«Da buon occidentale sono sempre stato molto proattivo, molto razionale e amante della tradizione, poi però mio figlio per gioco mi ha portato in una dimensione diversa ed è nato questo progetto, che da due anni porto avanti» queste brevi parole sono dell’artista partenopeo Cristoforo Russo, padre della collezione Manhattan Transfer, un successo senza precedenti che ha colpito un noto Storico e Critico d’Arte, il Professor Rosario Pinto.
Il Professor Pinto, è autore di numerosissimi volumi monografici dedicati all’arte contemporanea ed è stato e lo è ancora curatore di numerosi eventi espositivi, congressuali e convegni. Continua a collaborare con numerose riviste e quotidiani con articoli di approfondimento e rubriche di critica militante.
Come esperto di arte contemporanea, abbiamo avuto il piacere di incontrare a Roma, proprio il Professor Pinto, il quale ci spiega questa collezione «Manhattan Transfer è un’esperienza importante da vari punti di vista, non soltanto perché in qualche modo segna una sorte di ponte di collegamento fra le due sponde dell’atlantico con un aggancio a quella che è la grande tradizione della letteratura americana, ma soprattutto costituisce una visione di collegamento e di sintesi fra i vari linguaggi espressivi e quindi l’opportunità che si offre di un allargamento e di una estensione dei registri comunicativi, non semplicemente di quelli che sono gli aspetti del contenuto del messaggio. La cosa è di particolare interesse perché se prendiamo in esame anche le posizioni alle quali aveva dato corpo Mcluhan, per esempio che identificava il messaggio con il contenuto del messaggio e che quindi attribuiva uno straordinario potere di convincimento di quelli che sono i contenuti della comunicazione, ne emerge che nella nostra civiltà contemporanea bisogna prestare la massima attenzione a come si utilizzano questi strumenti comunicativi perché gli strumenti comunicativi rischiano altrimenti di determinare come dire una modificazione anche dei contenuti stessi che debbono essere veicolati. Da questo punto di vista quindi l’operazione di avere una prospettiva polisemica, io la definisco all’interno della quale non si vadano a sovrapporre fra di loro le prospettive e le indicazioni in modo confuso, ma con una sintesi producente di quella che è la visione direi unitaria e complessiva del messaggio giovano a far si che la visione generale risponda ad una prospettiva unitaria di indirizzo riuscendo contemporaneamente a presentarsi e proporsi con una visione estremamente variegata delle opportunità di manifestazione pratica che logicamente hanno una loro prestanza anche di tipo sensoriale e quindi agiscono a livello percettivo proprio perché utilizzano in modo non eclettico ma polisemico come già dicevo precedentemente una serie di vettori quali possono essere la parola, l’immagine nella costruzione, il volume, la performance e il suono».
Agostino Fraccascia