Art 8 • Obblighi positivi • Bambini costretti, per tre anni, a incontrare il padre violento in un ambiente non protettivo e sospensione dell’autorità genitoriale della madre ostile a loro • Nessuna valutazione del rischio e bilanciamento degli interessi • Interesse superiore sconosciuto dei bambini • Pratica diffusa dei tribunali di caratterizzarli come Genitori “non collaborativi” donne che si oppongono agli incontri dei loro figli con il loro ex coniuge citando la violenza domestica.
Ed ancora una nuova condanna per lo Stato italiano per aver violato l’articolo 8 della Convenzione.
Il ricorso riguarda la violazione, da parte dello Stato e del suo obbligo di proteggere ed assistere la ricorrente e i suoi figli negli incontri con il padre, tossicodipendente, alcolizzato accusato di maltrattamenti e minacce nei confronti della ex moglie. Il ricorso riguarda anche la errata decisione da parte dei giudici nazionali di sospendere l’autorità genitoriale della mamma, considerata da questi un genitore “ostile agli incontri con il padre per il motivo che aveva invocato atti di violenza domestica e la mancanza di sicurezza degli incontri per rifiutarsi di partecipare”.
Queste violazioni vengono sistematicamente messe in atto nei tribunali italiani, mamme sotto minacce, bambini costretti ad incontrare il padre che rifiutano (se lo rifiutano il motivo è chiaro, il genitore ha comportamenti che provocano paure e terrore), spesso condannato per violenze e maltrattamenti, spesso diagnosticato violento, ma è pur “sempre il padre”! Mamme definite “simbiotiche”, padri violenti protetti a go go nel civile e penale, bambini che subiscono violenze perpetrate per anni ed anni, ragazzi a cui è stata negata l’intera adolescenza, figli privati della propria mamma, prelevati con violenza da scuola, ospedali, appartamenti, per le strade, uno choc che impregneranno la loro esistenza, la loro anima pura.
Ma tutto questo è lecito? Sono state rispettate le normative nazionali, sovranazionali, le sentenze ed ordinanze della Suprema Corte di Cassazione, le Convenzioni europee, soprattutto Istanbul, le disposizioni del Parlamento Europeo, del Grevio, della UE ed altri organismi?
La CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo) ha risposto ancora ed ancora NO. Ma l’Italia prenderà atto delle decisioni prese nuovamente dalla CEDU?
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha reso giustizia a questa mamma ed i suoi figli, ma in Italia storie drammatiche e devastanti come questa sono all’ordine del giorno.
Ricordiamo che le osservazioni della requisitoria della Sostituta Procuratrice Generale, dr.ssa Ceroni, per l’ accoglimento di un ricorso per la cancellazione di una sentenza della Corte d’Appello di Roma mostrano come a volte alcuni provvedimenti (come pure quelli che prevedono il collocamento nella case famiglia) incidono “sui diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale” e che “ possono comprime pesantemente le libertà fondamentali delle persone e delle persone minori di età, la libertà personale, di domicilio, di comunicazione, di circolazione e, dunque, devono godere del massimo delle garanzie” secondo precisi articoli della Costituzione “.
Nella ordinanza n. 9691 del 24 marzo scorso la Corte di Cassazione annulla la decisione della Corte d’appello di Roma con la quale veniva disposto il collocamento di un minore in una casa famiglia ritenendolo “fuori dallo Stato di diritto”.
Chi pagherà rispetto alle violazioni delle normative, a decisioni sbagliate in violazione di legge (più che accertate) che ha devastato intere vite? Lo Stato italiano, quindi tutti i cittadini, ed anche le stesse mamme e figli già vittime di violenza; condannati due volte, ma “almeno” la CEDU ha reso (in parte) giustizia. Una CEDU in ogni tribunale italiano? Sarebbe “auspicabile”!
Quanto dobbiamo attendere che il Governo Italiano prenda provvedimenti dirimenti affinchè un bambino non sia più prelevato con la violenza da 10, 20 persone (compresi agenti dell’anticrimine e vigili del fuoco), affinchè un bambino non venga sgozzato da padre (agli arresti domiciliari o diagnosticato violento o denunciato per maltrattamenti o altro) e messo nell’armadio, affinchè mamma e figli non vengano separati e torturati dalle Istituzioni, affinchè una donna non venga ammazzata dall’ex marito/ex convivente protetto da una parte delle Istituzioni, affinchè la donna non subisca violenza domestica, psicologica, economica, affinchè mamme e figlio non finiscono Il girone infernale della violenze istituzionale ormai più che accertata?
