In occasione del rinnovo delle cariche elettive nella Società degli Autori ed Editori (Siae), previste per il prossimo 5 Settembre, il Presidente dell’Associazione Compositori Musica per Film (ACMF), Roberto Pischiutta in arte Pivio, ci racconta in un’intervista particolari, anche inediti, della sua carriera, senza tralasciare il suo impegno come Presidente dell’ACMF e la sua posizione di candidato nelle file della Lista Siae Next.
Pivio, da che cosa nasce questo soprannome? E’ una storia che nasce al liceo. Dato che ci presentavamo tutti quanti con il cognome, ad un certo punto abbiamo deciso che chiamarsi per cognome non era così interessante. Abbiamo iniziato ad assegnare a tutti quanti dei soprannomi, e a me è capitato questo. Sul momento non ero tanto contento, ma alla fine il destino ha preso il sopravvento e quindi “Pivio” è rimasto. Molte persone non mi conoscono affatto con il mio nome. Mi conoscono solo come Pivio.
Un passato da Ingegnere elettronico per poi diventare un musicista. Com’è avvenuto questo cambio professionale? In realtà mi sono occupato di musica già da piccolo, nel senso che mi piaceva cantare, ascoltavo tanta musica. Un po’ grazie a mio padre, che amava la musica lirica, che io ascoltavo con lui. A me piacevano anche altre cose, avevo sei o sette anni. Ascoltavo tutta la musica beat inglese e quella afroamericana. Durante i miei studi ingegneristici, avevo un gruppo musicale con cui suonavo. ho fatto anche dischi e un Festivalbar, pur non avendo mai studiato seriamente, nel senso che ho fatto studi privati e basta. Mi sono sempre occupato di musica, fintanto che fu anche la mia tesi finale. In qualche modo aveva dei riferimenti musicali, ed è stata una delle prime tesi di informatica musicale nel nostro Paese.
Ad un certo punto della sua carriera incontra Aldo De Scalzi com’è nato il vostro sodalizio musicale? In realtà ci incontriamo molto presto, perché ci siamo conosciuti nell’anno 1980. Genova era una città molto attiva dal punto di vista musicale, e c’erano molti gruppi e molte persone che facevano musica ad alto livello. Le occasioni di incontro erano frequenti ed abbiamo iniziato a fare cose insieme. Nel 1984, quando io ho fatto uscire il disco con gli “Scortilla”, che era il mio gruppo originale, lui ha fatto da produttore artistico. Si arriva poi al 1990 quando abbiamo iniziato a produrre il nostro primo disco in duo. Si chiamava “Maccaia”, e da li siamo andati avanti fino ad arrivare ad un momento stranissimo per noi, quando per tutta una serie di meccanismi di incontri fortuiti, ma in qualche modo pilotati dal fatto che stavamo lavorando insieme, arriviamo a fare il nostro primo film. Si trattava de “Il bagno turco – Hamam”, regia di Ferzan Ozpetek. In quel frangente io ero direttore tecnico di “El Pais” di Madrid, ma ho percepito che stava succedendo qualcosa di particolare nella mia vita. Ed ecco che ho deciso di fare il grande salto. Praticamente l’ho fatto nel vuoto, perché non avevamo ancora avuto dei riscontri concreti del successo, che poi abbiamo avuto. Avendo però partecipato alla presentazione a Cannes di quel film, mi sono ritrovato in un contesto emozionalmente incisivo. Ho pertanto deciso che quando sarei tornato a Madrid avrei dato le dimissioni dal lavoro. Così ho fatto.
Fra le varie colonne sonore che ha scritto, ne ricorda qualcuna in particolare che ha avuto maggior impatto su di lei? Sicuramente la prima, perché ha cambiato la mia vita, ma ce ne sono tante. Cito tutta la filmografia fatta con i Manetti Bros: grazie a loro film ho potuto vincere con Aldo de Scalzi ben tre David di Donatello e altrettanti Nastro d’Argento, più ulteriori premi. Poi ricordo tutta la filmografia fatta con Alessandro Gassman e i relativi spettacoli teatrali, e anche li si è creato nel 1997, in occasione de “Il bagno turco”, un sodalizio molto forte con Alessandro. Da quel momento non ci siamo più lasciati, e abbiamo praticamente sempre lavorato insieme. Non posso neanche dimenticare tutto quello che abbiamo fatto, io ed Aldo, con Enzo Monteleone. Tutti registi diversi fra di loro, ma che ci hanno permesso di sviluppare semantiche musicali differenti. Ciò che mi piace molto di questo lavoro è di poter spaziare senza troppi freni inibitori. E’ chiaro: di volta in volta cerchiamo di puntare su obiettivi differenti, però poi lo facciamo con il nostro libero spirito artistico.
