Incontrare Eleonora Riccio è stata un’immensa scoperta, una giovane donna che ha fatto della sua passione un lavoro e soprattutto che ha reso questo lavoro ecologico grazie alla sua caparbietà nel cercare in natura ciò che la potesse aiutare a raggiungere il suo obiettivo: l’ecosostenibilità. In questa intervista, Eleonora, ci racconta il suo modo di essere green.
Sin da piccolissima, hai avuto i primi contatti con la moda, grazie alla tua mamma e con l’arte, grazie al tuo papà. Quanto ti hanno influenzato nelle tue scelte future? Sono cresciuta in una famiglia amante dell’arte, della moda e del bello. L’interesse dei miei verso la cultura, l’architettura, il design, l’archeologia, la storia, mi ha permesso fin da piccola di apprezzare la bellezza ed aprire lo sguardo verso il mondo. Roma è stata la città ideale, è qui che sono nata e cresciuta, in questo museo a cielo aperto ricco di storia con la mia famiglia spesso si girava un po’ ovunque, dai musei, mostre e per le vie storiche. Mio padre inoltre negli anno ’60 lavorò come vetrinista per la Standa, mia madre fin da piccola amava cucire e divenne nel tempo sarta per Emilio Schuberth e Roberto Capucci, una volta quindi divenuta grande la scelta di frequentare l’Accademia di Costume e di Moda e diventare stilista mi sembrò quasi un percorso scritto nelle stelle. Frequentare l’Accademia mi sembrò un sogno, ricordo ancora con piacere il passare in Via della Rondinella davanti a Castel Sant’ Angelo a due passi da San Pietro, le passeggiate in via dei Coronari e Piazza Navona, i professori, le materie di studio. Credo di aver passato in accademia le ore più belle, le prime esaltanti sperimentazioni e a mano a mano ho arricchito la mia testa di stimoli, idee e conoscenza del settore.
Hai lavorato per grossi brand, da dove è venuta la necessità di metterti in proprio come ecostilista? Una volta terminata l’Accademia con il massimo dei voti e Lode, sono stata molto fortunata in quanto ho avuto la possibilità di lavorare anche per importanti brand che mi hanno forgiata e preparata al meglio al mondo del lavoro. All’Ittierre, famosa holding di Isernia ho lavorato per la Ferré, successivamente per la Salvatore Ferragamo a Firenze. Durante il periodo trascorso nell’ufficio stile della Ferragamo ho imparato davvero tanto. Il team era giovane e il mio capo mi diede da subito grandi responsabilità: il disegno della collezione, il seguire lo sviluppo prodotto in giro per l’Italia insieme al direttore tecnico, la partecipazione a diversi corsi di formazione, la visita alle concerie di zona, la conoscenza delle pelle e settore merceologico, fiere sui nuovi trend da seguire a Milano, lo sviluppo di metallerie e accessori per la decorazione scarpe, l’esposizione collezione a Palazzo Feroni a Firenze in showroom ai buyers di tutto il mondo. Tutto questo è stato un enorme bagaglio formativo e non smetterò mai di ringraziare tutte le persone incontrate lungo il mio cammino, grandi esperti del settore moda che mi hanno fatto capire quanto il dettaglio possa fare la differenza e che l’impegno è l’unico ingrediente che ti consente davvero di forgiarti, crescere e migliorare.
Come è avvenuto l’incontro fra il fashion design e la moda che possiamo denominare “naturale”? Pur essendo nata in città, il mio essere ha sempre cercato lo sfogo, la pace e il divertimento in spazi aperti, nello stare circondata dalla natura. Amo stare all’aria aperta, stare a contatto col verde, gli animali, visitare borghi medioevali, essere immersa in paesaggi dove l’occhio si perde all’orizzonte. La mia adolescenza l’ho vissuta a Gubbio in Umbria con amici amanti dei boschi e della vita all’aria aperta. Ricordo l’andare per gli orti, le prime lane che vidi colorare con pigmenti naturali. Decisi così in Accademia di scrivere una tesi sulla storia dei colori e pigmenti naturali dai primordi ad oggi, nella storia dell’Arte e nella moda, analizzando tutti quei valori simbolici e spirituali insiti nel colore. Poi dopo aver vissuto a Londra e aver visto il parco botanico delle Kew Gardens ecco l’illuminazione! Dopo tante esperienze di lavoro e un corso fatto tramite la Regione Lazio sull’imprenditoria femminile, ecco che ho capito cosa poteva realizzare Eleonora; un progetto di moda Made in Italy, di grande valore e recupero delle nostre tradizioni sartoriali e artigianali, utilizzando le piante per colorare i tessuti.
