Tra le decisioni assunte dal Comitato permanente della Convenzione di Ramsar, cui l’Italia prende parte in veste di osservatore, si evidenzia la scelta di dedicare la prossima Giornata mondiale delle zone umide del 2 febbraio 2022 al tema “Azione per le zone umide per le persone e la natura” e la creazione di un nuovo gruppo di lavoro per iniziare la predisposizione del quinto Piano Strategico (SP5) della Convenzione e che sarà congiuntamente composto da membri degli Stati parte, del panel STRP e di organizzazioni internazionali; il medesimo gruppo di lavoro parteciperà anche ai lavori di revisione del quarto Piano Strategico.
Lagune, stagni, laghi, paludi, risorgive: sono le wetlands, aree chiave per la biodiversità e, cosa meno nota, anche per la nostra sopravvivenza. In loro onore, il prossimo 2 febbraio si celebra “La Giornata mondiale delle Zone Umide (World Wetlands Day, WWD), data che ricorda l’adozione della Convenzione omonima per la loro tutela, firmata il 2 febbraio 1971 nella città iraniana di Ramsar. Le aree umide urbane sono in grado di prevenire le alluvioni agendo come serbatoi di raccolta e di rilascio graduale delle acque, come è il caso dei laghi e delle paludi che trattenendo le piogge, frenano il ruscellamento a favore dell’azione di drenaggio dei suoli e dei corpi idrici circostanti e della ricarica delle falde. Proteggono dall’intrusione delle mareggiate fungendo da cuscinetto d’acqua; migliorano la qualità dell’aria mantenendo il clima umido e fresco e favorendo la presenza di vegetazione; filtrano l’acqua che si raccoglie in superficie e trattengono ed eliminano gli inquinanti degli scarichi urbani, industriali e agricoli con la fitodepurazione; assorbono l’anidride carbonica e la trattengono sotto forma di carbonio, mitigando le emissioni e l’effetto serra delle città.
Riducono l’inquinamento acustico, atmosferico e favoriscono il contatto con la natura in ambiente cittadino, riducendo lo stress e migliorando la salute della popolazione. «Roma – dichiara Raniero Maggini Presidente del WWF Roma e Area Metropolitana – è ricca di piccole zone umide, particolarmente importanti nei contesti urbani. Costituiscono un contributo efficace in materia di adattamento climatico, una risposta agli eventi estremi, ad esempio rallentando il deflusso delle acque, riducendo dunque il rischio di alluvioni. Ma le zone umide, nelle nostre città, anche quando siano ambienti creati dalla mano dell’uomo, divengono veri e propri scrigni di biodiversità. È così facile godere anche nel cuore della città dell’elegante volo di un airone o del caratteristico fischio del martin pescatore, mentre in volo attraversa lo specchio d’acqua. Quindi, con l’aiuto di un binocolo, potremo farci stupire della bellezza e la varietà della Natura, magari a pochi passi da casa. Eventualità certamente non remota nella Città Eterna, che il WWFritiene possa ambire a buon diritto al riconoscimento di Capitale europea della Biodiversità».
«La Capitale, grazie alla sua conformazione geologica, favorisce infatti lo sviluppo di aree potenzialmente allagate: ciò è particolarmente vero nelle aree limitrofe alla valle del Tevere, o in quelle in cui i numerosi depositi di limo ed argilla possono agevolare il ristagno di acqua in superficie, dando così origine a pozze d’acqua più o meno temporanee o a prati allagati. In estrema sintesi si possono schematizzare quattro differenti tipologie di aree umide/ambienti igrofili, presenti nel territorio dell’area metropolitana di Roma: i tre grandi fiumi “storici” (Tevere, Aniene, Almone), il reticolo idrografico secondario (fossi e marrane, ancora con vincolo paesistico), il reticolo idrografico minore (fossi e marrane, privi di vincolo paesistico), gli stagni e i piccoli laghi naturali e/o artificiali (zone umide, allagate perennemente). Il reticolo secondario, presenta caratteristiche analoghe (per tipologia di habitat) ai fiumi già descritti, e confluisce quasi sempre nelle aste fluviali maggiori (Tevere). Sono spesso siti di riproduzione per specie di fauna minore (uccelli, anfibi e pesci); la loro gestione è affidata ai Consorzi di bonifica, che attuando ancora periodiche azioni di devegetazione delle sponde, contribuiscono al loro degrado ecologico. Come i fiumi principali, spesso attraversano le aree urbanizzate e risultano essere gli unici elementi con un certo grado di naturalità, funzionali allo spostamento e alla dispersione di numerose specie», prosegue il comunicato.
«La fauna che possiamo trovare è decisamente diversificata e anche poco comune: a titolo del tutto esemplificativo, si possono elencare le popolazioni relittuali di granchio di fiume presenti presso i cunicoli romani del Foro o nei fossi in alcune aree protette come il Parco Regionale dell’Appia Antica o la Riserva Naturale Regionale Laurentino Acqua Acetosa, le popolazioni di tritone crestato e tritone punteggiato delle pozze temporanee della Riserva Naturale Regionale di Decima Malafede o di quella della Tenuta dei Massimi, le popolazioni di rospo smeraldino o raganella rinvenute presso gli Ex Mercati Generali o (caso limite) presso alcune piscine all`aperto sulla Statale Pontina, altezza Spinaceto. Sono numerose le specie di anfibi e rettili che si rinvengono, distribuite anche a distanze molto significative, come sono decisamente numerose ed interessanti le popolazioni relittuali di specie di pesci (ghiozzo di ruscello, spinarello, rovella), che ancora persistono in tratti di fosso non alterati da devegetazioni o lavori di manomissione degli alvei, la salvaguardia del patrimonio genetico delle quali dovrebbe essere prioritaria, al fine di contrastare la progressiva invasione di specie aliene e ecotipi non locali.
In ultima analisi, l’avifauna legata alle zone umide, mostra decine di specie che quotidianamente utilizzano questi ecosistemi per vari scopi: riproduttivo, come risorsa trofica, come rifugio. Un esempio rappresentativo è costituito dagli ardeidi, airone bianco maggiore, cenerino, garzetta e dall’airone guardiabuoi, diffusissimo soprattutto dove ancora presente l’allevamento delle pecore. Una prima indagine svolta dal WWF Roma e Area Metropolitana e in corso di aggiornamento in questo 2022 ha individuato circa 50 esempi di aree umide minori, di origine antropica, che si sono formate a seguito di lavori in cantieri edilizi o in aree di estrazione e vecchie cave, oppure costruiti appositamente in aree naturali: tali aree minori hanno la caratteristica di avere margini spesso irregolari e sponde ripide e sono state presto colonizzate dalle specie tipiche della vegetazione ripariale (lisca maggiore, cannuccia di palude, giunco, salice, pioppo nero, pioppo bianco)», conclude la nota.
Alessia Di Domenico