La storia di A.C., bambina disabile con un serio ritardo nella crescita psico-fisica, è emblematica di come un sistema di interesse pubblico che dà molta attenzione, anzichè al benessere dei soggetti che dovrebbe tutelare, al proprio conto economico, finisce con il non vedere al di là del proprio portafoglio, omettendo di praticare le cure fondamentali ai diretti interessati.
Questi ultimi, in tal modo, diventano due volte vittime. La prima per aver subito un cambiamento traumatico della propria vita quotidiana e familiare, la seconda per aver corso il rischio di veder compromessa persino la propria incolumità fisica.
Ma procediamo con ordine. Nell’Aprile del 2017, i genitori naturali di A.C. venivano colpiti da una procedura avanti al Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna su segnalazione dei Servizi Sociali di Bologna, che insieme alla pediatra e alla neuropsichiatra di un ospedale pubblico si costituivano in E.T.I. (acronimo che sta per Equipe Territoriale Integrata) e richiedevano la limitazione della responsabilità genitoriale dei genitori, informando il Tribunale per i Minorenni di Bologna che la minore aveva un ritardo nella crescita psicofisica addebitabile ad incuria nella custodia e a maltrattamento. Il degrado famigliare e l’assenza di cure, ad avviso dell’equipe territoriale, aveva determinato una lesione dell’integrità psicofisica della piccola A. C., con conseguente danno fisico.
Nel trasmettere questa granitica convinzione, tuttavia, gli autori della relazione avevano “dimenticato” di procedere agli esami diagnostici ordinari (Risonanza Magnetica, tra gli altri) e alle cure conseguenti, ed il fatto che tale incredibile omissione avveniva in una Regione di eccellenza sanitaria come l’Emilia Romagna fa comprendere le ragioni della premessa di questo racconto. Sta di fatto che la madre e la minore, dal giugno 2017, sono state inserite nella comunità “La Venenta” per il recupero del rapporto genitoriale e la facilitazioni delle competenze di accudimento. Durante l’inserimento la bambina accusava frequenti episodi febbrili, crisi epilettiche ed ha rischiato, a causa delle convulsioni (probabilmente dovute alla febbre alta), di morire soffocata.
Nel caso della piccola A.C., pertanto, è mancata del tutto l’assistenza sanitaria e l’applicazione di qualsiasi protocollo medico da parte della comunità e di quanti l’avevano lì inviata, dal momento che la volontà di colpevolizzare i genitori risultava essere più forte di qualunque opportunità di verifica medico legale. Infatti, la famiglia naturale non ha mai ricevuto alcun ausilio economico o sociale dal Servizio di Bologna, ma è sempre stata sotto stato di accusa. Inoltre, dagli atti emergono relazioni dei servizi sociali contenenti giudizi clinici – psichici esondanti i limiti professionali dei firmatari, falsamente accusatorie e totalmente carenti sotto il profilo progettuale.
Tutto l’intervento, in sintesi, è stato caratterizzato dalla costante violazione della normativa, la legge 184/1983, che disciplina questo tipo di interventi. Per esempio, la famiglia di origine veniva costantemente umiliata per via della asserita “colpa”, e veniva impedito ai genitori di partecipare alle visite mediche della bambina, così da creare un divario incolmabile tra conoscenza delle problematiche mediche e cure affettive; ossia, l’esatto contrario di quanto prevedevano le finalità dell’intervento: il recupero del rapporto genitoriale e la facilitazioni delle competenze di accudimento.
Ancora, gli operatori non si curavano di pianificare un progetto di rientro (che avrebbe decretato la fine degli introiti per la comunità ospitante), ed anzi le relazioni inviate al tribunale, in più occasioni, sono apparse chiaramente inveritiere.
Questo stato di cose portava, non senza sforzi da parte dei legali dei genitori, alla scoperta di elementi di grave responsabilità da parte degli operatori. Infatti, nel febbraio – marzo 2020, a seguito di accesso agli atti presso gli uffici dei servizi sociali, si scopriva che erano presenti copie difformi di certificati medici riferibili ad una unica visita della minore avvenuta il giorno 8 settembre 2017. Pertanto, pur sapendo che la bambina era grandemente disabile, i servizi sociali l’hanno volutamente – o “distrattamente” – lasciata in comunità, struttura inidonea ad accogliere minori disabili. Alla luce di tale grave circostanza, si è segnalato l’accaduto alla Autorità Garante dei diritti dei minori dell’Emilia Romagna, la quale però non ha inteso intervenire replicando che non poteva intromettersi in questioni giudiziarie (non riscontrando neanche la seconda accorata sollecitazione).