Cosa significa per te essere ecosostenibili? La moda è il secondo comparto dopo il settore petrolifero più inquinante al mondo, tutto quello che sta avvenendo di negativo, malattie, avvelenamento dei terreni, effetto serra, desertificazione, lo dobbiamo ai comportamenti sbagliati dell’essere umano su questa terra e in particolare all’uomo occidentale. Inevitabilmente se vogliamo sopravvivere, dobbiamo correre ai ripari e cercare di preservare in primis Madre Natura ed educare le generazioni verso comportamenti virtuosi e sostenibili per il nostro ecosistema. La domanda alla base del mio progetto di moda è stata: come posso da imprenditrice avviare un percorso teso alla valorizzazione del nostro patrimonio ambientale e di salvaguardia del nostro pianeta? Innanzitutto l’uso di tessuti aventi certificazioni GOTS (Global Organic Textile Standard), che certifica tessuti e fibre provenienti da colture biologiche e da una filiera etica e sana, ma non solo, sono sempre alla ricerca di tessuti Made in Italy che tingo con fiori, frutta, bacche, radici provenienti da aziende agricole e materiali di scarto come le foglie da potature.
Il tuo marchio, che particolarità ha rispetto a tutti gli altri? Tra le particolarità del mio fare moda è il “Modo” in cui faccio moda. Oltre a tingere i tessuti con il matriale di scarto proveniente da aziende agricole sparse sul territorio italiano, ho attivato un progetto in sinergia con la Riserva dei laghi Lungo e Ripasottile di Rieti e il professore Alberto Lelli, agronomo, dove ho deciso di far coltivare una pianta- la Isatis Tinctoria che è stata importante nel passato per quel distretto. Regolarmente mi reco quindi in Riserva a tingere i tessuti che divengono poi meravigliosi abiti fatti indossare anche a da alcune Vip durante alcuni Red Carpet come il Film Festival di Venezia e Roma e questo ha fatto sì che sulla Riserva gravitasse un grande interesse. Il mio non è solo un progetto di economia circolare in quanto materiali di scarto trovano nuova vita, ma cerco di portare l’attenzione del consumatore verso il nostro territorio, la nostra storia, tradizioni e tutto questo genera grande entusiasmo e rende i miei capi unici, dotati di uno storytelling incredibile e poetico. Non a caso Rossana Danile ideatrice di Italian Storytelling progetto che premia brand di valore, ha deciso di premiarmi e definirmi “Custode del Bello 2021”.
Qual è il tuo rapporto con l’azienda Aboca e com’è nata la vostra collaborazione? Tra gli imprenditori che mi più amo e stimo troviamo il Cavaliere Valentino Mercati, colui che circa 40 anni fa ha dato vita all’azienda Aboca – Innovazione della salute attraverso prodotti naturali. Casualmente da piccola andai in visita al Museo Civico di Sansepolcro e li ho scoperto il Museo delle erbe di Aboca sito in Via Niccolò Aggiunti e da quel momento è stato un amore che ancora non trova fine. Aboca Museum è una vera chicca italiana, all’interno dell’elegantissimo palazzo sono custoditi antichissimi erbarii ed oggi al pian terreno è possibile visitare anche il percorso Aboca Experience, un affascinante percorso interattivo. Quando ho aperto il mio brand, ho inviato una e-mail alla direttrice del Museo che apprezzò molto i miei prodotti e mi invitò a pensare a qualcosa di facile e veloce da acquistare anche per i turisti che in genere desiderano portare a casa qualche souvenir riconducibile al valore delle piante per l’essere umano. Sono così nate le mie sciarpe botaniche in lana, ognuna dedicata ad una pianta tintoria e i foulard realizzati con pigmenti naturali. Questi accessori sono stati molto apprezzati sia dai turisti, sia dagli stessi dipendenti Aboca, sia dal pubblico in generale, sono di fatto molto belli, confortevoli, morbidi, custoditi in un packaging pregiato con una sorta di plants card con nomenclatura di tutte le piante utilizzate. Anche quest’anno quindi, realizzerò per il bookshop alcuni foulard che andranno in vendita a Natale e per me questo è motivo di grande, grandissimo orgoglio!
Nella tua carriera c’è un abito o una collezione a cui ti senti più legata? Un abito a cui sono molto legata fa parte delle serie di creazioni dedicate all’upcycling, l’arte di ricreare oggetti e prodotti attraverso un riciclo creativo. Oltre ad essere una stilista sono una creativa e un’artista a tutto tondo. Amo creare e l’abito in questione mi ricorda la sinergia che avevo con quello che definisco il mio Maestro di vita e lavoro: mia madre. Uno dei più bei lavori sviluppati insieme è stato un abito realizzato con almeno 300 bretelle di reggiseno reperite in giro per i mercatini romani, ponte di congiunzione tra il mondo punk teso alla destrutturazione del bello e il mondo alla sua antitesi, quello della lingerie femminile. Quasi alla fine dell’Accademia mi era stato assegnato questo compito, unire i due mondi contrapposti creando un capo originale e quello che ne è venuto fuori e che mia madre cucì per me, è stato l’inizio del mio percorso ideativo, della consapevolezza delle mie capacità di stilista e designer. Le trecento e più bretelle di raso rosa, mia madre le cucì una per una su una guepiere degli anni ’50, un lavoro certosino e difficilissimo che solo mia mamma poté portare a termine. Penso che quest’abito che conservo gelosamente sia da museo e spero di poterlo un giorno portare su qualche passerella e farlo ammirare. In generale comunque amo anche altri capi, quelli delle attuali collezioni possiedono nuance uniche sul mercato, introvabili e sono abiti che fanno sognare, generano stupore ed entusiasmo in quanto tinti con le piante e assolutamente green.