Qui di seguito alcuni estratti della sentenza CEDU del 10 novembre scorso.
(omessa la rappresentazione dei fatti della mamma e figli)
La CEDU cita due recenti sentenze della Corte di Cassazione, l’ordinanza n. 13217 del 17 maggio 2021 e Ordinanza 9691 del 24 marzo 2022
Nell’ordinanza n. 13217 del 17 maggio 2021 la Corte di Cassazione precisava che i giudici erano tenuti a verificare la veridicità delle accuse di condotte lesive per i minori e che non potevano limitarsi ad affidarsi alla perizia tecnica.
«Qualora, nell’ambito di un procedimento per l’affidamento di un figlio minorenne, un genitore imputi all’altro genitore, ai fini della modifica del sistema di affidamento, un comportamento volto ad allontanarlo moralmente e materialmente dal minore, un comportamento descritto come indicativo di sindrome da alienazione parentale (PAS) – nella fattispecie sotto la sua varietà di “sindrome della madre dolosa”, Il giudice di merito deve accertare la realtà di tale condotta mediante forme di prova ordinarie – comprese le perizie tecniche e le presunzioni – indipendentemente da qualsiasi considerazione astratta circa la prova scientifica dell’esistenza di tale patologia e tenendo presente che le competenze genitoriali comprendono anche la capacità di preservare il mantenimento dei rapporti genitoriali con l’altro genitore al fine di tutelare il diritto del minore a co-genitorialità e sviluppo equilibrato e sereno.
Nel caso di specie, la Corte di cassazione ha annullato la decisione del giudice che assegnava l’«affidamento esclusivo rafforzato» al padre in considerazione della gravità del comportamento della madre, in quanto il giudice non aveva valutato il suo rapporto positivo con la minore e non aveva effettuato una valutazione più ampia delle possibilità a sua disposizione di adottare misure per ripristinare le sue capacità genitoriali”.
L’ordinanza n. 9691 del 24 marzo 2022
In tale ordinanza, la Corte di Cassazione ha annullato una decisione – confermata dalla Corte d’Appello di Roma – con la quale il Tribunale per i minorenni di Roma aveva disposto il collocamento di un minore in una casa famiglia dopo aver privato della potestà genitoriale la madre che, da anni, conviveva con lui nel timore di un provvedimento di revoca della potestà genitoriale a causa della costante invocazione, Nel contesto della procedura, la sindrome di alienazione parentale e tutte le sue conseguenze. La High Court ha ricordato che le misure relative all’autorità genitoriale non possono essere basate su teorie prive di basi scientifiche, come la sindrome da alienazione parentale.
La legge sulla delega di Cartabia
Il 25 novembre 2021 la Camera dei deputati ha approvato definitivamente la legge n. 206 che delega al Governo la facoltà di adottare misure per rafforzare l’efficienza dei procedimenti civili e riformare il regime di risoluzione alternativa delle controversie, nonché una serie di misure urgenti per snellire le procedure riguardanti i diritti delle persone e delle famiglie nonché le procedure esecutive.
Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 23 della legge, il governo deve inoltre introdurre disposizioni specifiche che stabiliscano che, quando un minore rifiuta di incontrare uno o entrambi i genitori, il giudice, dopo aver sentito personalmente il minore e aver raccolto tutte le informazioni ritenute necessarie, deve determinare con urgenza i motivi del rifiuto e adottare misure nell’interesse superiore del minore tenendo conto: se del caso, qualsiasi episodio di violenza al fine di determinare le modalità di affidamento del minore e l’esercizio del diritto di visita al minore. In tutti i casi, il giudice deve garantire che gli incontri tra i genitori e il minore abbiano luogo, con l’assistenza dei servizi sociali se necessario, e senza compromettere la sicurezza del minore vittima di abusi genitoriali. Le disposizioni da adottare devono inoltre prevedere che qualora il giudice decida di ricorrere ad un perito, egli debba nominarlo con ordinanza motivata indicante le indagini da svolgere, il perito così nominato deve da parte sua rispettare i protocolli e le metodologie riconosciute dalla comunità scientifica e astenersi dall’effettuare valutazioni basate su caratteristiche o profili di personalità da essa non approvati”.