Parlando sempre di colonne sonore, a livello compositivo musicale, è differente comporre per il cinema, per la televisione o per il teatro? Difficile rispondere, nel senso che tanti addetti ai lavori dicono che è molto diverso, come è molto diverso lavorare per la televisione. Da parte mia e di Aldo, in realtà, noi non troviamo tutta questa differenza: comunque ci sono alcuni passaggi fondamentali che permangono sostanzialmente gli stessi. Ad esempio, il confronto con il nostro referente è il regista, poi nel caso televisivo il parco delle persone che sono coinvolte si allarga sempre di più, perché inizia ad esserci il responsabile di rete e i produttori. Come anche nel cinema e nel teatro, a volte ci possono essere più produttori coinvolti, se si tratta di produzioni internazionali. La differenza la fa la grande quantità di persone che sono coinvolte nel poter decidere : questo va bene, oppure questo no, perché in effetti noi quello che possiamo fare è appunto di volta in volta proporre delle linee musicali, ma non siamo mai noi a fare la scelta definitiva. Di solito spetta al regista. In questo senso dico che non c’è una grande differenza di composizione. Ovviamente, se si lavora su una serie TV, magari già ampiamente lanciata alla quarta o quinta stagione, iniziano ad entrare in gioco meccanismi diversi e di costruzione del commento musicale, perché ci si basa anche su tutta una storia pregressa. Esempio, in “Distretto di Polizia” : ho fatto undici serie di questa fiction, e dalla quinta serie in poi abbiamo iniziato a lavorare solo per macro temi, lasciando il compito ad altri di inserire questi macro temi all’interno della struttura narrativa. Inizialmente, però, nelle prime quattro serie, eravamo noi a definire frame by frame, che cosa utilizzare su scena. Sicuramente il nostro atteggiamento artistico rispetto al lavoro che abbiamo davanti rimane però sempre lo stesso.
Per creare una colonna sonora, sicuramente serve un determinato tempo di lavorazione: lo gestisce autonomamente oppure si è obbligati ad urgenze dettate dalla produzione? Ovviamente non siamo nella condizione di poter dire se a finire un lavoro ci metteremo un solo giorno oppure un anno. Quando si inizia a lavorare ad un film o ad una serie TV abbiamo ovviamente dei vincoli temporali in cui non abbiamo potere decisionale. Noi possiamo però cercare di pilotare questi tempi in modo che siano ragionevoli per la realizzazione del tutto. D’altronde, anche da lavoro a lavoro la tempistica può’ cambiare sensibilmente. Pensa che “Il bagno turco” lo abbiamo affrontato in maniera totalmente ingenua, convinti di potercela fare. E ce l’abbiamo fatta in dodici giorni! Per fare però “Ammore e Malavita” dei Manetti Bros – per motivi vari – ci abbiamo messo due anni. Possiamo dire che, mediamente, almeno due o tre mesi sono necessari per poter sviluppare una colonna sonora, però dipende molto dal suono che viene utilizzato. Se è un suono elettrico richiede anche meno scrittura, ma se si tratta di lavorare insieme ad un’orchestra, chiaramente i tempi si allungano sensibilmente, perché intervengono necessità non solo artistiche, ma puramente tecniche di scrivere singole parti. I tempi per forza si dilatano. In questo senso ci deve essere poi un incontro con la produzione per capire se i tempi desiderati sono appunto raggiungibili.
Oltre alle numerose nomination, ha ottenuto tre David di Donatello, cinque Nastri d’Argento, due Globi d’Oro, due Ciak d’Oro e due Premi Ennio Morricone al Bari International Film Festival. Tutti questi riconoscimenti come hanno impattato nella sua carriera? Hanno impattato in quell’ora di felicità in cui uno riceve il premio. Sicuramente è una sensazione piacevole, poi sul fatto che questo serva per essere contattato per altri lavori..beh, non lo so. Vincere dei premi è comunque soddisfacente, soprattutto il David di Donatello, che è un premio dato dai tuoi colleghi, e quindi esiste una forma di riconoscimento da parte di chi fa il tuo stesso lavoro. In pratica, hai dimostrato di aver fatto un lavoro più che eccellente.