Nelle tue collezioni, la donna come viene rappresentata? Le donne che disegno e che mi ispirano non sono mai aggressive, ma sensuali seppure angeliche. Amo l’immaginario delle donne Preraffaellite dai capelli lunghi e fluttuanti, romantiche, soavi, leggiadre, accattivanti, misteriose, intrise di un casto medioevalismo, travestite da divinità o da eroine storiche. Spesso tra l’altro raffigurate in ambienti regali o naturali quasi come se fossero le regine incontrastate della natura, delle leggi che la governano, dei fiori o delle acque, dei paesaggi e della luce. Nelle mie collezioni l’eleganza è la raffinatezza sono gli ingredienti di base, a cui si accostano la grazia e la poesia.
Per quanto riguarda l’arte, sappiamo la tua ammirazione per Piero Della Francesca, come lo hai legato alla moda? Amo l’arte e credo che essa ci aiuti a vivere meglio. Non concepisco come nelle scuole venga tanto bistrattata e spiegata male, quando poi le arti sono ciò che affinano lo spirito umano e lo rendono maggiormente sensibile. Conoscere e apprezzare la storia dell’Arte e gli artisti che hanno segnato le epoche ed immergersi nella loro visione è una gran fortuna. Essendo io stessa sensibile al colore, appassionata dei pigmenti naturali ho sempre visto la storia dei grandi artisti non solo dal punto di vista storiografico, ma li ho spesso immaginati in bottega a preparare le misture, gli affreschi o le tele che li hanno resi celebri. Piero della Francesca è uno degli artisti che maggiormente amo. Un uomo incredibile, amante della matematica che ha saputo permeare le sue opere di un’atmosfera sospesa nel tempo in modo unico, aulico e geniale. Come ho collegato quest’artista alla mia moda? La famiglia di Piero nel 1400 coltivava e vendeva il guado – Isatis Tinctoria colorante da cui si estraeva l’indaco utile per dipingere opere e colorare le vesti, da qui l’idea di sviluppare una collezione di Haute Couture dedicata al grande artista tingendo i tessuti col guado.
Ci puoi parlare del progetto “il Guado in passerella” e su quale nuovo progetto stai lavorando? Due anni fa, prima del lockdown ho contattato la Riserva dei laghi Lungo e Ripasottile di Rieti in quanto sapevo che in passato avevano coltivato il guado – Isatis tinctoria a scopi didattici, spiegato quindi il mio amore per Piero della Francesca e l’interesse a sviluppare una collezione di Haute Couture interamente tinta con la pianta in questione, in poco tempo gli operatori hanno deciso di attivarsi per la coltivazione e lavorazione della pianta. Quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo è magia. Dopo il periodo di fermo dipeso dal Covid, abbiamo potuto tingere circa 50 metri di tessuto e questi tessuti di diversi toni di azzurro sono diventati abiti meravigliosi che hanno destato l’interesse di magazine locali e non, emittenti televisive, scuole e il lavoro che svolgiamo en plein air continua ad attivare la curiosità di molti. Proprio per questo la Riserva ha deciso di portare in passerella (a settembre vi sarà la terza edizione), alcuni abiti da me creati e firmati per mostrare quanta bellezza in un momento così critico si è creata. Ad oggi sull’onda di quello che ho sviluppato in quelle zone intorno Rieti, altri enti mi hanno contattata. Sto quindi pensando alla possibilità di sviluppare un altro progetto in un Parco Nazionale in Toscana, mentre al momento mi sto dedicando ad un progetto con l’Università di Firenze e il dipartimento Dagri tra Italia e Argentina con le donne Warmi Pura, per lo sviluppo di foulard tinti con alcune piante autoctone al fine di generare lavoro per le donne del posto, ma le idee sono tante… Al momento è in corso un abito con un tessuto unico al mondo, lo sviluppo della collezione di Prèt a Porter, la collaborazione con il PEFC per il reperimento di foglie nei loro boschi certificati, il lavoro come Vicepresidentessa CNA Federmoda di Roma per valorizzare l’artigianato e i mestieri. La moda soprattutto oggi si deve far portavoce di valori grandi e deve avere cura delle persone, dei consumatori e del nostro patrimonio ambientale, esaltarlo, proteggerlo e custodirlo…con il mio lavoro cerco di fare questo!
Eleonora Francescucci