Nel saggio Cibernetica e Fantasmi Calvino affronta la letteratura come processo combinatorio facendo risalire la sua matrice all’uso del linguaggio nelle tribù. Egli descrive, come all’interno di questo dominio, la vita si basasse su un codice di regole molto complicate cui doveva modellarsi ogni azione e ogni situazione. Il primo processo combinatorio ha luogo da una sproporzione tra il mondo multiforme e complesso e il numero limitato di parole per esprimerlo; da qui nasce una difesa verso questo limite espressivo da parte degli uomini, che vi opponevano un numero finito di suoni variamente combinati. Questa reazione si estendeva gradualmente: più le scelte di comportamenti e di frasi erano limitate più le regole del linguaggio erano obbligate a complicarsi per padroneggiare una varietà sempre crescente di situazioni, sperimentando fino a che punto le parole potessero combinarsi l’una con l’altra e generarsi l’una dall’altra.
In tal modo il linguaggio si orientava verso la possibilità, verso la consapevolezza della sua facoltà di combinarsi. A questo punto Calvino illustra come la figura del narratore sia stata determinante nel modificare i parametri di un mondo fisso: quello dell’uomo della tribù, costellato da segni e corrispondenze tra parole e cose. La voce del narratore si estendeva lungo un “flusso d’un discorso-racconto”, all’interno del quale ogni parola assumeva nuovi significati trasmettendoli alle immagini ed alle idee ad essa connesse. «Ogni animale, ogni oggetto, ogni rapporto acquistava poteri benefici e malefici, quelli che saranno detti poteri magici e che si potrebbero invece dire poteri narrativi, potenzialità che la parola detiene, facoltà di collegarsi con altre parole sul piano del discorso». E’ la tribù, dunque, la matrice della narrativa orale, appunto, detta narrativa orale primitiva, che per certi versi si è evoluta nella fiaba popolare, tramandata quasi fino ad oggi. Sia la narrativa orale, sia, più specificatamente, la fiaba popolare presentano elementi prefabbricati che consentono però un enorme numero di combinazioni.
Non a caso Vladimir Propp, nel corso dei suoi studi sulle fiabe russe, era giunto alla conclusione che tutte le fiabe fossero come varianti di un’unica fiaba e potessero essere scomposte in un numero finito di funzioni narrative. Nella stessa direzione vanno le deduzioni di Lévi-Strauss che lavorò sui miti degli indiani del Brasile in cui individua un sistema di operazioni logiche tra termini permutabili, tali da poter essere studiati mediante procedimenti matematici dell’analisi combinatoria. Ciò sta a significare che la fantasia popolare non è, dunque sconfinata come un oceano e neanche come un serbatoio esauribile. Per capire l’entità della sua potenzialità essa può essere comparata alle operazioni aritmetiche e le operazioni narrative sono sullo stesso piano e non possono essere molto diverse da popolo in popolo. A costituirne la facoltà narrativa sono le combinazioni, le permutazioni e le trasformazioni illimitate.
L’istanza della combinazione è radicata in Italo Calvino, tant’è che il suo valore è avvalorato ed evidenziato anche attraverso alcune riflessioni generali, nel modo ad esempio in cui la cultura vede il mondo, che per lo scrittore è osservato sempre più come discreto e sempre meno come continuo. Anche in questa osservazione Calvino utilizza nozioni matematiche che considera fortemente attinenti ai processi letterari, anzi, più precisamente le considera connaturate e inscindibili da quelle narrative. In questa bipartizione fra discreto e continuo, relativa alla visione del mondo, “discreto” significa composto da parti separate e per Calvino questo termine risulta idoneo ad una visione del mondo via via più radicata. Ma non è sempre stato così: «il pensiero, che fino a ieri ci appariva come qualcosa di fluido, evocava in noi immagini lineari come un fiume che scorre o un filo che si dipana, oppure immagini gassose, come una specie di nuvola, tant’è vero che veniva spesso chiamato “lo spirito”, – oggi tendiamo a vederlo come una serie di stati discontinui, di combinazioni di impulsi su un numero finito (un numero enorme ma finito) di organi sensori e di controllo». Da questa consapevolezza dell’esistenza di combinazioni finite si deduce una seconda riflessione, quella legata alla tematica dei cervelli elettronici, il cui limite è sicuramente quello di non poter riprodurre tutte le funzioni del cervello umano, ma che sicuramente fungono come modello teorico convincente per i processi più complessi della memoria umana, delle associazioni mentali, nell’immaginazione e della coscienza umane.