La CEDU cita anche il Grevio (organismo di esperti indipendenti responsabile del monitoraggio dell’attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica – Convenzione di Istanbul – da parte delle Parti.)
- Il GREVIO osserva, tuttavia, che tali disposizioni sembrano di fatto raramente utilizzate per proteggere i minori che hanno assistito a violenze contro le loro madri, anche nei casi in cui tali violenze hanno portato a una condanna e/o ad altre misure, compresi gli ordini di protezione, nei confronti dell’autore del reato. Il GREVIO è particolarmente preoccupato per le informazioni fornite dalle ONG secondo cui il sistema in atto, piuttosto che offrire protezione alle vittime e ai loro figli, “si ritorce contro” contro le madri che cercano di proteggere i loro figli denunciando la violenza e li espone alla vittimizzazione secondaria.
- Queste informazioni sono corroborate da relazioni istituzionali e da ricerche approfondite che illustrano gli effetti dannosi sulle vittime e sui loro figli della mancanza di canali di comunicazione efficaci tra tribunali civili e penali e/o della mancanza di comprensione del fenomeno della violenza contro le donne e delle sue conseguenze sui bambini: I giudici civili tendono a basarsi sui risultati delle relazioni forensi e/o dei servizi sociali, che spesso equiparano i casi di violenza a situazioni di conflitto e considerazioni completamente separate relative al rapporto tra la vittima e l’autore del reato da quelle relative al rapporto tra il genitore violento e il bambino. Inoltre, le accuse di violenza da parte dei loro partner sono spesso respinte su basi dubbie come la “sindrome di alienazione parentale” e le madri sono incolpate per la riluttanza dei loro figli a incontrare il loro padre violento. I test della personalità che non sono adatti alle situazioni di violenza significano che molte vittime sono state trovate inadatte come genitori. Il GREVIO sottolinea l’elevato rischio e il potenziale del concetto di alienazione parentale e dei concetti correlati da utilizzare in modo tale che la violenza contro le donne e i loro figli non venga rilevata e/o incontrastata quando non sono consapevoli della natura basata sul genere della violenza domestica e degli aspetti essenziali del benessere dei bambini.
- Di conseguenza, non solo alcuni tribunali civili e UTC non rilevano i casi di violenza, ma tendono a ignorarli. L’avvio di procedimenti penali paralleli può portare a situazioni in cui le vittime sono spinte ad abbandonare il procedimento penale contro l’autore del reato, supponendo che il proseguimento di tali accuse impedisca di pacificare la famiglia e di raggiungere un accordo sulle questioni relative all’affidamento e all’accesso, in nome di principi come la “disposizione amichevole dei genitori”. Il GREVIO ha raccolto ampie prove, tra cui numerose testimonianze individuali, che suggeriscono che i tribunali civili spesso richiedono alle vittime di incontrare il loro partner violento, indipendentemente dalla denuncia della vittima e senza un adeguato esame o valutazione del rischio, fino a quando non viene raggiunto un accordo “amichevole”.
- Il GREVIO sottolinea che la violenza domestica è un fattore essenziale per determinare l’affidamento dei minori. Il GREVIO osserva che un sistema basato sulla conclusione di accordi tra genitori nell’interesse superiore dei loro figli potrebbe non porre alcun problema per la maggior parte dei genitori separati. Tuttavia, non è appropriato per le coppie le cui relazioni sono state segnate dalla violenza. GREVIO ricorda che la violenza tra i partner è indicativa di uno squilibrio di potere nella relazione che può compromettere la capacità di negoziare in modo equo e raggiungere un accordo reciprocamente accettabile. Una donna che è stata vittima di violenza domestica di solito ha bisogno di un sostegno speciale per negoziare accordi con l’altro genitore che è stato abusato. Gli incontri congiunti tra il genitore violento e il genitore non violento per raggiungere un accordo sulle decisioni di affidamento possono essere considerati mediazione obbligatoria poiché la vittima non ha altra scelta che partecipare per raggiungere un accordo, contrariamente ai requisiti dell’articolo 48 della Convenzione.
