AGI – Non è arrivato il foglio d’espulsione per Di Maio, ma una condanna per le sue affermazioni degli ultimi giorni che discreditano – questa la tesi – il Movimento. Una sorta di ‘scomunica’, di sfiducia politica per sottolineare che il ministro degli Esteri non rappresenta le posizioni M5s al governo.
Un primo passo, insomma, verso una separazione che ormai sembra una strada tracciata in quanto lo strappo è sempre più vicino. Conte ha schierato il Consiglio nazionale per rilanciare la linea pentastellata sulla guerra in Ucraina rigettando le accuse arrivate dal responsabile degli Esteri di un Movimento lontano da posizioni atlantiste ed europeiste.
Le distanze al momento non appaiono colmabili, si amplierà ancora di più il solco. I contiani ritengono che Di Maio stia cercando lo strappo e che usi il tema della risoluzione delle armi come un pretesto, nascondendo il vero nodo del contendere, ovvero la questione delle liste nel 2023, il tema della restituzione degli stipendi e le nomine dei coordinatori locali.
I fedelissimi del ministro degli Esteri ritengono che l’atteggiamento di Conte sia una sorta di harakiri, perché contestando la linea del responsabile della Farnesina ci si pone contro la posizione portata avanti dall’intero esecutivo. Da qui la consapevolezza da parte di molti dimaiani, considerato che M5s non è scalabile, che si è arrivati a un punto di non ritorno e che sia giunto il momento di avviare un percorso per arrivare ad un soggetto politico che possa contenere i populismi e mettere insieme un’area riformista che risponda “alle nuove esigenze del Paese”.
Utilizzando con lo sguardo rivolto alla prossima legislatura tutto il bagaglio ‘draghiano’ “per un’operazione – afferma una fonte parlamentare – di grande responsabilità”. La resa dei conti è ormai nei fatti, la frattura potrebbe avvenire già nella prossima settimana. In caso di una rottura interna al Movimento quindi la tentazione – al momento non c’è nulla di concreto – “è quella di far nascere un nuovo punto di riferimento della politica nazionale che possa in qualche modo scardinare i poli e far emergere un’area governista”, spiega un altro ‘big’ M5s.
Ma all’interno del Movimento c’è anche un”area di mezzo’ che considera sbagliato delegittimare un ministro degli Esteri in un momento in cui c’è una prospettiva politica ed economica, per il Paese e a livello internazionale, a dir poco preoccupante. Una preoccupazione presente soprattutto nel governo, il timore è che le tensioni interne al Movimento 5 stelle si riversino sull’attività dell’esecutivo. Legittimo un confronto-scontro all’interno di un partito ma – questo il ragionamento – se le divisioni esondano e si trasferiscono sul percorso portato avanti dal premier Draghi allora si crea un problema politico.
Chi punta a sostituire Di Maio nel governo si scontrerebbe con il muro del premier, non solo per il fatto che a nominare i ministri e’ il presidente del Consiglio ma anche perché non è pensabile, si ragiona nel governo, cambiare un ministro con una crisi internazionale in corso o provare a delegittimarlo.
Il contesto non lo permette, oltre al fatto che Di Maio si sta muovendo – ragiona una fonte dell’esecutivo – su posizioni portate avanti anche dall’ex numero uno della Bce. Quindi i prossimi giorni saranno delicati anche per l’esecutivo a causa delle fibrillazioni tra Di Maio e il presidente M5s Conte anche se ovviamente il premier, al pari degli altri leader della maggioranza, non entra in alcun modo nella ‘querelle’ sorta all’interno del pianeta pentastellato.
La resa dei conti
Ma il passaggio delicato è quello della risoluzione che accompagnerà le comunicazioni del presidente del Consiglio il 21 giugno in vista del Consiglio europeo. Nelle varie riunioni di maggioranza che si sono tenute finora sulla risoluzione il clima è stato collaborativo. Tuttavia, le pressioni che arrivano dall’esterno peseranno quando domani alle 16 si riunirà il tavolo che dovrebbe sciogliere i nodi più importanti. E non è detto che si riesca a farlo già nelle prossime 24 ore.
Al netto di bozze circolate (e smentite dai vertici M5s) l’argomento sull’invio delle armi è stato affrontato in maniera ufficiosa. Contatti informali che non hanno portato a passi avanti in quanto il Movimento 5 stelle insiste sulla necessità di una ‘svolta’. La prima richiesta M5s è che sull’eventuale nuovo invio di materiale bellico siano le Camere a potersi esprimere con un voto. Mentre le altre forze della maggioranza, il Pd in primis, puntano sulla formula della ‘descalation’ militare.
Si cercherà una scappatoia ma il governo ha già fatto sapere di non poter accettare commissariamenti. Altrimenti – questo il rischio – l’esecutivo non c’è più. E non si accetterebbero ipotesi di appoggi esterni, qualora il Movimento 5 stelle intendesse strappare la strada sarebbe quella delle elezioni.
