Mercoledì scorso la Commissaria europea per l’energia, Kadri Simson, il ministro egiziano per il petrolio, Tarek el-Molla, e la loro omologa israeliana, Karine Elharrar hanno firmato il protocollo d’intesa per l’esportazione di gas israeliano in Europa attraverso l’Egitto. Il gas verrà prima trasportato via tubo sottomarino dai giacimenti israeliani off-shore di Leviathan e Tamar verso i terminali egiziani di liquefazione, da dove sarà poi esportato verso il mercato europeo sotto forma di gas naturale liquefatto (GNL).
L’alta valenza dell’accordo è testimoniata da diversi fatti. Innanzi tutto, la presenza della numero uno della Commissione Europea, la presidente Ursula von der Leyen, a riprova dell’urgenza europea di trovare forniture di gas alternative a quelle russe. Poi, la nuova indulgenza europea nei confronti di regimi autoritari come quello egiziano, macchiatosi di reati come l’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni o l’imprigionamento dello studente Patrick Zaki, ma della cui cooperazione non possiamo fare a meno. Inoltre, il fatto che la firma sia avvenuta nel quadro dell’East Mediterranean Gas Forum, il consesso che riunisce Cipro, Egitto, Francia, Grecia, Israele, Italia, Palestina e Giordania creato con lo scopo di favorire lo sfruttamento delle risorse del Mediterraneo orientale e la prosperità della regione, ma che non vede la Turchia tra i propri associati. Infine, il fatto che questo è il primo accordo mai siglato da Israele per l’esportazione del proprio gas, facendo in prospettiva dello Stato ebraico un esportatore netto dell’oro blu.
Due giorni prima era stato il Presidente del consiglio italiano, Mario Draghi, anche lui in compagnia di Ursula von der Leyen, a recarsi in visita in Israele. Lo scopo della missione di Draghi, la prima in Medio-oriente da quando è a palazzo Chigi, non è stato solo quello di confermare l’amicizia tra Rome e Tel Aviv ma soprattutto di dare sostegno, attraverso la propria presenza fisica, al venturo Protocollo.
Ma l’esportazione del gas israeliano come GNL attraverso l’Egitto potrebbe essere una soluzione temporanea o complementare ad un’altra soluzione: il gasdotto EastMed.
Se ne è discusso alla recente conferenza “Energy and the Eastern Mediterranean in 2022”, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi e dal Jerusalem Center for Public Affairs. Il gasdotto Eastmed dovrebbe portare il gas israeliano e del Mediterraneo orientale in Italia passando attraverso Cipro, Creta e la Grecia continentale.
Un gasdotto non è una mera infrastruttura. È un collegamento fisico che crea legami a lungo termine, buoni o cattivi, tra i paesi che attraversa. Ed è suscettibile di creare divisioni con i paesi che non ne sono attraversati. Questo è il caso dell’EastMed. La decisione di aggirare la Turchia è sia l’effetto che la causa di considerazioni geopolitiche.
Con una capacità prevista iniziale di 10 miliardi di metri cubi all’anno (BCM) che potrebbe essere potenzialmente raddoppiata in una seconda fase, rappresenterebbe un’importante pietra miliare nella strategia europea di sostituzione del gas russo nel quadro del piano REPower EU. Nel 2021 le esportazioni russe di gas naturale verso l’Europa sono state di 155 miliardi di metri cubi, di cui 29 miliardi di metri cubi sono andati in Italia e circa 20 miliardi di metri cubi nei paesi dell’Europa sudorientale, inclusa la Grecia. Questi sono i paesi che maggiormente potrebbero beneficiare dell’approvvigionamento di gas dal Mediterraneo orientale.
Secondo le stime dei geologi, il bacino del Levante potrebbe contenere riserve di gas fino a 3.500 BCM, che sarebbero in grado di soddisfare i consumi europei per quasi 10 anni. Le opzioni principali per portare quel gas sul mercato europeo sono tre. Uno è trasportarlo tramite gasdotto in Egitto, per poi liquefarlo ed esportarlo come GNL. Questo è quanto previsto dal protocollo firmato il 13 giugno. Ma è anche quanto sta già accadendo in seguito alla firma dell’accordo del 2020 tra il governo egiziano e le compagnie petrolifere israeliana Delek e americana Noble, detentrici dei diritti di sfruttamento dei giacimenti di Leviathan e Tamar. Ed è anche il modo in cui viene esportato parte del gas egiziano. Tuttavia, con una capacità di liquefazione complessiva di 13 BCM all’anno di cui una gran parte già utilizzata, i due impianti di Idku e Damietta non dispongono di capacità sufficiente per liquefare quantità significative di gas aggiuntivo. In ogni caso, la loro prevista espansione sarebbe compatibile con il gasdotto EastMed.
Infatti, dopo la scoperta nelle acque egiziane del più grande giacimento del Mediterraneo, Zohr, che detiene riserve di gas per 850 BCM, possiamo prevedere che questo gas verrà utilizzato per alimentare la crescente domanda di gas dell’Egitto mentre il resto sarà esportato tramite GNL in Europa o via gasdotto verso i paesi limitrofi.
