La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con sentenza del 7 aprile 2022, ha condannato l’Italia per aver violato l’art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che tutela il diritto alla vita.
Il caso ha riguardato la mancata adozione da parte delle autorità giudiziarie italiane di misure idonee a tutelare una donna e i suoi due figli dalle violenze domestiche loro inflitte dal compagno, sfociate nell’omicidio del figlio di un anno e nel tentato omicidio della donna.
La Corte Europea ha rilevato che il quadro giuridico italiano è in grado di fornire protezione preventiva contro gli atti di violenza. Nel caso di specie, le autorità competenti avrebbero ben potuto applicare delle misure giuridiche e operative idonee a prevenire il rischio (mortale) subito dalla donna e dai suoi figli.
Al contrario le autorità italiane sono rimaste passive di fronte al grave rischio di maltrattamenti della donna e la loro inerzia ha consentito al suo partner di continuare a minacciarla, molestarla e aggredirla nella più totale impunità. Le autorità nazionali erano a conoscenza del rischio reale e imminente per la vita della ricorrente e dei suoi figli. Avrebbero quindi dovuto adottare misure appropriate e adeguate a proteggerli ma sono venuti meno a tale obbligo, poiché non hanno reagito “immediatamente” così come richiesto, in particolare, nei casi di violenza domestica.
Basandosi sulle informazioni note alle autorità nazionali all’epoca dei fatti – anche in considerazione dei problemi di salute mentale del suo compagno – la Corte ha ritenuto che le autorità italiane non abbiano mostrato la necessaria diligenza atteso che non hanno realizzato una reale valutazione del rischio di mortalità legato ai casi di violenza domestica. Non tenendo in debita considerazione l’ampia gamma di misure di protezione direttamente a loro disposizione, le autorità – che avrebbero potuto attuare misure protettive allertando i servizi sociali e psicologici e collocando la ricorrente e i suoi figli in un centro di accoglienza per donne – hanno mostrato poca diligenza nell’impedire le violenze che hanno portato al tentato omicidio della donna e all’omicidio effettivo del figlio di un anno.
Alla luce di ciò, la Corte ha condannato l’Italia per esser venuta meno alle obbligazioni positive derivanti dall’art. 2 della Convenzione nella misura in cui stabilisce che “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena”.
Per un approfondimento e per leggere il testo del provvedimento https://www.njus.it/news.php?id=2427&preview=1