Roma, 21 feb. – Sono un milione e 81 mila i dipendenti italiani che nei primi nove mesi del 2021 hanno deciso di lasciare volontariamente il lavoro e quasi uno su due, dopo aver rassegnato le dimissioni, non ha più un contratto attivo perché è alla ricerca di un’altra occupazione, per aver deciso di avviare un’attività in proprio o per scelte di vita diverse
Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, con l’indagine ‘Le dimissioni in Italia tra crisi, ripresa e nuovo lavoro’, basata sui dati delle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, analizza il fenomeno della cessazione volontaria del rapporto di lavoro, che appare trasversale sotto diversi punti di vista. Il confronto tra i primi tre trimestri del 2019 e del 2021 evidenzia, infatti, che i dimissionari non sono solo giovani, con un basso livello di istruzione e residenti al Nord, ma che c’è un incremento tra i segmenti tradizionalmente meno interessati, in particolare adulti, laureati e tutti i lavori qualificati
“Il fenomeno delle dimissioni volontarie non è nuovo per la realtà italiana, ma lo è il suo incremento- afferma Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro– Capiremo solo nei prossimi mesi la vera portata, soprattutto rispetto alle motivazioni, visto che non è possibile stimare all’interno della quota di lavoratori dimessi e non rioccupati quanti potrebbero aver deciso di avviare un’attività in proprio, essersi occupati irregolarmente o più semplicemente aver deciso di smettere di lavorare. Ancora una volta emerge, tra l’altro, che le maggiori opportunità di rioccupazione riguardano quei profili tecnici e specializzati dove è più alto il divario domanda/offerta, mentre i più penalizzati nella ricollocazione successiva sono i lavoratori a basso tasso di formazione e occupazione. È urgente investire su queste direttrici per adeguare le competenze alla nuova realtà che ci troviamo a vivere nel post-pandemia”, conclude De Luca.
Francesca Romana Cristicini