Nessuno ha chiesto cosa indossasse lo stupratore
“La ragazza alterata per un uso smodato di alcol (…) provocò l’avvicinamento del giovane che la stava attendendo dietro la porta. L’imputato non ha negato di avere abbassato i pantaloni della giovane – ma -nulla può escludere che sull’esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura“. Così si legge nella sentenza della Corte d’Appello di Torino, riportata dalla agenzia Ansa il 7 luglio. I giudici continuano poi nell’affermare che la giovane avrebbe invitato ad “osare” il ragazzo avendo lasciato la porta socchiusa. Una sentenza che fa accapponare la pelle, quella che ha ribaltato il verdetto di due anni e due mesi e venti giorni di reclusione per il ragazzo accusato di stupro nel 2019. Risale infatti a tre anni fa l’episodio: due giovani amici si incontrano in un bar in via Garibaldi, la ragazza si fa accompagnare in bagno dal giovane che conosceva bene il locale in quanto vi aveva lavorato per diverso tempo, e lì si consuma l’abuso. Si tratta di dichiarazioni che non fanno altro che alimentare e legittimare la cultura dello stupro, ignorando come la donna avesse esplicitamente manifestato il suo mancato consenso a qualsiasi coinvolgimento in attività sessuali con l’imputato; ma per la Corte ciò non sembra essere importante quanto la qualità della sua cerniera. Dichiarazioni che riportano le lancette dell’orologio indietro fino al 1998, quando fu emanata una sentenza che affermava che la donna era consenziente perché indossava un paio di jeans. Si tratta della storia di Rosa, violentata in una strada di campagna dal suo istruttore di guida, ma per il Tribunale lo stupro non c’è stato perché lo stupratore era riuscito a sfilarle i jeans “indumento che, come tutti sanno, non è sfilabile senza la fattiva collaborazione di chi lo porta”, così come si legge nella sentenza. Ventiquattro anni dopo è ancora la donna a essere “vittima di sé stessa”, delle sue scelte d’immagine, dei posti che frequenta, dell’alcol che può avere o meno assunto. E ancora una volta lo stupratore diventa un personaggio marginale, al quale si trova sempre un alibi perché incapce di resistere a una “tentazione”. L’espediente della porta del bagno socchiusa sottolinea ancora una volta come ogni azione femminile venga continuamente sessualizzata, anche quella meno sensuale come predisporre ai propri bisogni. Il sostituto procuratore generale Nicoletta Quaglino ha deciso che questo non sarà un caso di cronaca destinato al dimenticatoio e ha così impugnato la sentenza in Cassazione.
Aurora Mocci