Un altro bambino in pericolo, un’altra mamma Deborah che ha avuto il coraggio di denunciare le violenze, sulla quale pende un decreto di allontanamento (tribunale di Lodi) del proprio figlio. Il piccolo rannicchiato mentre cerca di distrarsi guardando la tv, chiede alla mamma “ma non mi portano via, vero mamma? Io voglio stare qui”.
Siamo tutti con mamma Deborah e con suo figlio.
Le donne e mamme di MaternaMente, MovimentiaMOci Vicenza, molti cittadini hanno organizzato un presidio davanti all’appartamento di mamma e figlio.
“A notte fonda solitamente dormiamo, oppure girovaghiamo insonni per casa pensando ai nostri problemi e alle tristezze. Facciamo tutto questo nella nostra casa, ben saldi nelle nostre vite, che pure faranno schifo, ma che nessuno ci toglie con forza di decreto tribunalizio.
In molte parti d’Italia invece, ci sono un sacco di bambini – BAMBINI; sì, quelle creature innocenti che tanto ci vantiamo di amare e custodire – che si addormentano col terrore che domani qualcuno verrà a sfondare la porta di casa per trasportarli in una casa famiglia, “per il loro bene”, così inizia il suo racconto una mamma, Laura Marrucci. Mamma Laura è una donna che con la sua forza ha saputa “salvare” il proprio figlio dalla “violenza istituzionale”. Laura è vicina alle mamme coraggio, alle mamme alle quali sono stati allontanati ingiustamente i figli. Manifesta nelle piazze accanto a loro, da sostegno assieme ad altre mamme.
E continua in un lungo e sentito agglomerarsi di sentimenti, realtà, dolori “ Bambini che perdono all’improvviso il privilegio di avere paura del buio o del babau sotto il letto, perché conoscono un nuovo terrore, reale, cristallino nella sua perfidia.
In un momento qualunque di una qualunque giornata abitudinaria un esercito arriva e li porta via. Dagli amici, dai parenti, dalla scuola, dalla classe, dal mercoledì a calcio e il venerdì la merenda dal nonno; li porta via dalla mamma.
Ci sono bambini in questo momento, mentre stringiamo i nostri e li brontoliamo perché non hanno rifatto il letto o non hanno voglia di fare i compiti, che rischiano di perdere, o hanno già perso, tutto ciò.
Adulti criminali li vogliono rubare e li hanno rubati a se stessi.
Perché?
Adesso vi racconto una bella favola.
C’era una volta una legge, la numero 54 del 2006, che stabilì il diritto dei figli ad avere una relazione proficua con entrambi i genitori, che questi fossero o non fossero coniugati legalmente, e insieme de facto.
Stabilì il concetto della bigenitorialità e lo assurse a dogma, nel supremo interesse del minore.
Negli intenti teorici avrebbe voluto estirpare dalle aule di tribunale le battaglie per l’affidamento dei figli e rimettere al centro i bisogni e i diritti degli stessi.
Ma, cammina cammina, questa prode legge, incurante anche sulla carta delle situazioni contingenti e soprattutto dei legami affettivi dei bambini, diventò piano piano l’arma più potente in mano a sadici manipolatori, individui corrosi dal desiderio di vendetta e di acclarare il possesso di vita e di morte sui figli; complice l’aiutante fandonia della Pas, l’alienazione parentale, quella cosa per cui se un bambino non vuole stare con un genitore – il padre – è colpa dell’altro genitore – la madre – che glielo mette contro.
Bel belle, numerose figure si resero conto che togliere i bambini alle famiglie (le madri) e metterli in istituti, potesse fruttare molto, molto di più che non lasciarli dove fossero sempre stati molto bene, e piuttosto lavorare per impedire che persone malvagie, e/o inadatte, e/o semplicemente incuranti, potessero ledere la tranquillità degli infanti.
Poiché l’intrepida legge se ne frega della realtà.
La valorosa aiuta a sostenere la tesi che un assassino, un violento possa essere comunque un buon padre di cui senz’altro assolutamente il bambino ha bisogno.
Se non vuole stare con lui è colpa della madre, la cui amorevolezza viene descritta come morbosità, adesività, assorbenza, alienazione.
Coloro che sostengono questa impalcatura hanno pianto tutti, uno a uno, mentre Dumbo veniva cullato dalla proboscide della madre, di là dalle sbarre del cassone in cui ella era rinchiusa.
Così, a poco a poco, ha preso a stabilirsi una prassi.