Tra le personalità che hanno determinato un radicale cambiamento nei processi mentali umani, Calvino individua Weiner, Von Neumann, grazie ai quali «al posto di quella nuvola cangiante che portavamo nella testa fino a ieri e del cui addensarsi o disperdersi cercavamo di renderci conto descrivendo impalpabili stati psicologici, umbratili paesaggi dell’anima, – al posto di questi oggi sentiamo il velocissimo passaggio di segnali sugli intricati circuiti che collegano i relè, i diodi, i ransitor, di cui la nostra calotta cranica è stipata. Sappiamo che, come nessun giocatore di scacchi potrà vivere abbastanza a lungo per esaurire le combinazioni delle possibili mosse dei trentadue pezzi sulla scacchiera, così dato che la nostra mente è una scacchiera in cui sono messi in gioco centinaia di migliaia di pezzi – neppure in una vita che giocasse tutto l’universo si arriverebbe a giocarne tutte le partite possibili». L’influsso di Von Neumann e gli altri hanno, dunque, fornito nuove consapevolezze: l’arte combinatoria si esprime e nasce come processo rivolto a una rivincita della discontinuità, divisibilità, combinatorietà su tutto ciò che costituisce corso continuo.
Per tutto l’Ottocento, da Hegel a Darwin, sono trionfate la continuità storica e la continuità biologica; la sintesi primeggiava su ogni antitesi dialettica e su ogni mutazione genetica. Calvino segnala ora in questo saggio, il rovesciamento di tale prospettiva: nella storia non si segue più «il corso di uno spirito invadente nei fatti del mondo, ma le curve dei diagrammi statistici, la ricerca storica si va sempre più matematicizzando» e queste problematiche della letteratura sono ben emerse quando è rinata in Unione Sovietica, una scuola «Neo-formalista». Essa, con a capo, Kolmogorov, impiega per l’analisi letteraria le ricerche cibernetiche e la semiologia strutturale, il calcolo delle probabilità e la quantità d’informazione dei testi poetici. Oltre a questo riferimento, Calvino nel delineare le tappe del processo combinatorio, partendo dall’uso linguistico nella tribù, per poi passare alla spiegazione di una distinzione sempre più marcata tra continuo e discreto, ed ancora alla scuola Neo-formalista, segnala un ulteriore incontro tra matematica e letteratura.
Questa tappa importante, sulla quale lo scrittore si sofferma, si celebra in Francia e coincide con l’Ouvroir de Littérature Potentielle fondato da Raymond Queneau, l’autore di Cent mille milliard de poèmes e da altri matematici suoi amici, il cui gruppo è di carattere strettamente elitario e nasce quasi in clandestinità. La linea teorica predominante del gruppo si basa su una riflessione riguardante l’affidamento dei processi combinatori ai computer, giungendo al quesito fondante di questo tipo di speculazione sperimentale ossia se la macchina possa sostituire lo scrittore o il poeta. Già nell’analisi linguistica questa sostituzione è stata sperimentata, nelle traduzioni ad esempio. Allo stesso modo possono esservi macchine che creano poesie e romanzi, ed è per questo che Calvino ha intitolato la conferenza e il saggio, Cibernetica e fantasmi, poiché il quesito è fortemente sentito. Infine ulteriore elemento rilevante di questa analisi è che l’interesse però non sia orientato verso una realizzazione pratica, della macchina come sostituzione dello scrittore, piuttosto ad una sua realizzabilità teorica.
Dunque, più specificatamente, l’esigenza è quella della teorizzazione di una macchina poetico-elettronica che metta in gioco tutti gli elementi dell’esperienza vissuta, dell’imprevedibilità degli scatti d’umore, le illuminazioni interiori, che attui la destrutturazione formale e la contestazione in comparazione con le opere tradizionali, orientandosi verso una produzione di disordine: la macchina produce in tal modo avanguardia allo scopo di sbloccare i propri circuiti «intasati a una troppo lunga produzione di classicismo».
di Silvia Buffo