In un periodo storico così difficile per tutto il mondo, non è semplice riuscire a trascorrere la nostra esistenza senza qualche difficoltà. Le chiusure, lo smart working, il distanziamento e le nuove norme di comportamento stanno amplificando quelle sensazioni di stress e di nervosismo che già prima erano presenti in ognuno di noi a causa dell’aumento del ritmo della vita quotidiana. Ma se la situazione ci sta sfuggendo di mano e le difficoltà stanno aumentando a dismisura, non rimane che chiedere aiuto a chi davvero può darci una mano a superarle e a tornare a una vita normale. Dato, poi, che si tratta di problematiche che potrebbero appartenere a più persone insieme, una buona soluzione, se non la migliore, potrebbe essere quella di affidarsi a sedute di terapia di gruppo.
Quando è nata la terapia di gruppo?
Il concetto di terapia di gruppo è nato dapprima nell’ambito della medicina prima ancora che in quello della psicologia. L’intuizione che le cure di gruppo potessero avere benefici più potenti rispetto a quelle individuali, infatti, è di un medico internista del General Hospital del Massachusetts, Joseph Pratt, il quale riunì in gruppo una quindicina di malati di tubercolosi per aiutarli nel combattere al meglio la malattia, incoraggiandosi e motivandosi a vicenda. I risultati furono davvero importanti. A quel punto pure gli psicologi iniziarono a prendere in considerazione l’idea che la psicoterapia si potesse fare in gruppo. Sigmund Freud, cui è intitolata anche un’università che forma gli psicologi del nuovo millennio studiando gli effetti delle tecnologie sui pazienti, ne parlò come di un approccio fattibile e da affiancare al metodo tradizionale “analizzante-analizzato”. Infine, la pratica fu messa a punto intorno agli anni 50, grazie al lavoro di alcune personalità importanti del settore, come Didier Anzieu, psicologo transalpino che vedeva grandi potenzialità nell’approccio di gruppo, in quanto esso si caratterizzava per l’essere “il luogo dei fantasmi e delle proiezioni” degli individui che formano il gruppo, o Fritz Peris, che riteneva nel gruppo un qualcosa di più della semplice somma delle persone che lo compongono.
Cos’è e come funziona la terapia di gruppo?
La terapia di gruppo rientra tra le diverse forme di approccio psicoterapeutico e consiste nell’effettuare alcune sedute che non siano individuali, ossia in cui siano presenti solamente lo psicoterapeuta e il paziente, bensì con più individui, che possono, come non, condividere la medesima tipologia di problematica da risolvere. Gli incontri, solitamente uno o due a settimana e dalla durata di circa un’ora ciascuno, vengono guidati dall’esperto in un percorso che tende a mettere a nudo le difficoltà di ciascun paziente in modo tale da condividerle con il resto del gruppo, che sarà parte attiva nella risoluzione dei problemi. Ogni membro della piccola comunità che viene a crearsi potrà fungere da esempio per gli altri ma anche apprendere dalle esperienze di vita altrui, in uno scambio continuo che condurrà tutti verso il superamento delle proprie difficoltà.
Quali sono i vantaggi della terapia di gruppo?
A livello di risultati, la terapia di gruppo non delude mai. Sono tanti i vantaggi di questo approccio, specialmente se paragonato a quello individuale. I pazienti, infatti, sentendosi parte di un gruppo nel quale ognuno può fidarsi dell’altro, tendono ad abbattere le proprie barriere e a raccontare le proprie problematiche in maniera dettagliata, in modo da permettere allo psicoterapeuta di analizzare il singolo caso e poter trovare la via migliore per tornare alla normalità. Aumenta anche la fiducia dell’individuo nei confronti delle persone, così come l’abilità nella socializzazione anche all’esterno del gruppo, cosa che permetterà al paziente di migliorare i rapporti con gli amici, con la famiglia e anche sul posto di lavoro. Rivolgersi, ad esempio, ad uno psicologo a Roma esperto in terapia di gruppo è un’ottima soluzione anche per chi vuole superare le proprie debolezze imparando dalle esperienze di vita altrui, permettendo, a sua volta, a terze persone di essere assunte come esempio. Il tutto in uno scambio di opinioni che consentirà a gli individui del “branco” di crescere interiormente e sentirsi parte integrante di un gruppo unito, che formerà una propria identità e nel quale ognuno si sentirà al sicuro. Questo senso di appartenenza, infine, consentirà ai pazienti di sperimentare cose che difficilmente avrebbero pensato di fare prima, sapendo che avrà più chance per poterle realizzare e non avendo paura di sbagliare.