Una decisione da prendere – Sarebbe ora il momento favorevole di uscire dalla vessazione debitoria nei confronti della UE nel caso probabile che, alla stregua di quanto avvenne nel passato, la BCE intenda nel futuro non rinnovare alla scadenza le crescenti obbligazioni da capogiro assunte dall’Italia come debito sovrano; obbligazioni e altri titoli che hanno ormai raggiunto complessivamente la cifra di oltre 2.700 miliardi. Evidentemente che se tutto procede senza strappi, si possa anche ulteriormente aumentare il debito pubblico. Ci sono infatti tutte le giustificazioni determinate dalla contingenza di una situazione a cui l’Italia deve far fronte anche per mantenere la pace sociale. Vi è invece, vista l’altra faccia della medaglia, la necessità sempre più pressante di non arrivare alla soglia del baratro debitorio, sperando e sperando che le cose migliorino (come?). Nell’interesse generale del Paese lo Stato dovrebbe comprare il debito pubblico italiano internazionale, avendo la possibilità di farlo.
Questo soprattutto per scongiurare il pericolo sempre più incombente di pesanti speculazioni sull’esposizione finanziaria italiana all’estero. Verrà subito in mente quando si parla, che a parole la soluzione del problema si trova sempre. Resta poi nella realtà dei fatti il modo corretto possibile e conveniente di applicare le buone intenzioni. Questo è vero ma è altrettanto vero anche se molti pensano al contrario che l’Italia non ha soverchi problemi di sostenibilità del debito pubblico. Pertanto se gli italiani di oggi e di domani vorranno essere liberi e indipendenti dalle strettoie finanziari dei nostri creditori, così come chiaramente intendono adesso essere indipendenti dalle risorse energetiche, questo è il momento di iniziare a creare le premesse della trasformazione. L’Italia si trova finora nelle favorevoli condizioni di poter far forza sulle proprie risorse patrimoniali per acquistare progressivamente il proprio debito internazionale, riducendo la ricorrente ritorsione finanziaria del famigerato spread che ogni volta per una ragione o per un’altra la speculazione internazionale cogliendo il momento opportuno interviene appesantendo il debito del nostro Paese.
Il disastro del 1992 – Si ricorda a proposito di rischi quando questi si trasformano in certezze che la speculazione internazionale come ad esempio quella rappresentata dall’attacco speculativo di Saros pesantemente subito dall’Italia nel 1992, costrinse l’allora presidente del Consiglio, Amato, ad un prelievo forzato del sei×mille sui conti correnti degli italiani. Ma questa azione di prelievo forzato non bastò. Soros è infatti avendo ricevuto informazioni che la Bundesbank non avrebbe sostenuto oltre la lira che aveva acquistato, vende lire allo scoperto acquistando con queste 10 miliardi di dollari. Poiché in questi casi la lira era considerata rispetto al dollaro moneta debole, la banca tedesca e le altre banche soprattutto europee furono costrette a convertire la valuta estera italiana in valuta nazionale per mantenere il cambio valutario al valore iniziale. La lira perse immediatamente il 7% ma nei giorni successivi la perdita arrivò al 30%. A seguito di questo l’Italia fu costretta uscire dalla SME. Non è difficile immaginarsi il caos economico creato da quello finanziario che sconvolse l’Italia in quegli anni. Dopo di che per rientrare il Presidente del Consiglio pro tempore, Amato dovette ricorrere alla svalutazione della lira in pari percentuale. L’operazione costò allo stato e alle tasche degli italiani quasi 95.000 miliardi di lire. A seguito di questa enorme speculazione che Soros mise in atto a danno dell’Italia lo Stato introdusse da allora l’imposta patrimoniale sulla casa, ora chiamata IMU. Giova ricordare per le dovute considerazioni di carattere che nel 2013 fu attribuito dal nostro Paese il premio letterario Terzani per la pubblicazione dello stesso Soros sulla instabilità finanziaria europea.
Non è certo Soros il primo caso né sarà questi l’ultimo speculatore della posizione debitoria italiana. Si ricorda a tal proposito ancora per la crisi finanziaria di cui fu protagonista l’Italia del 2011, quando lo spread salì a 575 punti con colpo di grazia al governo in carica attraverso la collocazione allo scoperto soprattutto da parte della Germania di titoli italiani per 7 miliardi di euro. Allora Lagarde era la Direttrice del fondo monetario internazionale mentre ora è addirittura Presidente della BCE in luogo di Draghi.