- Inoltre, il GREVIO rileva con estrema preoccupazione la pratica diffusa da parte dei tribunali civili di considerare una donna che solleva la questione della violenza domestica come un motivo per non partecipare alle riunioni e non accettare l’affidamento o l’accesso, come un genitore “non collaborativo” e quindi una “madre inadatta” che merita una punizione. Le conseguenze negative per le vittime variano: vanno dal richiedere alle vittime di sottoporsi a trattamenti terapeutici o sessioni di formazione per migliorare le loro capacità genitoriali, alla limitazione e/o alla privazione dei loro diritti genitoriali. I tribunali possono anche sottoporre i bambini a un trattamento psicologico per riprendersi dall'”alienazione parentale”, invece di indirizzarli a un sostegno appropriato. Il GREVIO sottolinea la necessità che i tribunali civili indaghino su tutti i casi segnalati di violenza e abuso, sia collaborando con i tribunali penali quando sono in corso procedimenti penali contro il padre dei figli della vittima, sia cercando attivamente informazioni da altri organismi, tra cui, ma non solo, forze dell’ordine, comuni, sanità e istruzione e servizi di supporto specializzati per le donne.
- Alla luce di ricerche approfondite che dimostrano che disposizioni inadeguate in materia di custodia e di accesso dei minori possono esporre le donne ad abusi dopo la separazione e alla vittimizzazione secondaria, il GREVIO sottolinea che la sicurezza del genitore e dei minori non violenti deve essere un fattore centrale nel decidere l’interesse superiore del minore in custodia e in visita. Per quanto riguarda quest’ultimo, l’articolo 31, paragrafo 2, della Convenzione stabilisce che l’esercizio del diritto di visita o di custodia non deve compromettere i diritti e la sicurezza della vittima o dei minori. Tale obbligo deriva dal fatto che, per molte vittime e i loro figli, il rispetto delle decisioni in materia di relazioni personali può rappresentare un grave rischio per la sicurezza, in quanto spesso comporta l’incontro con l’autore del reato di persona e può contribuire a gravi casi di violenza, compreso l’omicidio della donna e/o dei bambini. Un’adeguata valutazione dei rischi deve pertanto essere parte integrante di tali processi, anche quando si basano sul consenso dei genitori, al fine di garantire che le disposizioni concordate siano nell’interesse superiore del minore e, in particolare, che sia tutelata la sicurezza del genitore e del minore. Sebbene il GREVIO sostenga pienamente il diritto del bambino a mantenere legami con entrambi i genitori, come sancito dall’articolo 9, paragrafo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, l’esposizione alla violenza domestica come vittima o testimone – richiede che siano previste eccezioni nell’interesse superiore del bambino.
- Il GREVIO osserva che la formulazione generica delle disposizioni giuridiche applicabili non fornisce alcuna indicazione per evitare le pratiche giudiziarie problematiche sopra descritte. Il Comitato osserva inoltre che, sebbene vi siano alcuni esempi di buona prassi giudiziaria, la giurisprudenza dei tribunali superiori non vieta sistematicamente l’uso di argomenti difensivi basati o simili all'”alienazione parentale”, né afferma chiaramente il dovere dei giudici di condurre valutazioni della violenza domestica e dei rischi al fine di determinare l’interesse superiore del minore. Sono state elaborate linee guida nazionali che fanno esplicito riferimento ai requisiti dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul per quanto riguarda il lavoro di tutte le entità statutarie responsabili della protezione dei minori, come i servizi giudiziari e sociali, ma non sono né obbligatorie né diffuse nella pratica. Il GREVIO osserva con estrema preoccupazione che in alcuni tribunali le linee guida vengono sostituite da linee guida locali che ignorano gli standard della Convenzione di Istanbul. In generale, il GREVIO teme che le difficoltà incontrate nel soddisfare i requisiti di cui all’articolo 31 siano la conseguenza dell’introduzione di una riforma giuridica sull’affidamento condiviso che non ha valutato attentamente le persistenti disuguaglianze tra donne e uomini e gli alti tassi di esposizione di donne e bambini testimoni alla violenza, e il rischio di violenza dopo la separazione.
