La terza sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con sentenza del 14 giugno 2022, ha condannato la Russia per una violazione del diritto al rispetto della vita familiare, tutelato dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il caso ha riguardato l’incapacità delle autorità nazionali russe di garantire i contatti tra un papà e suo figlio.
Le autorità pubbliche hanno precisi obblighi e devono garantire l’esercizio dei diritti di visita tra genitori non affidatari e figli. L’obbligo che impone alle autorità nazionali di adottare misure per facilitare il contatto di un genitore non affidatario con i propri figli dopo il divorzio non è assoluto. Per tale ragione, al fine di comprendere se vi sia stata una violazione del diritto al rispetto della vita familiare, è necessario valutare se tali autorità abbiano adottato tutte le misure necessarie per facilitare tale contatto, in base alle circostanze particolari di ciascun caso.
Nel caso di specie, per oltre cinque anni dalla sentenza che ha definito le modalità di svolgimento degli incontri tra il ricorrente e suo figlio, le autorità nazionali hanno cercato di garantire l’esecuzione di quanto stabilito in tale decisione: gli ufficiali giudiziari hanno accompagnato il ricorrente al luogo di residenza del bambino, hanno inflitto sanzioni amministrative alla madre del bambino, hanno recuperato da lei le spese di esecuzione della sentenza e hanno coinvolto varie autorità competenti per facilitare tale esecuzione.
Tuttavia, tutti questi sforzi si sono rivelati di scarso impatto sul diritto del ricorrente di mantenere i contatti con suo figlio. Di fatto, egli non è mai stato in grado di comunicare con suo figlio nei termini previsti dalla sentenza.
In effetti, il compito dei tribunali nazionali è stato reso difficile dal risentimento della madre del bambino nei confronti del papà e dalla sua riluttanza a consentire il contatto l’uomo e suo figlio.
Nel presente caso, gli ufficiali giudiziari avrebbero dovuto comprendere che le sanzioni pecuniarie imposte alla madre del bambino erano inadeguate a migliorare la situazione e, soprattutto, a superare la sua mancanza di cooperazione. Eppure, le autorità nazionali non hanno preso in considerazione altre misure coercitive nei suoi confronti.
Dai documenti sottoposti alla Corte Europea non è emerso che il bambino fosse riluttante a incontrare suo padre. Tuttavia il tempo considerevole durante il quale tale sentenza è rimasta inapplicata ha frustrato i diritti del papà e ha provocato un definitivo allontanamento tra lui e suo figlio.