Nel “supremo interesse del minore” lo stesso non viene mai ascoltato o creduto.
Nel “supremo interesse del minore”, se la madre si separa dal padre, specialmente e insindacabilmente se denuncia violenze, i bambini devono andare in casa famiglia per staccarsi da lei e di qui riacquisire il rapporto col padre, che chiede a gran voce il prelevamento. E lo ottiene.
Come finisce la favola?
Male.
Almeno nell’ottica di chi veramente ama i bambini e la Giustizia.
I bambini vengono prelevati con dispiego di forze dell’ordine che forse avrebbero di meglio da fare che non sfondare porte domestiche e divellere telecamere per prendere mani e piedi bimbetti di 7-8 anni e consegnarli a grigi istituti senza che abbiano più alcun contatto con la madre. Chissenefrega se piangono, se dimagriscono, se diventano abulici, apatici. È il passaggio necessario per il ricongiungimento col padre.
Della madre non hanno più notizie, per mesi, a volte anni, lunghissimi.
Non è meraviglioso tutto questo?
Per inseguire una bigenitorialità spesso inattuabile, si cancella un genitore per inserire a forza l’altro. Si elimina quello amorevole, protettivo, per immettere quello anaffettivo, aggressivo, violento.
La bigenitorialità imposta diventa una monogenitorialità. Sempre e solo nei casi dove le madri denunciano violenza.
Nel “supremo interesse del minore” del minore ce ne freghiamo. Siamo disposti addirittura a buttarli in bocca a padri pedofili, per la bigenitorialità.
Perciò, mentre dormiamo o non dormiamo nelle nostre casette, ci sono bambini come quello di Deborah Delle Donne che si rannicchiano in posizione fetale domandando 500 volte “Ma non mi portano via, vero mamma? Io voglio stare qui”.
Lo dobbiamo proprio immaginare, questo bambino di 8 anni che dice alla mamma “Io non vado in comunità, vero?”.
Lo dobbiamo vedere.
Dobbiamo essere lui, dobbiamo sentire che cosa sente. Lo dobbiamo sentire dentro, dobbiamo immaginare noi stessi a 8 anni, in queste condizioni.
Questo è pensare al supremo interesse del minore.
E poi dobbiamo essere la sua mamma, dobbiamo sentire che cosa sente lei.
Dobbiamo sentire il bimbo di Laura, anche lui costretto a vivere sotto un decreto di allontanamento.
Dobbiamo sentire il figlio di Chiara, portato via in estate e che non ha mai più visto la sua mamma.
Quello di Maria Assunta, prelevato addirittura in ospedale.
Quello di Giada e quello di Sabi Na, presi diversi anni fa.
Quello di Teresa Toparello, rinchiuso da ottobre.
Quello di Barbieri Alba, la quale è riuscita a salvare un’altra figlia, ma solo perché ha un padre differente. Curiosa, questa cosa, non trovate?
Una madre giudicata inidonea a far parte della vita di un figlio, ma la stessa va bene per un’altra figlia. Cosa cambia? Il padre.
C’è la bambina di Fri Da, che si porta avanti la gravidanza da sola, il padre volendo che lei abortisse, e poi ci ripensa dopo anni e si rifà vivo, e allora prevale la sua volontà e la madre a combattere perché la piccina non venga esiliata da se stessa.
C’è la bambina di Ginevra, prelevata addirittura a 18 mesi di vita in nome di una possibile alienazione futura (!).
Quanti altri bambini ancora potrei rammentare, di quanti non conosco il nome ma so che esistono.
Li dobbiamo vedere, dobbiamo accorgerci di questo sommerso affogato nei soliti cliché della madre che finché sta zitta e subisce è l’angelo del focolare, altrimenti diventa un’arpia megera succhiasoldi e bambini.
Dobbiamo vedere e sentire il piccolo G. che si rannicchia mentre chiede mamma non vado in comunità, vero?
Le pandemie iniziano e finiscono, come pure le guerre. Ne abbiamo una terza mondiale alle porte.
Ma questa guerra, contro i bambini e le madri, non finisce se non facciamo qualcosa. E possiamo, qui, davvero fare qualcosa di buono.
Io sono sicura che se ci immedesimiamo nel piccolo G. possiamo porre fine a tale massacro.
Non c’è tempo, bisogna farlo adesso. Nel frattempo, buonanotte e buongiorno, piccolo G.
La tua mamma ce la sta mettendo tutta a salvarti. Vediamo se ci impegniamo anche noi”.
Così conclude Laura Marrucci