Non succede solitamente di aver un soggetto politico fuori controllo. Immediatamente allora si anima la discussione sul fatto se il personaggio sia effettivamente fuori controllo oppure se il “fuori controllo” sia solo una maschera che consente di muoversi come battitore assolutamente libero. Un modo, questo ultimo, di agire senza impacci ma avere una sua lucida direzione.
Lo sostiene sul Foglio un corsivo di Fabrizio Cicchitto che sposa questa ultima teoria dicendo che il protagonista di questi trenta anni ha sempre fatto così. Tenere sulle spine gli interlocutori sgraditi, cambiare le carte in tavola per rivedere accordi precedentemente presi: “a volte fa cose irrazionali – spiega l’ex deputato di Forza Italia – dipendono da un’esorbitante personalizzazione dei conflitti. E ora gli interessa solo una cosa, credetemi e non è politica: lui vuole sfregiare Giorgia Meloni, l’abusiva”.
Lo stesso fa il deputato Osvaldo Napoli di Azione ma ex Forza Italia che in un suo intervento su Open dice a chiare lettere: “non è impazzito, segue una strategia precisa. Vuol tenere Meloni il più possibile sulla corda e destabilizzare la nascita dell’esecutivo”.
Hegel e Machiavelli ci hanno insegnato che l’attività di un politico si giudica dai risultati nell’effettualità, non dalle motivazioni che accompagnano gli atti. Ma anche così, inserire l’estemporaneità, l’eccessiva liberalità, come componente dell’eterogenesi dei fini appare una questione da assegnare più al teatro che alla Storia.
Ricorda Diario di un Pazzo di Gogol. Qui il protagonista, inseguendo sogni erotici dall’immaginario e il possibile, finisce per autoproclamarsi re. Tutto avviene sempre nella sua immaginazione produttiva. Allo stesso modo però fa ingresso in un manicomio che nella sua percezione appare come la corte di Spagna. I manicomi non esistono più. Il Nostro può sentirsi al sicuro. Meno al sicuro, però, nel farsi considerare un leader, un interlocutore affidabile. Giorgia Meloni, se effettivamente incaricata, potrebbe decidere di chiedere i voti al gruppo parlamentare chiedendo un nuovo interfaccia. Non più “Lui”.
Così come nel Riccardo III di Shakespeare il re detronizzato dalla sconfitta nella sua ultima battaglia guardandosi allo specchio non se la prenderà con la sua nequizia, ma con un banale incidente come la caduta di cavallo. Il parallelismo della caduta può assumere circostanze diverse: il tradimento di un sottoposto, una congiura … Il sipario dell’attore che si dà al suo pubblico nella rappresentazione della sua tragedia tutta umana diventa l’argomento privilegiato riuscendo così a dirottare decisive questioni di Stato.
Qualcuno tra qualche decennio penserà a mettere in scena tutto questo. Le generazioni che verranno si interrogheranno su questo personaggio. Conoscerà sempre i soliti detrattori ma anche nuove letture storicistiche pronte a rivalutarne la statura nel suo contesto storico. Come un genio incompreso in un mondo di ignavi. Noi non ci saremo. Ma se ci fossimo riuscirebbero a incunearci il dubbio: e se avessero ragione?