- Il GREVIO esorta le autorità italiane ad adottare le misure necessarie, comprese le modifiche legislative, per garantire che i tribunali competenti siano tenuti a esaminare tutte le questioni relative alla violenza contro le donne nel determinare i diritti di affidamento e di visita e a valutare se tale violenza giustifichi la limitazione della custodia e dell’accesso. A tal fine, le autorità dovrebbero:
- prendere in considerazione la possibilità di modificare la loro legislazione per riconoscere esplicitamente la necessità di tenere conto degli episodi di violenza contemplati dalla Convenzione nel determinare i diritti di affidamento e di visita dei minori;
- adottare misure per incorporare un processo sistematico di screening per i casi di custodia e determinazione dell’accesso per determinare se la violenza è stata un problema nella relazione e se è stata segnalata;
- indagare adeguatamente su eventuali segnalazioni di violenza, migliorando la cooperazione con i tribunali penali e qualsiasi organismo competente, inclusi, ma non limitati a, le forze dell’ordine, la sanità, l’istruzione e i servizi di supporto specialistico per le donne;
- integrare le procedure di valutazione del rischio nella determinazione dei diritti di affidamento e di visita al fine di determinare l’interesse superiore del minore;
- garantire che solo i professionisti, in particolare psicologi e psichiatri infantili, che siano consapevoli della questione della violenza contro le donne e dei requisiti della convenzione di Istanbul, possano essere nominati dai tribunali per fornire consulenza sulle questioni relative alla custodia e alle visite in situazioni di violenza contro le donne;
- vietare l’uso da parte di esperti, assistenti sociali e tribunali di concetti relativi all'”alienazione parentale”, nonché di qualsiasi altro approccio o principio, come la “disposizione amichevole dei genitori”, che tendono a considerare le madri che invocano la violenza come genitori “non collaborativi” e “incapaci”, e li incolpano per la cattiva relazione tra un genitore violento e i suoi figli;
- abbandonare la pratica di imporre alla vittima e ai suoi figli l’obbligo di partecipare a riunioni congiunte con l’autore del reato al fine di raggiungere un accordo sull’affidamento e il visita, che equivale a una mediazione obbligatoria;
- integrare le garanzie nelle procedure, come la fornitura di appuntamenti separati ai genitori e la creazione di sale d’attesa separate nei tribunali, al fine di tenere conto dello squilibrio di potere tra la vittima e l’autore del reato e prevenire il rischio di una nuova vittimizzazione;
- garantire un uso appropriato delle disposizioni giuridiche che consentono la riduzione, la revoca e/o la salvaguardia dei diritti di custodia e di visita dell’autore del reato ogniqualvolta si verifichi una situazione di violenza e promuovere la determinazione dei diritti di custodia e di visita su base provvisoria fino a quando tutti gli atti di violenza denunciati contro le donne non siano stati adeguatamente valutati.
Tali misure dovrebbero essere accompagnate da un’adeguata formazione e dallo sviluppo di orientamenti professionali per sensibilizzare i professionisti interessati agli effetti dannosi della violenza sui minori, compresi i testimoni minorenni, e per familiarizzarli con le disposizioni della Convenzione di Istanbul sulla regolamentazione del diritto di affidamento e di visita. Queste linee guida dovrebbero sostituire le metodologie e le linee guida esistenti che tendono a ridurre la violenza in conflitto, promuovere la mediazione senza il dovuto riguardo per la violenza e utilizzare concetti discutibili come “alienazione parentale” che danno priorità al mantenimento della relazione genitore-figlio a tutti i costi, al di là di ogni considerazione della violenza. I progressi in questo settore dovrebbero essere misurati con prove e analisi giurisprudenziali che illustrino come i tribunali della famiglia considerano gli episodi di violenza e come motivano le loro decisioni di custodia e accesso. »
- 74. Il 14 giugno 2022, il GREVIO ha pubblicato il suo 3° Rapporto generale sulla custodia dei minori, le visite e la violenza domestica, sulla base delle valutazioni effettuate finora in diversi Stati. Descrivendo i punti di forza e di debolezza degli Stati nell’attuazione degli articoli 26, 31 e 45 della Convenzione di Istanbul per quanto riguarda le vittime di violenza domestica e le decisioni sulla custodia e la visita dei minori, il rapporto sottolinea che, sebbene tutti gli Stati parti abbiano adottato misure soddisfacenti, “C’è ancora molta strada da fare“. Secondo il GREVIO, permangono carenze nonostante i progressi compiuti. In particolare, la relazione evidenzia le seguenti carenze:
“Mancata presa in considerazione degli atti di violenza domestica nelle decisioni giudiziarie sulla custodia e le visite
In Albania, Belgio, Italia, Monaco, Polonia, San Marino, Slovenia e Turchia, il GREVIO ha riscontrato che non vi era alcun riferimento esplicito alla violenza domestica come uno dei criteri legali da prendere in considerazione nel determinare i diritti di affidamento e/o di visita.
