Per le donne torna l’incubo delle violenze in un Paese riportato indietro di vent’anni.
Con gli occhi del mondo puntati addosso, i talebani respingono le accuse di violenze e abusi che si moltiplicano da giorni, ma le loro parole non convincono, perché i fatti sono altri.
È di ieri la notizia che la comunità internazionale sta lavorando alacremente per far uscire dall’Afghanistan 250 magistrate e le loro famiglie dopo aver avuto notizia che i talebani stanno dando loro la caccia casa per casa.
Lo riferisce la Nbc News, spiegando che molte delle giudici si sono formate negli Usa e hanno emesso dure sentenze sui militanti talebani durante la guerra in Afghanistan, ma la maggior parte non ha diritto a visti speciali perché non sono mai state sul libro paga degli americani.
«I talebani ci cercano porta a porta», ha rivelato una di loro nella provincia di Herat «Siamo in pericolo».
Dopo aver trascorso anni in prima linea negli sforzi dell’Afghanistan per istituire un sistema giudiziario valido e arginare la corruzione, molte di queste giudici hanno già ricevuto minacce di morte dai talebani o da persone che hanno condannato.
«Siamo seriamente preoccupati per la sicurezza delle donne leader, attiviste, giudici, parlamentari e difensori dei diritti umani», si legge in una lettera inviata al governo Usa «Noi e il nostro staff riceviamo regolarmente rapporti riguardanti la minaccia, il rapimento, la tortura e l’assassinio di donne per il loro lavoro».
I talebani accusano le magistrate di aver violato la sharia e la legge islamica e che la punizione è la morte, l’unica strada per la salvezza sarebbe quella di aderire alla jihad contro americani e atei.
Haroun Rahimi, assistente della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Americana dell’Afghanistan, afferma che, nonostante la scuola di giurisprudenza islamica seguita dai talebani consenta alle donne, in alcuni casi, di lavorare come giudici, questi estremisti non hanno permesso alle donne di essere giudici o avvocate sotto il loro rigido governo tra il 1996 e il 2001.
Le ragioni vanno cercate nelle convinzioni radicate in una parte della cultura afghana, quella più intransigente e sessista che, ad esempio, considera le donne non in grado di controllare le proprie emozioni.
È noto inoltre che, secondo l’interpretazione dei talebani della sharia, la testimonianza di una donna in tribunale vale la metà di quella di un uomo, quando non è completamente ignorata.
Khalili, un pubblico ministero donna, che non ha voluto fornire il suo nome completo per paura, ha affermato di aver dedicato il suo lavoro principalmente alla lotta contro la violenza di genere in Afghanistan perché era incoraggiata dalla crescente sensibilità e attenzione verso il mondo femminile: negli ultimi tempi sempre più donne hanno mostrato, infatti, di avere fiducia nel sistema giudiziario, ma con i talebani le molestie e gli abusi aumenteranno.
Khalili, prima procuratrice donna nella sua provincia, ha già subito gli effetti del regime talebano: la sua famiglia è stata ripetutamente minacciata dai militanti, suo fratello è stato picchiato e sua madre è stata uccisa.
Lei vorrebbe salvarsi: “Uccideranno, ne sono sicura”, ha detto al telefono a NBC News da Kabul.
In copertina: opera di Shamsia Hassani artista afghana, graffitista e professoressa di scultura all’Università di Kabul