Detto questo, c’è un filo di ottimismo per arrivare ad una sintesi perché l’esecutivo è intenzionato a valorizzare la necessità di insistere su una nuova fase che porti perlomeno ad una tregua delle parti in conflitto. Draghi ha avviato una serie di iniziative, non ultima quella del viaggio a Kiev con Scholz e Macron, proprio per costruire un percorso di pace.
Il presidente del Consiglio il 21 giugno spiegherà la strategia portata avanti nel quadro della crisi internazionale, farà leva sulla visita in Israele e sull’imminente tappa in Turchia (sarà ad Ankara il 5 luglio), rimarcherà allo stesso tempo che l’Italia non si può sottrarre dagli impegni in sede Ue e Nato.
Che cosa fanno la Lega e il Pd
L’esecutivo vuole dunque autonomia d’azione senza che arrivino paletti dalle forze politiche, pur nel convincimento che debba essere fatto tutto il necessario per arrivare alla fine della guerra. Ad appoggiare la tesi dell’importanza del dialogo e non delle armi è anche la Lega con Salvini che in più occasioni si è posizionato su una linea ‘pacifista’ senza se e senza ma.
Ma pure tra gli ‘ex lumbard’ il ‘refrain’ è che una larga parte del partito non voglia mettere in difficoltà il premier né il percorso della legislatura. Un ragionamento valido, in realtà, anche tra molti parlamentari del Movimento 5 stelle, soprattutto a Montecitorio. Ma è stato lo stesso Conte a sottolineare di non volere creare problemi al governo.
Il Pd, Forza Italia, Italia viva e gli altri centristi si muovono per mediare. Soprattutto i dem sono al lavoro per evitare uno strappo con il Movimento 5 stelle, “il rischio – osserva un ‘big’ del Pd – e’ doversi poi consegnarsi agli umori della Lega”. Il segretario Letta mantiene un ottimo rapporto alla luce del sole sia con il presidente M5s Conte che con il ministro Di Maio ma ritiene imprescindibile che non venga messa in discussione la prospettiva europeista e che si mantenga nei confronti dell’azione del governo un atteggiamento serio e responsabile.
Il momento peggiore per una crisi di governo
Dunque, l’auspicio è che non ci siano fibrillazioni per il governo in un momento di massima delicatezza per il Paese impegnato tra l’altro nell’attuazione del Pnrr e a evitare le tensioni sui mercati. Il passaggio cruciale ci sarà dunque sulla risoluzione con gli alleati del Movimento 5 stelle dell’ex fronte rosso-giallo che insistono sulla necessità di evitare ogni tipo di riferimento allo stop alle armi. La tesi è che non si possono affrontare temi divisivi ma occorrerà un lavoro di ricucitura per trovare una formula che vada bene al Movimento 5 stelle e alla Lega.
Il tema della guerra in Ucraina è considerato sensibile nel governo e non solo. Sergio Mattarella che sta preparando una visita di Stato in Mozambico e una visita ufficiale in Zambia, la prossima settimana presiederà la Sessione inaugurale della 2 Conferenza Nazionale della Cooperazione allo sviluppo.
Da tempo ha fatto sapere che l’Italia resta fedele alla sua tradizione di politica estera europeista ed atlantista e attende il voto in Parlamento alla vigilia del vertice Ue, prima del quale incontrer al Quirinale, come di consueto, Mario Draghi e i ministri interessati ai temi in agenda. Ovviamente il voto del Parlamento è determinante per indicare le linee di condotta del governo e palazzo Chigi sta mediando per giungere a una risoluzione condivisa, ma la linea invalicabile è quella indicata nei mesi scorsi.
Le tre vie per Mattarella
Se il M5s insistesse sul no all’invio di armi si aprirebbe dunque una crepa insanabile nella maggioranza e in caso di caduta dell’esecutivo si sa che il rischio di andare a elezioni anticipate non è impossibile. Dal Quirinale ovviamente non trapela nulla, ma in caso di crisi il Presidente ha comunque davanti a sé diverse ipotesi di scuola.
- Potrebbe sciogliere le Camere, sentiti i presidenti di Camera e Senato
- Potrebbe rimandare alle Camere il governo Draghi per verificare se ha ancora una maggioranza, anche se più risicata rispetto all’attuale
- Potrebbe convocare le consultazioni per sondare le intenzioni delle forze politiche, sapendo che ci sono impegni importanti, dalla legge finanziaria agli obiettivi del Pnrr e si potrebbe delineare addirittura un esecutivo di minoranza mirato al varo della finanziaria e dei provvedimenti richiesti dal Pnrr.
Insomma, c’è ancora incertezza, nei palazzi della politica tutti confidano in un atteggiamento di responsabilita’ da tutti gli attori in gioco, ma fino a martedi’ la suspense restera’ alta. (AGI)Gil