(…)
Il GREVIO ha preso atto con preoccupazione delle informazioni fornite da diversi esperti e professionisti che lavorano in questo campo, che suggeriscono che le prove di violenza da parte di un genitore contro l’altro sono state raramente prese in considerazione nelle decisioni di custodia e di accesso.
IN DIRITTO
SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
76. I ricorrenti, che sostenevano di essere vittime di violenza domestica, lamentavano che le autorità non avevano adottato le misure necessarie e appropriate per proteggerli, anche se erano stati avvertiti in diverse occasioni della mancanza di sicurezza degli incontri del secondo e del terzo ricorrente con il padre violento, tossicodipendente e alcolizzato. Secondo loro, questi incontri non hanno avuto luogo nelle condizioni di “stretta protezione” prescritte dal tribunale, e l’incapacità delle autorità di farlo li ha esposti a ulteriori violenze.
Inoltre, la prima ricorrente lamentava di essere stata qualificata come «genitore non collaborativo» e di essere stata di conseguenza sospesa dalla sua potestà genitoriale per il solo motivo, a suo avviso, di voler proteggere i suoi figli evidenziando la mancanza di sicurezza degli incontri. Sostiene che le sue argomentazioni non sono state prese in considerazione e che ha subito una vittimizzazione secondaria. Le ricorrenti hanno invocato gli artt. 3 e 8 della Convenzione.
La parte pertinente dell’articolo 8 della Convenzione recita: «1. Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (…)».
Ammissibilità
78. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato o irricevibile per qualsiasi altro motivo di cui all’articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara
Sostanza
Argomenti delle parti
(a) I ricorrenti
79. I denuncianti lamentavano la passività delle autorità e sostenevano che il sistema di protezione messo in atto per una donna e i suoi figli in fuga dalla violenza domestica si era rivelato inefficace e inadeguato.
80. La prima ricorrente ha sostenuto che le autorità avevano tollerato la violenza di G.C. e che i rimedi posti in essere non erano stati efficaci nel proteggere lei e i suoi figli.
81. Il secondo e il terzo ricorrente hanno dichiarato di essere stati esposti a violenze nelle loro case e hanno lamentato di essere stati successivamente sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, in quanto erano stati costretti a incontrare il padre in condizioni che non garantivano la loro protezione, a causa della mancanza di controllo e di supervisione da parte delle autorità competenti. Esse sostengono che le autorità nazionali non hanno tenuto conto delle sofferenze da esse subite e non hanno garantito la tutela della loro integrità personale.
82. I ricorrenti sostengono che gli incontri si sono svolti in luoghi non idonei e senza la presenza di uno psicologo.
83. Sostengono che le autorità hanno dato priorità ai “diritti di visita” di G.C. invece di garantire la protezione dei bambini da ulteriori danni derivanti sia dalla condotta del padre che dallo svolgimento degli incontri stessi.
84. Secondo loro, le autorità sapevano che G.C. era stato aggressivo nei confronti dei bambini fin dal primo incontro. Negli incontri successivi, ha continuato a esprimere verbalmente ai bambini il suo forte risentimento nei confronti del primo richiedente. I servizi sociali non hanno interrotto le riunioni e si sono volontariamente allontanati dalla decisione del tribunale organizzando incontri in luoghi come una biblioteca e una piazza pubblica, dove era esclusa qualsiasi forma di controllo e sorveglianza del comportamento di G.C.
85. Inoltre, i ricorrenti sostengono che il tribunale, sebbene notificato nel novembre 2015 dall’assistente sociale, è intervenuto solo quattro mesi dopo e non ha esaminato i problemi legati allo svolgimento degli incontri e alle violenze inflitte alla prima ricorrente e ai suoi figli, limitandosi a sospendere l’autorità genitoriale di entrambi i genitori dopo averli dichiarati “incapaci di esercitare adeguatamente il loro ruolo genitoriale”.
86. Sostengono che, nonostante il persistere di violenze e ripetute denunce, le autorità sono venute meno al loro dovere di prevenire e proteggere i bambini dalla violenza di G.C. e non hanno adottato tutte le misure ragionevoli per prevenire il ripetersi di attacchi violenti contro l’integrità psicologica e fisica dei minori.
