Hypervenezia a Palazzo Grassi, una stupenda mostra che offre al visitatore un’esperienza davvero unica. Al primo piano dello stupendo edificio affacciato sul Canal Grande sono state realizzate 3 installazioni molto particolari: la prima prevede un percorso lineare di circa 400 foto che permette al visitatore di ripercorrere e visitare idealmente i vari sestieri di Venezia; la seconda occupa stanza appositamente dedicata con un’istallazione video “full immersion” di oltre 3.000 fotografie che scorrono l’una dopo l’altra accompagnate dalla musica realizzata. Per l’occasione, dal compositore Nicolas Godin, ed infine, a conclusione del percorso, una mappa site-specific della città lagunare composta da uno mosaico di circa 900 immagini geolocalizzate. Ad oggi l’archivio fotografico conta oltre 12.000 scatti tutti rigorosamente in bianco e nero e in totale assenza di presenza umana, con un allestimento “immersivo” e studiato nei minimi dettagli.
Come dichiarato da Bruno Racine, Direttore e AD di Palazzo Grassi e Punta della Dogana: «L’immagine di Venezia che emerge da questi scatti non somiglia in nulla a quella canonica; anzi, è talmente lontana dai clichè da disorientare lo spettatore. Quella che ci viene mostrata è una sorta di realtà oltre la realtà. Mario Peliti non poteva prevedere una simile coincidenza quando si è imbarcato in questa avventura, ma la visione che ci offre corrisponde a quella della città sottoposta a rigoroso lockdown durante la pandemia, preconizzando l’aspetto che avrebbe Venezia se il processo di spopolamento che in cinquant’anni l’ha svuotata dei due terzi dei suoi abitanti proseguisse inesorabilmente. Da qui il titolo HYPERVENEZIA, scelto dal curatore della mostra Matthieu Humery, per rendere la sensazione di straniamento che sovverte il riconoscimento di luoghi che spesso percorriamo senza davvero osservarli. Palazzo Grassi che e’ stato oggetto di importanti lavori di restauro nel corso del 2021, offre una magnifica location per questa mostra, nell’anno in cui la città festeggia il 1600º anniversario della sua fondazione…[..]Sono molto grato a Franςois Pinault per aver subito riconosciuto non solo per la qualità del progetto, ma anche l’opportunità di presentarlo proprio in un anno così importante, nonostante l’opera di Mario Peliti non presenti alcun legame con la sua collezione ».
“Venice Urban Photo Project”,di Mario Pelliti, presentato per la prima volta a Venezia, è frutto di un lungo e laborioso lavoro iniziato nel 2006 e giunto sino ad oggi in una Venezia vuota, sospesa e atemporale, con l’obiettivo di raccogliere il più ampio e organico archivio di immagini della città mai realizzato e di restituirne una rappresentazione inedita dell’intero tessuto urbano nella sua complessità e continuità. Il progetto, dapprima solo in pellicola, dal 2013 è passato in formato digitale, andando a recuperare “ il rigore metodologico e formale delle grandi campagne dei maestri dell’Ottocento e del Novecento, da Charles Marville a Eugène Atget, da Gabriele Basilico a John Davies, al fine di restituire una percezione, la più esaustiva possibile, della città come appare all’inizio del nuovo millennio”. La conclusione della ricognizione fotografica è prevista per il 2030. Alla fine del 2018 è stato firmato un accordo tra Mario Peliti, l’ ICCD – Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia, finalizzato alla valorizzazione di Venice Urban Photo Project attraverso la creazione di un fondo digitale “ Venice Urban Photo Archive” presso l’ICCD.
“HYPERVENEZIA” si inserisce nel calendario di iniziative dedicate alle celebrazioni dei 1600 anni della città di Venezia, ed è stata realizzata con la curatela di Matthieu Humery, conservatore presso la Pinault Collection e col supporto di Saint Laurent. Lo mostra resterà aperta al pubblico sino al 09 gennaio 2022, con la possibilità di visite gratuite con Mario Peliti riservate ai members ed al pubblico, a orario fisso.
Per ulteriori informazioni: www.palazzograssi.it
di Daniela Paties Montagner