore e che invece viene attuata come un diritto quasi meccanico.
Allora innanzitutto diciamo che la professionalità e la competenza è il primo drenaggio ed eventuali false. Io mi occupo a vario titolo di questi fatti, di questi reati, di questi fenomeni dal 1991, e devo dire che nella mia carriera mi sono imbattuto in una falsa accusa che riguardava una falsa accusa di abuso sessuale. Altre false accuse nel senso di una rappresentazione totalmente falsa dei fatti quindi calunniosa per ottenere dei benefici, io non ne ho intercettate. Allora, delle due o sono io stato fortunato nel corso di questi lunghi anni, oppure sono come dire non attrezzato per fare questo tipo di lavoro, perché l’operazione intellettualmente disonesta che viene fatta è assimilare le false accuse a tutti i dati dei procedimenti penali che si esauriscono per archiviazione o per assoluzione. Questo lo fa chi non vuole conoscere o non conosce quello che è il ciclo della violenza.
La conclusione di Roia è altrettanto netta e precisa, senza giri di parole, per evidenziare un modus operandi che deve terminare, “chi dice che è una falsa accusa prendendo il dato di assoluzione vuol dire che lo dice o perché non conosce il fenomeno e quindi è meglio che stia zitto, oppure perché lo dice in malafede e questo evidentemente ancora più pericoloso”.
La giudice Valeria Rosetti, prima PM e successivamente giudice della 1° sezione civile del Tribunale di Napoli
La parola passa alla dottoressa Rosetti che con saggia umiltà, nonostante la sua duplice esperienza di PM e giudice della famiglia, conclude il primo giro riguardo il primo focus.
“Io sono una che continuamente nei suoi provvedimenti fa riferimento alla convenzione di Istanbul sono forse un pò in minoranza, nel senso che a mio avviso la convenzione di Istanbul ha sicuramente rappresentato, secondo me, un cambio di prospettiva radicale, nel senso che ha avuto veramente una portata dal mio punto di vista rivoluzionaria dico questo io ho fatto per tanti anni faccio questa premessa il pubblico ministero minorile.
Il fatto di aver accumulato nel corso degli anni l’esperienza come pubblico ministero minorile e come giudice della famiglia io penso che sia una ricchezza, nel senso che come se avessi diciamo sposato entrambe le prospettive sia dell’accusa ovviamente nell’ambito dei giudizi penali, sia del pubblico ministero ricorrente nell’ambito dei giudizi de potestate e attualmente mi ritrovo nella funzione di giudice della famiglia.
Perché dico la convenzione di Istanbul ha avuto una portata rivoluzionaria perché ci impone un cambio di prospettiva, come diceva giustamente il presidente Roia fino a un recente passato per addivenire a determinate provvedimenti in sede civile, era sempre necessario attendere una sentenza di condanna penale passata in giudicato o quantomeno una sentenza di condanna di primo grado o quantomeno una misura cautelare, ma sappiamo bene, non lo dobbiamo mai dimenticare che i presupposti sono diversi, nel senso che per la misura cautelare io ho bisogno di esigenze cautelari, ho bisogno di oltre della gravità indiziaria del pericolo di reiterazione, così come i tempi per addivenire ad una condanna penale di primo grado sono dei tempi che non necessariamente, anzi sono ontologicamente incompatibili con i tempi urgenti, soprattutto io dico della fase più delicata cioè il provvedimento presidenziale.
Noi ci troviamo dinnanzi al presidente della fase separativa e divorzile che certo non può aspettare probabilmente neanche la misura cautelare che non è detto che venga mai richiesta per l’assenza dei presupposti; il rischio è di trovarsi però dei provvedimenti che non siano aderenti alla realtà solo perché si attende un provvedimento penale che ha dei presupposti diversi e questo il giudice civile, a mio avviso, non lo deve mai dimenticare.
Ci viene in aiuto ed è questa la portata rivoluzionaria, l’articolo 3 della convenzione di Istanbul perché dà una definizione di violenza che è una definizione ben diversa rispetto quella che può essere stigmatizzata in singoli reati di rilievo penale.
Un conto è che il soggetto si renda autore di condotte che possano integrare in lesioni, minacce, ma anche una 612 bis, gli atti persecutori lo stalking o finanche il 610 diciamo come violenza privata, un conto invece è la violenza che può avere rilievo nei provvedimenti anche urgenti in sede di affido, stigmatizzata dall’ articolo 3 della convenzione di Istanbul, perché ci dice tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni, sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica, economica comprese le minacce, la coercizione la privazione per poi richiamare il concetto di violenza domestica, violenza fisica, sessuale psicologica o economica che si verifica all’interno di una famiglia. Va da sé, io nei miei provvedimenti adottati sempre l’espressione di mobbing familiare che è in realtà questa violenza familiare domestica anche solo di natura psicologica che facilitata proprio dalla relazione affettiva e dalla convivenza che caratterizzata da un insieme di comportamenti ingiuriosi, denigranti, vessatori, abusanti, verbalmente aggressive, talora, solo talora fisicamente violenti, cioè la violenza fisica non è necessariamente una componente del mobbing familiare e della violenza domestica anche solo di natura psicologica.