E così, nel maggio del 2020 il genitori hanno deciso di depositare denuncia per tutti i fatti subiti a causa delle dolose falsità alla base dell’intervento, rappresentando i maltrattamenti avvenuti presso la comunità nonché per l’omessa assistenza sanitaria fatta patire alla loro figlia. Le indagini, peraltro, hanno comportato l’ipotizzato coinvolgimento del magistrato per omissione di atti di ufficio (fascicolo trasmesso per competenza ex art. 11 c.p.p. avanti alla Procura di Ancona – allo stato è pendente opposizione alla richiesta di archiviazione presentata anche avanti alla Procura di Bologna).
I genitori stanno lottando per la verità e la giustizia su questo caso che non è infrequente in Italia, e che fa orrore e getta profondo discredito su tutti gli operatori intervenuti, magistratura compresa. Infatti, la vicenda della piccola A.C. rappresenta una vere e propria rassegna nazionale di omissioni:
– omesso intervento o controllo dell’operato dei servizi da parte degli enti territoriali, Autorità Giudiziaria e dall’Ufficio della Garante;
– omessa assistenza sanitaria durante l’inserimento comunitario nei confronti di minore disabile, come meglio specificato nella relazione medico legale della Dott. Elia Del Borrello;
– omessa assistenza ad un nucleo famigliare monoreddito con minore disabile, ingiustamente accusato di essere la causa del ritardo nella crescita della minore, con conseguente aggravio di spesa pubblica in violazione della normativa applicabile;
– omessa rivalutazione del caso da parte della magistratura minorile;
– omesso procedimento di valutazione e controllo degli operatori coinvolti dinanzi agli organi di disciplina.
Ad oggi, pertanto, tutti gli operatori coinvolti sono ancora liberi di esercitare e avere in carico altre famiglie, e la comunità accoglie ancora altri minori senza aver subito alcun controllo. Sia il Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna che il Comune di Bologna hanno sostanzialmente negato la gravità dei fatti segnalati, con ciò non attivando alcun sistema di controllo amministrativo e proseguendo con prassi similari in altri casi. La tutela della disabile risulta allo stato totalmente pretermessa, con aggravio di incombenti e di sacrifici per la famiglia e la minore, a cui si aggiunge l’amarezza per la volontaria tacitazione di ogni intervento di controllo richiesto sia all’Autorità Giudiziaria Minorile che alla Procura Ordinaria.
Il prossimo 21 novembre 2022, ad Ancona, è prevista l’udienza avanti al Gip per decidere sulla archiviazione della posizione del magistrato, dalla quale non ci si attende certamente un doveroso “mea culpa”. Secondo il legale della famiglia, l’avv. Rita Ronchi, “i genitori naturali si sono determinati a rendere nota ovunque la loro storia, che è un caso limite perchè alle false accuse di inidoneità genitoriale, come accaduto a Bibbiano, si è aggiunta la totale assenza di cura da parte del servizio sociale intervenuto in danno di una minore disabile al 100%”. “Nonostante l’oggettiva iniquità del fatto – afferma il legale – stiamo assistendo a rapidissime e ingiustificabili richieste di archiviazione senza che vengano espletate le corrette indagini sul sistema affidi. A nostro avviso, il sistema sta tutelando sè stesso, dal momento che le motivazioni adotte nelle richieste di archiviazione non sono condivisibili da un punto di vista giuridico”. “Ci chiediamo – aggiunge l’avv. Ronchi – come sia possibile che la magistratura non ritenga di rivedere le procedure di inserimento comunitario, e come sia possibile che non vi sia un controllo severo sui trattamenti e accertamenti che vengono svolti. La magistratura delega costantemente agli assistenti sociali, in violazione di legge, il potere di svolgere indagini ed accertamenti, nonchè di decidere su limitazioni della libertà personale dei genitori, sullo sradicamento dei bambini dal proprio nucleo familiare e su ingenti capitoli di spesa degli enti locali; tutto ciò senza mai rendere noti e formalizzati i progetti di recupero”.
“La diminuzione dei rischi di abusi di posizione di questa gravità – conclude Rita Ronchi – passa dalla responsabilizzazione della magistratura, che dovrebbe vigilare attentamente sull’operato dei servizi sociali e porsi a garanzia del cittadino contro gli interventi distruttivi della famiglia naturale e dei rapporti affettivi”.
PAESEROMA.IT - Iscrizione n. 48/2010 del 09/11/2010, presso il Tribunale di Tivoli (RM)
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