E’ stato tra i protagonisti nell’evento del 29 Dicembre allo stadio Olimpico “Voi Siete Leggenda” organizzato dalla Fondazione di Vincent Candelà: Loris Boni, 80 presenze con la maglia giallorossa tra il 1975 al 1979, conserva un bellissimo ricordo della sua esperienza con la maglia della Roma che ricorda sempre con nostalgia. In occasione del suo 63° compleanno l’ex baffo giallorosso ci ha raccontato la sua esperienza nel calcio, tra ricordi, aneddoti, sensazioni, speranze.
“I colori giallorossi e la città di Roma resteranno per sempre nel mio cuore. Sono davvero onorato di essere stato convocato per questo evento bellissimo nella capitale: è stata una serata memorabile che mi ha ridato molti anni di vita. Avrei continuato a giocare ancora per novanta minuti talmente era la gioia di esserci. Vuoi perché scendere sul manto dell’Olimpico è sempre una grande emozione, vuoi perché la cornice del pubblico giallorosso era da brividi, vuoi perché l’iniziativa aveva un nobile fine benefico”.
E’ stata l’occasione per rivedere tanti amici e colleghi che si perdono di vista nel corso degli anni
“Il calcio purtroppo è un ambiente dove diventa negli anni più facile perdersi che trovarsi. Personalmente ho sempre vissuto di emozioni intense in ogni città dove ho giocato, cercando sempre di rispettare i colleghi e la tifoseria. Questa partita metteva di fronte tante generazioni, alcuni giocatori giallorossi non li conoscevo personalmente, avendo io giocato negli anni precedenti: è stato un onore potermi fare le foto a fianco di campioni che hanno scritto la storia della Roma dagli anni ’80 in poi. Sarò anacronistico, ma mi piace vivere ancora di emozioni e sogni”.
Una serata dove i valori dello sport valgono come tanti trofei vinti.
“Lo sport ha la capacità di unire le persone, di regalare emozioni: occorre recuperare questi valori in questa società moderna troppo materialistica, trasmettendoli soprattutto ai più giovani. Insegnando loro a misurarsi lealmente, dentro e fuori il rettangolo di gioco: amare la vita e lo sport senza scorciatoie, superando i propri limiti senza bluffare, senza cercare il successo a qualunque prezzo. Per promuovere una corretta cultura sportiva c’è bisogno di educazione: educare significa allora favorire la crescita culturale, civile e sociale dei giovani. Il calcio per me è stata una vera palestra di vita: lo sport, quindi, è un formidabile strumento educativo che appassiona, coinvolge, ci accompagna in ogni momento”.
Il calcio sembra aver perso la poesia di una volta
“A volte sembra che questi giocatori non sappiano più emozionare dentro il rettangolo di gioco. Poco attaccamento alla maglia, in mano a procuratori spregiudicati che li fanno girare da una società all’altra, oggi mi sembrano davvero più personaggi sui social che decisivi in campo. Ai miei tempi per avere un giudizio serio dalla critica dovevi disputare due campionati, oggi con due partite ti fanno il titolone sul giornale ma inevitabilmente molti scivolano nei campionati minori inghiottiti dalla stessa velocità con cui sono arrivati in alto”.
Il primo ricordo che le torna in mente con la maglia giallorossa?
“Sicuramente quando da Genova arrivai il primo giorno a Roma: mi sentivo perso in una città così grande. Francesco Rocca mi fece da guida i primi tempi, fu per me un vero amico oltre che un leale compagno di squadra. Un vero campione anche fuori dal campo. Purtroppo entrambi fummo accomunati dalla sfortuna di vivere gravi infortuni, lui ancora più di me che smise di giocare a ventisei anni. Il calcio italiano perse troppo presto un fuoriclasse. Come partita ricordo sempre con emozione il mio unico gol segnato con la maglia giallorossa in occasione della partita di ritorno allo stadio Olimpico nei sedicesimi di Coppa Uefa contro gli svedesi dell’Oester: all’andata perdemmo 1-0, ma al ritorno, dopo il vantaggio di Stefano Pellegrini, segnai il gol decisivo della qualificazione, ricordo ancora l’abbraccio dei compagni e il tripudio dello stadio. Quel mio unico gol in Coppa se vogliamo ripagò in parte il costo del mio passaggio dalla Sampdoria che si aggirò sugli 800 milioni, una cifra non indifferente per quegli anni. In carriera ho segnato pochi gol ma sempre decisivi, come quello in uno storico 4-4 contro l’Inter di Mazzola e Boninsegna a San Siro con la maglia della Sampdoria e quello che sempre in maglia doriana ci regalò nel ’73 a Torino la salvezza proprio all’ultima giornata di campionato”.
Il suo gol in giallorosso fu nella stagione 1975-76. Era la Roma del presidente Gaetano Anzalone che, seppur con in panchina il barone Liedholm ed in campo beniamini come il portiere Paolo Conti, Cordova, Santarini, Prati, De Sisti e Rocca, dove accontentarsi di un campionato da metà classifica.
“Nelle ultime due stagioni ho avuto l’onore di giocare con campioni come Bruno Conti, Roberto Pruzzo e l’indimenticato Agostino Di Bartolomei. La Roma in quegli anni non lottava per il primato, ma ricordo il grande attaccamento del pubblico. I tifosi erano sempre generosi, impagabili, ci sostenevano anche quando le cose andavano male, ti accoglievano come un figlio. Non ci hanno mai fatto mancare il loro sostegno. Ed era giusto che ci fischiassero quando non giocavamo all’altezza, ma anche la loro disapprovazione del momento era figlia di un grande attaccamento alla squadra ed alla città. Io credo che oggi la Roma abbia bisogno di ritrovare i propri tifosi sugli spalti, sperando che vengano preso risolte le diatribe con la federazione. Perché la spinta che dà una tifoseria come quella giallorossa ti fa avere una marcia di più in campo”.
Che pensiero si è fatto sull’esonero di Garcia?
“L’allenatore ha sicuramente le sue responsabilità, ma questa situazione non può essere imputata solo al tecnico, ci sono altre componenti che hanno determinato questo momento negativo. Tutti devono sentirsi responsabili, dai dirigenti ai giocatori ai quali forse vengono concessi troppo alibi. La forza di una squadra è fatta di un mix perfetto tra società, squadra, tifosi e stampa. Nel calcio si può sbagliare, perché nulla è mai scontato, ma si deve sbagliare per costruire e migliorare, mai sbagliare per destabilizzare o distruggere. Oggi la Roma è una squadra anonima, deve ritrovare l’identità perché è una squadra competitiva e ridare credibilità all’esterno. Negli ultimi tempi ha influito molto il distacco dal pubblico, che è sempre il valore aggiunto quando giochi in casa. Occorre riportare la gente allo stadio, riaccendere l’entusiasmo, appianare le incomprensioni”.
Marco Tosarello