Giada Giunti scrive al Ministro della Giustizia Cartabia, al Capo dell’ispettorato, ai parlamentari per chiedere aiuto e protezione dal pool antiviolenza della Procura di Roma.E’ l’ex marito che denuncia Giada Giunti accusandola di avergli impedito di vedere suo figlio, ma il piccolo si trovava già in casa famiglia e dal 2013 non era la signora a stabilire gli incontri padre figlio.
Un utilizzo spietato e spregiudicato all’interno dei tribunali civili ed anche penali della PAS, la cosiddetta sindrome di alienazione parentale, nonostante sia stata smentita ed ampiamente sconfessata anche nella recente requisitoria della sostituta procuratrice della Corte di Cassazione, la dottoressa Ceroni, e la sentenza della stessa Cassazione del 17 maggio scorso.
Mamma Giada che cerca di difendere suo figlio e se stessa dalle violenze dell’ex marito, al tribunale civile le viene allontanato il figlio per collocarlo prima una casa famiglia poi al padre diagnosticato violento che il figlio respinge con tutte le forze; al tribunale penale viene addirittura rinviata a giudizio per maltrattamenti.
Dopo anni in cui l’ex marito chiedeva il collocamento in casa famiglia per il proprio figlio, il 15 dicembre 2016 in 8 si recano alla scuola del piccolo, dopo tre ore di pianti disperati lo alzano di peso, due lo prendono per le braccia, uno per le gambe, lo trascinano per il corridoi della scuola, lo mettono in una auto di servizio e lo collocano in una casa famiglia.
L’ex marito in data 15 gennaio 2017 chiede il divorzio, ma non l’affido ed il collegamento presso di sé del proprio figlio.Il 16 febbraio 2017 l’ex marito denuncia Giada Giunti unitamente ad uno degli avvocati che la difende, Carlo Priolo per maltrattamenti. Giada Giunti perché ritenuta “simbiotica” e farebbe credere al figlio che il padre sia violento, nonostante sia stata proprio la CTU a diagnosticare l’ex marito, “per cui egli nel cercare di colpire la madre rischiava di ferire gravemente il bambino.. egli ha così messo più volte in scacco la madre, narcisista, questo suo funzionamento aggressivo anche nei confronti del figlio, per intensificare la sua definizione di padre come uomo violento, anche durante gli incontri con l’educatrice” e l’avvocato Priolo perché il figlio l’avrebbe chiamato “papi”.
Peraltro, dal 2013 era la CTU (consulente tecnico) nominata dalla Corte d’Appello a stabilire incontri padre figlio, nel 2014 la stessa Corte d’appello commina al padre il regime di incontri protetti, nel 2016 la nuova CTU sospende gli incontri padre figlio perché ritenuti “violenti inumani e deteriorati”, relaziona che l’ex marito è aggressivo e violento anche nei confronti del figlio alla presenza pure della educatrice; il 15 dicembre 2016 il piccolo viene collocato in casa famiglia. Mamma Giada è stata rinviata a giudizio per maltrattamenti nonostante l’accusa dell’ex marito sia completamente infondata e nonostante le molteplici richieste conciliative, 36 in soli 2 anni) e richieste di mediazione.
E’ lo stesso pool antiviolenza della Procura della Repubblica di Roma che ha nuovamente rinviato a giudizio Giada Giunti, lo stesso pool che ha chiesto al giudice minorile di prendere un provvedimento nei confronti di Giada perché ritiene le denunce “strumentale di pregiudizio per il minore”, come pure ravvisano uno “stalking giudiziario”.
Si riporta il capo d’imputazione per maltrattamenti e ci si chiede per tutte le violenze e le aggressioni, le minacce ricatti, persecuzioni, maltrattamenti che hanno subito madre e figlio cosa è stato fatto ad oggi considerando che mamma Giada ha depositato numerose denunce anche con il codice rosso?
Il capo di imputazione “per il reato di cui agli artt. 110 e 572 c.p., per aver in concorso tra loro, sottoposto a gravi maltrattamenti anche psicologici il figlio minore della Giunti, Jacopo, con la stessa convivente, consistiti, quanto alla Giunti, nell’aver instaurato con il predetto minore un “rapporto esclusivo e parassitario” alienandolo da ogni contesto parentale e privandolo di ogni altra figura di riferimento affettivo e familiare ivi compresi quelli con la propria famiglia di origine (avendo falsamente riferito alla propria madre di non poter incontrare il nipote in virtù di un provvedimento del tribunale per i minori che lo vietasse) ed in particolare privandolo di ogni rapporto con il proprio padre c. e., inculcando, falsamente, nel predetto minore l’idea che lo stesso rappresentasse per il predetto e per la giunti stessa un elemento di forte pericolo perché soggetto violento ed aggressivo, alla quale il bambino pian piano si associava in totale e simbiotica adesione all’idea materna, sviluppando un rifiuto verso ogni contatto con il padre che è risultato essere frutto del solo condizionamento materno, ostacolando pervicacemente ogni tentativo del c. di riavvicinamento al figlio ed i numerosi provvedimenti del tribunale per i minorenni che sono in tal senso intervenuti al rispristino del rapporto padre figlio attraverso condotte ostruzionistiche, fino a determinare il collocamento del minore in casa famiglia (con provvedimento del tribunale per i minorenni dell’8.9.2016 confermato con provvedimento della corte d’appello del 14.11.-2016 ed infine la decadenza della responsabilità genitoriale della giunti con provvedimento del 14.09.2017) al fine di sottrarlo a detto regime di vita imponendogli di contro la figura di soggetto estraneo al minore tale Priolo Carlo (nato il 11.11.1939) quale sostituto delle figura paterna, il quale spalleggiava ed alimentava i comportamenti della Giunti sopra descritti, rendendosi parte attiva, supportando ed istigando la Giunti a intraprendere innumerevoli iniziative giudiziarie nei confronti del C., essendo inopportunamente presente nella vita quotidiana del bambino, facendosi addirittura chiamare con l’appellativo “papi”, nonostante fosse intervenuto ‘inserimento del minore presso la casa famiglia “Betania”, recandosi con cadenza giornaliera presso la scuola ove il bambino veniva accompagnato dagli operatori della predetta casa e presso i luoghi di svolgimento dell’attività sportiva, al fine di imporre la propria presenza, condizionando e pregiudicando così un riavvicinamento al padre, spesso celandosi agli operatori camuffato attraverso veri appostamenti, ma cercando sguardi d’intesa con il minore, così costringendolo unitamente alla Giunti ad un regime di vita vessatorio e dannoso per la propria integrità psichica, privandolo immotivatamente del diritto alla biogenitiorialità”
Francesca Romana Cristicini