La seconda opzione sarebbe la più semplice sia dal punto di vista tecnico che economico: portare il gas di Cipro e Israele in Turchia attraverso un gasdotto di nuova costruzione e quindi collegarlo alla rete di trasporto del gas turca. Ma questa soluzione mancherebbe probabilmente di saggezza politica: perché dare al presidente turco Recep Tayyip Erdogan uno strumento in più per ricattare l’Europa come sta già facendo con i migranti? Non deve sorprendere che Erdogan sostenga apertamente questa soluzione. Se nessuna condizione politica venisse richiesta da UE e USA in cambio della partecipazione di Ankara al progetto, ciò consentirebbe alla Turchia di cristallizzare ulteriormente lo status quo nell’isola di Cipro, divisa dal 1974 per effetto dell’occupazione illegale della parte settentrionale da parte dell’esercito turco.
Qui entra in gioco la terza opzione: il gasdotto EastMed, che è stato anche etichettato come “gasdotto delle democrazie”. Con una lunghezza totale di circa 1.900 km, esso avrebbe una prima tratta sottomarina che collegherebbe i giacimenti offshore israeliani e ciprioti a Cipro, una seconda tratta – quella tecnicamente più complessa, con una lunghezza di 700 km e che raggiungerebbe una profondità fino a 3.000 metri – da Cipro a Creta, e una terza tratta da Creta al Peloponneso, dove si collegherebbe al gasdotto Poseidon, in costruzione, che collegherà la rete greca con quella italiana. Nonostante la sua complessità tecnica, progetti simili sono stati realizzati con successo. Il North Stream è un doppio sistema di gasdotti che corre per 1.224 km attraverso il Mar Baltico e trasporta 55 miliardi di metri cubi di gas. È costato 7,4 miliardi di euro. Il gasdotto Langeled corre per 1.166 km sotto il Mare del Nord e trasporta gas dalla Norvegia alla costa orientale del Regno Unito. È costato circa 3 miliardi di euro. Stones, a 320 km al largo della costa del Texas e profondo 2.900 metri, è il giacimento di petrolio e gas offshore più profondo del mondo in funzione.
Dal 2013 EastMed è stato incluso tra i Progetti di interesse comune dell’UE, e ha ricevuto 34,5 milioni di euro in sovvenzioni per la sua preparazione. Nel 2019, il progetto ha ricevuto il riconoscimento formale della sua rilevanza geopolitica attraverso l’istituzione dell’East Mediterranean Gas Forum. Agli otto paesi membri di cui sopra, si aggiungono gli Usa come osservatori. Lo stesso anno, Grecia, Cipro e Israele hanno firmato un accordo intergovernativo per il gasdotto EastMed alla presenza dell’allora Segretario di Stato americano Mike Pompeo, marcando così il sostegno di Washington al progetto.
La struttura della partnership nel progetto riflette le preoccupazioni dei suoi associati sulla posizione della Turchia. Ankara si oppone fermamente al progetto e ha risposto avviando operazioni di prospezione nelle acque greche e cipriote e minacciando le navi da esplorazione di compagnie internazionali che operavano al largo delle coste di Cipro. Erdogan si arroga inoltre il dovere alla salvaguardia dei diritti dei ciprioti del Nord allo sfruttamento delle risorse naturali dell’isola. Per spezzare la traiettoria Est-Ovest del gasdotto EastMed, Ankara ha stipulato con la Libia un accordo per la demarcazione delle rispettive zone economiche esclusive, le quali diverrebbero così confinanti a Nord delle acque libiche e a Sud di quelle turche.
Nel frattempo, nel gennaio di quest’anno l’amministrazione Biden ha ritirato il suo sostegno al progetto mascherando le motivazioni geopolitiche della sua decisione con ragioni ambientali. Più precisamente, gli Stati Uniti hanno comunicato che sosterranno progetti che accelerino la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio e che le interconnessioni elettriche in grado di trasportare sia l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili che l’elettricità generata da gas sono più efficaci al raggiungimento di questo obiettivo. I progetti a cui Washington si riferisce sono l’interconnessione EuroAsia tra Israele, Cipro e Grecia e l’interconnessione EuroAfrica tra Egitto e Grecia. In realtà, il cambio di atteggiamento degli Stati Uniti si spiega con la guerra Russia-Ucraina e la volontà di Washington di tenere la Turchia fuori dall’orbita di Mosca. Ma anche con il tentativo di eliminare possibili concorrenti del GNL americano.
Allora, come conciliare economia e geopolitica? La riunificazione di Cipro potrebbe essere una soluzione vantaggiosa per tutti, a condizione che venga raggiunta a condizioni eque. Finora i tentativi di riunificare l’isola non hanno avuto successo.
Insieme al possibile raddoppio della capacità del TAP, all’entrata in funzione dei terminali di rigassificazione di Alexandroupoli in Grecia – previsto per l’anno prossimo – e di Krk-Veglia in Croazia – avvenuto lo scorso anno – il gasdotto EastMed potrebbe contribuire a liberare la regione più fragile d’Europa dalla tenaglia russa e aprire una nuova stagione di cooperazione e prosperità.
Gaetano Massara