Comprare il debito – Facile a dirsi compriamo il debito pubblico. L’Italia dove prende i soldi per liberarsi dalla dipendenza finanziaria straniera? Giova comunque ripetere che non si tratta di una questione di principio sovranistico di carattere diciamo alla francese. Si tratta di una condizione importante necessaria così come in altro campo la stessa Francia si è liberata con l’energia nucleare dalla stretta dipendenza delle sostanze fossili. L’Italia ha un patrimonio a cui far ricorso in caso di convenienza per gli interessi che fino adesso vengono devoluti all’estero che ammonta alla astronomica cifra 10 miliardi di miliardi di euro: in sintesi 10 trilioni di euro. Ora si deve tener conto che anche lo Stato mette all’asta i suoi debiti a fronte di interessi da corrispondere alle banche acquirenti soprattutto europee. Ma il criterio adottato per le aste valutarie (e si ha ragione di credere tuttora valido) è quello di aggiudicare all’ offerente la minore percentuale di interessi per ogni spot. Supponiamo che i lotti siano 4 per un certo ammontare di miliardi di euro. Il primo viene aggiudicato supponiamo al 2%; il secondo a 2,5%, il terzo; il terzo al 3,1% (la difficoltà di collocamento aumenta) e il quarto lotto restante al 4,2%. A questo punto l’interessi impegnati così prima definiti non rimangono tali. L’ Italia li adegua tutti e quattro al tasso di interesse più alto aggiudicato, ossia al 4,2%. Ma è possibile non pensare che se questo meccanismo fosse proposto per la collocazione sul mercato del debito pubblico nazionale non vi sarebbero i anche i compratori privati che attraverso le loro banche avrebbero la garanzia di investire con interessi appetibili le loro giacenze improduttive, se non in perdita? Fare invece affidamento sull’aiuto di Bruxelles, ovviamente con qualche reverente ringraziamento ufficiale per grazia ricevuta di una collocazione sul mercato con modalità di questo genere, dovrebbe presupporre che in caso di necessità, i conferimenti finanziari di Paesi europei anche meno ricchi del nostro possano e vogliano sostenere il nostro debito pubblico senza problemi.
Il prossimo Soros – Per quanto tempo una situazione di tal genere potrà andare avanti aspettando il Soros delle occasioni favorevoli, nelle quali ha ripetutamente ha dato prova irreversibile della sua pericolosità. Ma quando periodicamente in particolare nei momenti di crisi in cui maggiore sarebbe la disponibilità finanziaria erariale immediata, ecco che allora lo spread si alza raggiungendo valori speculativi sui quali come nel passato, la l’abbandono di una Banca primaria e la speculazione non si sono fatte attendere.
Non è certo Soros il primo caso né sarà questi l’ultimo speculatore della posizione debitoria italiana. Si ricorda a tal proposito ancora per la crisi finanziaria di cui fu protagonista Italia del 2011 quando lo spread salì a 575 punti con colpo di grazia al governo in carica attraverso la collocazione allo scoperto soprattutto da parte della Germania di titoli italiani per 7 miliardi di euro. Allora Lagarde era la Direttrice del fondo monetario internazionale mentre ora è addirittura Presidente della BCE in luogo di Draghi.
Liberarsi dal debito – Quanto detto non significa rendere autonomo e sovranista un Paese in modo maggiore di quanto non sono Germania, Francia, America ed altri stati del mondo occidentale, ma solo liberarsi da un debito soprattutto estero che ci soffoca quando potrebbe facilmente corrispondere all’ interesse degli italiani sovvenzionare autonomamente almeno in parte capitali remunerativi altrimenti lasciati all’estero a fondo perduto. Il controvalore degli interessi complessivi che l’Italia paga in un anno ammontano poco meno di 70 miliardi di euro. Si tratta di una bella cifra di cui un terzo finisce all’estero senza alcuna possibilità valutaria di effetti positivi indotti sulla nostra economia mentre se rimanessero in Italia avrebbero un effetto moltiplicatore (Kaines) di cinque o sei volte il valore nominale. Questo equivarrebbe ad avere progressivamente su mercato interno l’immissione di ben oltre 100 miliardi di euro. Sarebbe quindi questo il momento opportuno di prendere in considerazione un’ipotesi di questo genere peraltro non inedita ma da perfezionare e attuare progressivamente. Quando un progetto è ben preparato supera già prima di iniziare, il 50% delle proprie intrinseche difficoltà.