Cinque anni per una testata. Veramente gliene avevano appioppati sei. Una pena esemplare per un’aggressione nei confronti di un interlocutore inerme che faceva semplicemente delle domande. Daniele Piervincenzi al tempo collaborava con la trasmissione televisiva Nemo ed era favore di telecamera mentre faceva il suo mestiere.
A Roberto Spada però gli è stata comminata la pena che comprende le aggravanti generali: “il metodo intimidatorio e mafioso”. Il contesto, la fama, il fatto di non aver trovato, il malcapitato cronista, nessuno a dargli una mano sono situazioni che hanno concorso a convincere definitivamente il giudice.
Tutte indicazioni che, secondo la sentenza, suggerivano un metodo mafioso. Della serie: colpisco lui per avvertire tutti. Un’affermazione pubblica di forza, resa ancor più arrogante perché effettuata a favore di telecamere.
Ma per il battitore di testa si aprono le porte delle patrie galere in direzione della sua Ostia dove il ragazzo è conosciuto per la gestione di una palestra e per tante altre “amicizie chiacchierate”. Ha scontato la pena a Tolmezzo, il carcere che gli ha visto espiare la pena. Venerdì per lui fuochi d’artificio nella sua terra di mare.
Spada gode dell’assoluzione su cui ha sentenziato la Corte d’Assise di Appello di Roma. Ma in verità era anche accusato per il duplice omicidio di due esponenti di un clan rivale. Per lui doveva valere, quindi, solo il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, con pena di dieci anni.
Ora è uscito dal procedimento di custodia per “il colpo di testa”. Su di lui però – si dice nell’ambiente legale – la Questura potrebbe inoltrare la misura di sorveglianza perché l’accusa di associazione per delinquere deve essere valutata dalla Suprema Corte.