“Le tragiche violenze contro le donne italiane del Lazio meridionale (e, piu’ in generale, dell’intero Mezzogiorno, con puntate, in seguito, a Roma stessa, e addirittura sin sotto Firenze) del 1943-’44, ricostruite in questo libro di Stefania Catallo, son state una tragica coincidenza storica. Nel senso che, nel maggio 1944, nessuno, Hitler compreso, s’aspettava che i “goumiers”, le truppe marocchine e algerine arruolate dall’esercito francese, abituate ai climi caldi, riuscissero a superare i Monti Aurunci, e a dilagare nel Lazio meridionale. A complicare la situazione generale, poi, concorsero i gravi errori strategici degli Alleati: gli angloamericani, infatti, sbarcati a gennaio del ’44 ad Anzio, a lungo non seppero sfruttare la testa di ponte dello sbarco, e così lo sfondamento delle difese tedesche nel Sud del Lazio fu fatto per la prima volta, a maggio del ’44, appunto dai goumiers. Ai quali una sorta di ” proclama” del generale francese Juin (cui il gen. Clark, comandante della V Armata USA, s’era affidato per sfondare la linea Gustav) incredibilmente promise una sorta di medievale “diritto di preda e di saccheggio” nei confronti della popolazione italiana“.
Così Vittorio Lussana, direttore responsabile delle testate “Periodico italiano magazine” e “Laici“, ha aperto la presentazione – presso la libreria romana “Invito alla lettura” – del saggio di Stefania Catallo, autrice teatrale e presidente del Centro Antiviolenza “Marie Anne Erize” di Torbellamonaca, “Le
marocchinate” (Roma, Sensibili alle foglie ed., 2015, pp. 79, €. 12,00). Un libro che dà direttamente la voce a varie delle donne – di comuni come Esperia, Ausonia, Ceccano, Castro dei Volsci, Pastena, non a caso ora patrocinatori del saggio – stuprate dai goumiers in quell’atroce maggio-giugno del ’44. Delle quali- ormai almeno ottantenni – l’Autrice ha pazientemente raccolto le testimonianze, con interviste in presa diretta. Particolarmente toccante quella a Rosa, signora di novantacinque anni che, all’epoca, resistette con forza al marocchino che la violentava, strappandogli dall’orecchio un orecchino, poi gelosamente conservato come un trofeo; o l’altra a Suor Teresina, all’ epoca in un convento raggiunto anch’ esso dall’ ondata di bestialità ( anche se il Vaticano non ha mai confermato questi casi di violenza contro religiosi). Chi scrive, in proposito può portare una testimonianza indiretta. Quella di vari religiosi marianisti dell’ istituto “Santa Maria” di Roma: i quali, negli anni ’70- ’80, gli parlarono del clima creatosi a Roma nel ’44, dopo l’arrivo degli Alleati, quando, da giovani insegnanti, addirittura evitavano il piu’ possibile d’uscire dalla scuola, data l’ eccitazione che la sola vista delle gonne dell’abito talare produceva in molti di questi soldati di colore.
Com’è andata a finire questa vergognosa vicenda, in parte narrata sullo schermo nel celebre film di De Sica “La ciociara“, con una bravissima Sofia Loren, del 1960(3.100 violentati, compresi quindi anche maschi adulti e bambini, nel solo Frusinate, secondo dati del Viminale )? A “tarallucci e vino”, in stile tipicamente italico. Da parte francese, prevedibili inchieste casarecce, con qualche condanna nei casi piu’ eclatanti, il versamento di modeste somme di denaro, come immediato “risarcimento”, ad alcune delle “marocchinate”, e mai nessuna scusa ufficiale all’ Italia. Da parte del Governo italiano – come documentato dall’ Autrice, che nella seconda parte del libro riporta atti parlamentari dei primi anni ’50, con le interpellanze al ministro del Tesoro presentate dalla deputata comunista Maria Maddalena Rossi e altri colleghi, e dai socialisti Zagari, Vigorelli, Preti, Matteotti e Mondolfo- l’accoglimento, comunque tardivo (in alcuni casi, addirittura cinquant’anni dopo i fatti!), solo d’ una piccola parte delle decine di migliaia di domande per pensioni, come vittime civili di guerra, presentate dalle “marocchinate”. Un altro “Armadio della vergogna”. Complicato dalla riluttanza di molte delle”marocchinate”, condizionate dall’arretrato ambiente sociale in cui vivevano, a parlare, nel dopoguerra, delle loro tragiche esperienze (riluttanza che spinse diverse di loro a rifarsi una vita all’estero, addirittura in America).
di Fabrizio Federici