A sessant’anni dalla scomparsa si rievoca l’immagine del personaggio emblema di un’utopia nazionale: affrancare il nostro paese, uscito sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale, in un percorso di autonomia energetica in viso agli americani e alle grandi multinazionali proprietarie del mercato del petrolio.
Il primo richiamo lo ha fatto Giorgia Meloni nel discorso di ingresso del suo governo in Parlamento. D’altro canto non può essere che lui il modello dell’idea infranta dell’autonomia impossibile da raggiungere, per un paese nella stretta sfera degli Stati Uniti.
Nelle trasmissioni televisive a lui dedicate, non poteva mancare Andrea Purgatori su LaSette in una lunga intervista evidentemente frettolosamente organizzata, senza differenziare gli ospiti, senza riferimenti bibliografici, con un solo autore di un testo recentemente pubblicato. Chiaramente si soffia sulla tesi, per altro molto accreditata, dell’omicidio. C’è l’esplicito riferimento ai francesi che avevano inviso Mattei per aver favorito la rivolta in Algeria contro il colonialismo. La ragione è che il meccanismo di apertura del carrello era a conoscenza solo dei francesi e quindi solo loro potevano ingegnare un modo per innescare il dispositivo per l’esplosione.
“Triste il mondo che ha bisogno di eroi” – fa dire Brecht a Galileo Galilei, ed è triste il nostro mondo che ha bisogno di accordarsi a utopie che, essendo infrante sul nascere, rafforzano il senso della crisi. Ma la crisi di oggi. Quella dovuta alla necessità di fonti energetiche esaltate dalla logica delle sanzioni alla Russia.
E lo stancante riferimento arriva puntualmente a Pier Paolo Pasolini e al suo Petrolio pubblicato postumo e privo di una revisione letteraria e di contenuti. Nelle note del poeta friulano si sentono echeggiare le polemiche vivide di quegli anni, le congetture e i retroscena indicibili messi insieme con tono oracolare. Veramente troppo poco per fornire una pur minima testimonianza con valore probante.
Più composta e versata solamente a tratteggiare la figura storica, invece, la trasmissione di Rai Tre diretta da Paolo Mieli in cui ci si è limitati a ricostruire i rapporti di forza interni, con la Democrazia Cristiana, ed internazionali, con gli americani e con le cosiddette “Sette Sorelle”.
Sarebbe stato sufficiente dare il film Il Caso Mattei di Francesco Rosi con Gian Maria Volonté. Dice tutto quello che si poteva dire. Il tema era tale e quale nel 1972, quando uscì. Oggi come allora lo stiamo giustamente ricordando. E allora non si capisce bene il perché il film sia stato poco richiamato. Eppure soddisfa anche le supposizioni di coloro che adducono a una cospirazione la causa della morte del presidente e inventore dell’Eni.
L’intuizione elementare di Mattei consistette nel provare a stabilire coi paesi arabi, produttori di greggio, un rapporto commerciale tale da porre il mercato italiano nei termini di diretto acquirente. In questo modo saltare la mediazione delle grandi imprese petrolifere. Era prevedibile che l’operazione sarebbe stata assai sgradita agli americani che vedevano l’Italia alle loro dipendenze. Tanto più ai francesi che perdevano l’Algeria con l’aiuto di un italiano che concorreva a finanziare la resistenza anti-colonialista.
Ma gli elementi sono utili, oggi, per comprendere, in un’analisi storica, i rapporti di forza nel partito di governo-Stato (la Democrazia Cristiana). Comprendere perché in quel contesto c’era chi incoraggiava l’avventura solitaria e autonomista italiana (Amintore Fanfani) e chi predicava invece a più miti consigli volendo rimanere nel cappello degli Stati Uniti (Aldo Moro).
Ricostruire Il Caso Mattei per discostarlo dall’agiografia e inserirlo in un lavoro continuo di ricostruzione storica, ma anche di coscienza collettiva, significa fare questo. Non altro.