La “fame” in Africa è un fenomeno relativamente recente: le produzioni di cereali autoctoni ressero abbastanza bene l’impatto colonialistico o, più esattamente, la determinazione di confini – imposti dalle potenze europee – che potevano ostacolare i naturali fenomeni migratori interni, soprattutto da Est ad Ovest a seconda delle variazioni nella disponibilità di acqua per coltivare terreni o allevare animali; ma, con gli anni Sessanta del secolo scorso, la scelta di importare cereali e farine a basso prezzo provenienti dal Nord America – collegata anche alla sostituzione violenta di molte classi dirigenti nazionaliste con élites filoccidentali – comportò, altresì, l’abbandono delle vecchie colture. Quando, però, le nuove classi dirigenti cominciarono ad importare anche beni di lusso e armamenti, l’inflazione del decennio successivo cominciò a determinare un indebitamento non solo insostenibile, ma anche richieste di interventi sbagliatissimi (deflattivi) delle principali istituzioni finanziarie internazionali. Risultato: la gran parte degli Africani non aveva disponibilità monetarie per acquistare baguettes e pasta straniera, ma non c’erano più nemmeno gli antichi cereali, miglio e sorgo.
Molti progetti per ovviare alla situazione furono proposti, tra cui il più famoso, Transaqua, per rifornire il lago Ciad dell’acqua proveniente dal fiume Congo; ma anche drenare quest’ultimo per accelerare il corso del Nilo ed evitare l’evaporazione nei pressi di Kartoum. Essi, tuttavia, incontravano due ostacoli che sembrarono insormontabili: il rispetto dei criteri della globalizzazione, comunque legati a quelli cosiddetti occidentali e nordamericani; l’interesse delle organizzazioni umanitarie di continuare a piazzare le eccedenze di cereali e, comunque, controllare popolazioni che risultavano utili ai fini delle importantissime sperimentazioni sanitarie libere e a basso costo.
Ma, adesso, qualcosa potrebbe smuoversi proprio grazie al conflitto geopolitico che, oramai, ha rafforzato definitivamente la multipolarità del pianeta.
Orbene, in attesa che finisca l’ambiguità monetaria dei Paesi emergenti che si proclamano anti-Usa e detengono ampie disponibilità di dollari e titoli di Stato americani a garanzia delle proprie valute nazionali, più di qualcosa potrebbe cambiare: l’aumento dei prezzi delle materie prime (in primis alimentari, per problemi di trasporto e logistici) potrebbe indurre molti Paesi africani – magari a cominciare da quelli, già abbondantemente corteggiati dai Russi e che hanno offerto resistenza alle indicazioni dell’OMS – a ricominciare a piantare cereali ed altre produzioni compatibili con i climi nordafricani e subsahariani.
Il punto è: come arrivare alla stagione delle piogge per seminare i cereali e quali cereali seminare che siano disponibili e a costi ragionevoli?
Ecco che, se la Russia che attualmente controlla il grano ucraino, traguardasse l’obiettivo di infliggere un doppio colpo agli USA (contro la globalizzazione e per acquisire maggiore influenza su molti Paesi africani), la gestione del grano attualmente nelle disponibilità di Mosca e presente nei porti del Mar Nero, potrebbe prevedere un suo uso per la transizione dal vecchio modello economico della globalizzazione alla ripresa delle capacità produttive locali; la Sicilia e le altre regioni del Meridione d’Italia hanno ampie disponibilità di sementi non ogm e, quindi, il nostro Paese potrebbe trovarsi a contribuire a tale importante cambiamento. Col grano ucraino si arriverebbe alla stagione della semina dopo le piogge autunnali e, dove l’acqua scarseggia – pur tenendo presente che i cereali, i più adatti ai climi aridi, non amano troppo l’irrigazione – oggi sono disponibili tecnologie avanzatissime e sempre meno costose per dissalare quella del mare.
Alla fin fine il trambusto di questa guerra sarà positivo e, la tanto temuta carestia da parte delle principali organizzazioni internazionali, potrebbe rivelarsi un’ottima occasione per liberarsi del passato e guardare con più fiducia alle sorti del Pianeta e dei suoi abitanti. Di Antonino Galloni
Pubblicato da Giada Giunti