Come Presidente dell’Associazione Compositori Musiche per Film (ACMF), può dirci come nasce questa associazione e quali sono i suoi scopi? E’ una storia molto lunga dal punto di vista temporale, ci raccontava il nostro Presidente Onorario, il maestro Ennio Morricone. Anche lui nel tempo aveva cercato di costruire un gruppo di interesse con suoi colleghi compositori, ma probabilmente i tempi non erano ancora maturi. Noi facciamo un lavoro che ci porta molto spesso in qualche modo ad isolarci. Non lavoriamo quasi mai sul set, che resta il momento di maggiore aggregazione di un film. Arriviamo a stare insieme a cose fatte, nel momento della post produzione. Siamo partecipi del lavoro di gruppo in un momento produttivo diverso. In questo momento, la situazione della cinematografia è molto cambiata e probabilmente i tipi di difficoltà che si sono create nei tempi storici attuali hanno permesso in qualche modo di trovare un terreno comune, permettendoci di creare una associazione, la ACMF appunto, che adesso vanta più di centocinquanta iscritti in Italia. La maggior parte appartiene alla musica applicata; alcuni soci hanno deciso di far parte della nostra associazione e sono soci di caratura internazionale. Qualche esempio: Hans Zimmer, Michael Nyman, Roger Waters. Altri nomi di grande livello stanno per entrare nel gruppo, perché la nostra associazione è decisamente un unicum a livello internazionale. Anche i nostri colleghi non italiani in qualche modo si sentono partecipi di questa strana esperienza, che sono quasi cinque anni che va avanti.
In conclusione, il 5 settembre ci saranno le votazioni della Siae e lei è candidato per la Siae Next nella lista Autori Musica, insieme a Fabrizio Fornaci, Alessandro Molinari e Stefano Reali. Quali sono gli obiettivi da raggiungere in caso di successo della lista? La nostra coalizione è la Siae Next, sì. Parlo di coalizione in quanto, nella nostra lista, sono entrate differenti esperienze artistiche. L’Associazione Compositori Musica per Film vi agisce in un ruolo importante, ma concorrono tutta una serie di altri esponenti che provengono dal mondo del pop o dal mondo della musica più colta. Adesso riteniamo sia il caso di creare una squadra molto coesa e molto forte. Quello che vorremmo realizzare è ovviamente cercare di far fare un passo in avanti alla Siae. Un avanzamento in qualche modo è già successo negli ultimi otto anni. Io ho partecipato all’ultimo giro elettorale e sono entrato a far parte del Consiglio di Sorveglianza, e dall’interno ho potuto verificare anche l’attenzione che è stata rivolta (in questi ultimi quattro anni – in particolare negli ultimi due) dalla Siae a tutto il mondo artistico. Sono stati pensati vari ristori per sostenere la nostra categoria, in grande difficoltà a causa della pandemia. Ecco, si può fare ancora molto nel mondo digitale, e si può fare ancora molto nei rapporti, con gli utenti, per fare chiarezza e spiegare i vari meccanismi che esistono e come funzionino. Oggi non esiste più il monopolio, e c’è la possibilità da parte di tutti gli autori di iscriversi anche ad altre società di musica, non solo alla Siae. La Siae, pero’, rimane una casa comune, e la più importante che abbiamo in Italia. Esistono poi tutta una serie di settori relativi all’aspetto musicale che ci coinvolgono, e sono aspetti un po’ più tecnici. Diciamo che tendenzialmente la cosa che vogliamo fare come coalizione è continuare sull’onda lunga che è stata solcata in questi ultimi otto anni, e portare ad un livello ancora più performante quello che in qualche modo già si sta facendo. In effetti Next come coalizione c’è già da tutto questo tempo, ed oggi è già la terza volta che si presenta. Per motivi statutari quest’anno abbiamo una trasformazione in corso, perché di fatto – da statuto – un membro del consiglio non può rimanere in carica più di due mandati. Ciò crea le condizioni per una grande rivoluzione. Di fatto nella nostra lista ci sono solo tre persone a continuare questa onda; altre persone sono tutte nuove, ed avranno bisogno di accumulare esperienze il prima possibile, perché comunque abbiamo tante sfide ancora da portare avanti. Non ultimo, va detto, il fatto di riuscire – grazie anche ad una pressione mediatica e anche sui singoli esponenti politici – ad arrivare alla definizione dei decreti attuativi che farebbero finalmente diventare qualcosa di concreto la direttiva europea sul Copyright, che è stata finalmente ratificata, ma che ancora è mancante delle regole del gioco vero e proprio. E le regole del gioco devono essere scritte in maniera comune fra i politici, che sono coloro coinvolti nella stesura delle leggi, e che devono ricevere le necessarie informazioni dalla base (in questo caso noi addetti ai lavori).
Eleonora Francescucci