La violenza che viene richiamata dall’ articolo 3 della convenzione di Istanbul e che è irrilevante poi vedremo ai fini dell’individuazione del genitore più idoneo come i genitori affidatari e con quali modalità, non è necessariamente una violenza che lascia un segno fisico che può essere refertato, è una violenza che può avere e deve avere rilievo lì dove si traduca in una sorta di mobbing familiare, in quelle condotte manipolative controllanti, anche nella gelosia patologica, nella patologica ossessione nei confronti del partner, soprattutto quando si è rotta ovviamente la relazione sentimentale, il clima di possesso, controllo, gelosia, violenza psicologica, ripeto non necessariamente violenza fisica.
Queste condotte sono e devono essere censurate, il problema è come addivengo, diciamo la prova di condotte tali da integrare questa violenza che deve avere rilievo nell’ambito dei giudizi civili? Noi vediamo che nella maggior parte dei casi abbiamo queste denunce, come diceva il presidente Roia che vengono diciamo proposte nell’immediatezza della separazione, ma questo non è, a mio avviso un indice di inattendibilità, perché proprio il momento in cui il partner debole ha il coraggio di separarsi, di allontanarsi fisicamente dall’altro partner, trova il coraggio di denunciare e non è assolutamente a mio avviso un indice di inverosimiglianza; quindi questa denuncia per quanto tardiva supportata dalla prova testimoniale nell’ambito dei giudizi separati e divorzili questo a prescindere dal giudizio penale che se e quando ci sarà potrebbe avere dei tempi diversi, può fornire a mio avviso un’adeguata prova nel giudizio civile di questo mobbing familiare, di questa violenza psicologica e quindi indirizzare il giudice nella decisione più giusta in ordine alla individuazione del genitore collocatario”
La violenza colpisce ogni ceto sociale, ce lo spiega bene la giudice
“donna bella, giovane, realizzata professionalmente è una donna ingombrante, difficile da possedere, difficile da controllare”
“Due aspetti volevo diciamo evidenziare, io ho scritto un provvedimento ad esempio che mi ha molto diciamo turbato nel senso di aver riconosciuto questo mobbing familiare in un contesto partenopea un napoletano della cosiddetta Napoli bene, professionisti giovani, belli, ricchi con un bambino e che quindi non rispondevano sostanzialmente allo stereotipo della donna vittima di violenza psicologica, fisica, intrafamiliare che noi immaginiamo appartenente a fasce sociali svantaggiate, emarginate, deprivate, non è così. Nel senso che anche questo è uno stereotipo che la convenzione di Istanbul ci invita a superare, nel senso che la violenza domestica è una violenza domestica che può esservi in tutti i contesti socio culturali e che, quindi, può essere presente anche nei contesti sociali elevati dove paradossalmente parte della stessa vittima vi è una maggiore difficoltà nel riconoscerla a sé stessa, proprio perché ha un’indipendenza economica, proprio perché è una donna diciamo professionalmente realizzata e può avere difficoltà nel riconoscere a sè stessa e nel riconoscere anche con gli altri questa violenza intrafamiliare, una violenza intrafamiliare che purtroppo questo è un caso ma non è l’unico che mi è capitato, che si verifica anche in questi contesti perché particolarmente una donna bella, giovane, realizzata professionalmente è una donna ingombrante ,difficile da possedere, difficile da controllare e quindi aveva scatenato nel caso di specie questa paura del tradimento che si traduceva in una cultura del possesso, in un tentativo continuo di controllo, di manipolazione di questa donna di una vera e propria violenza psicologica; non deve meravigliare a mio avviso
la denuncia che viene sporta solo al termine, al culmine di una convivenza che ovviamente è arrivata fortunatamente io dico in questi casi all’ epilogo finale, perché quello è il momento in cui magari la donna trova il coraggio di sporgere questa denuncia.
Quindi dobbiamo superare anche noi lo stereotipo di ritenere non attendibili le denunce che vengono sporte “tardivamente”, non attendibili le denunce di violenza domestica patite da donne che non rispondono allo stereotipo della donna culturalmente non attrezzata, culturalmente deprivata, dobbiamo superare lo stereotipo di ritenere necessario un giudizio penale instaurato tempestivamente giacchè non è necessario, anzi è verosimile che il giudizio penale talvolta venga instaurato successivamente, proprio alla proposizione del ricorso di separazione.
E a mio avviso l’ attendibilità non necessariamente richiede che venga diagnosticata non so una sindrome post traumatica da stress, o necessariamente disturbi di tipo depressivo, io mi affido molto la dottoressa Reale lo sa a quelle che sono le relazioni che vengono redatti ad esempio dalle donne che sporgono denunce e si erano al pronto soccorso e vengono poi indirizzate allo sportello, lo sa benissimo la dottoressa Reale che lo creò se non sbaglio il primo all’ospedale San Paolo se ben ricordo tanti anni fa, perché sono delle relazioni per me illuminanti nel senso che, io le leggo tutte cioè non solo il racconto della vittima ma c’è una prima valutazione fatta dal sanitario sulla attendibilità in quel momento che un regista della donna che registra, appunto, atteggiamenti di ansia, registra una coerenza nel racconto l’assenza di contraddizioni, io la leggo tutta le relazioni e talvolta ne riporto anche alcuni passaggi nei provvedimenti perché rappresentano effettivamente una situazione, diciamo una fotografia nell’immediato che può essere sicuramente utile”.
Diamo appuntamento ai successivi focus, come anticipa la dottoressa Elvira Reale nel webinar.
Di Giada Giunti