87. La prima ricorrente lamentava che le autorità erano state negligenti riguardo alla situazione dei suoi figli, già vittime della violenza del padre, e di aver sostenuto la figura paterna invece di promuovere un rapporto sano tra il padre e i suoi figli.
88. Riconosce che i servizi sociali non sono rimasti passivi, intervenendo sporadicamente nelle riunioni quando C. era aggressiva e irrispettosa delle regole, ma sostiene che le misure adottate dalle autorità non sono state sufficienti a impedire a G.C. di sottoporre i suoi figli a ulteriori violenze. Secondo lei, le autorità locali non hanno esercitato la dovuta diligenza per prevenire il ripetersi di attacchi contro i bambini, perpetrati senza ostacoli e impunemente da G.C.
2 Giudizio del Tribunale
(a) Principi generali
104. La Corte ricorda che la sospensione dell’autorità genitoriale della ricorrente ha interferito con il suo diritto al rispetto della vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione (mutatis mutandis R.M. c. Lettonia, n. 53487/13, § 102, 9 dicembre 2021). Tale ingerenza viola il presente articolo a meno che non sia “prescritta dalla legge”, persegua uno o più scopi legittimi ai sensi dell’articolo 8, comma 2, e non possa essere considerata una misura “necessaria in una società democratica”.
105. La Corte ricorda inoltre che, per quanto riguarda la vita familiare di un minore, esiste attualmente un ampio consenso – anche nel diritto internazionale – sul fatto che in tutte le decisioni riguardanti i minori, il loro interesse superiore deve avere la precedenza ( Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 207, 10 settembre 2019, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 135, CEDU 2010, e X c. Lettonia [GC], n. 27853/09, § 96, CEDU 2013).
106. Nei casi in cui l’interesse del minore e quello dei suoi genitori siano in conflitto, l’articolo 8 impone alle autorità nazionali di trovare un giusto equilibrio tra tutti questi interessi e di attribuire così particolare importanza all’interesse superiore del minore, che, a seconda della sua natura e della sua gravità, può prevalere su quello dei genitori (cfr. ad esempio, Sommerfeld c. Germania [GC], n. 31871/96, § 64, CEDU 2003VIII (estratti), con i riferimenti ivi citati).
107. In generale, da un lato, l’interesse superiore del minore impone di mantenere i legami tra lui e la sua famiglia, tranne nei casi in cui quest’ultima si sia dimostrata particolarmente indegna: rompere questo legame significa recidere il figlio dalle sue radici. Di conseguenza, solo circostanze del tutto eccezionali possono, in linea di principio, portare alla rottura del vincolo familiare e deve essere fatto ogni sforzo per mantenere i rapporti personali e, se necessario, al momento opportuno, per “ricostituire” la famiglia (vedi Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 59, CEDU 2000-IX). D’altra parte, è certo che è in tale interesse garantire che il bambino si sviluppi in un ambiente sano e che l’articolo 8 non può autorizzare un genitore ad adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo del suo bambino (v., tra molti altri, Neulinger e Shuruk, sopra citata, § 136, Elsholz c. Germania [GC], n. 25735/94, 50, CEDU 2000-VIII, e Maršálek c. Repubblica Ceca, n. 8153/04, § 71, 4 aprile 2006).
108. Sebbene l’articolo 8 della Convenzione non contenga alcuna forma esplicita, il processo decisionale deve essere equo e idoneo a rispettare adeguatamente gli interessi tutelati da tale disposizione. I genitori devono essere sufficientemente coinvolti nel processo decisionale nel suo complesso per ritenere di aver ricevuto la necessaria tutela dei loro interessi e di essere stati pienamente in grado di presentare il loro caso. I giudici nazionali devono effettuare un esame approfondito della situazione familiare nel suo complesso e di un’ampia gamma di fattori, tra cui fattuali, emotivi, psicologici, materiali e medici, e procedere ad una valutazione equilibrata e ragionevole dei rispettivi interessi di ciascuno, con la costante preoccupazione di determinare la soluzione migliore per il minore, Questa considerazione è di cruciale importanza in ogni caso. Il margine di discrezionalità lasciato alle autorità nazionali competenti varierà a seconda della natura delle questioni controverse e dell’importanza degli interessi in gioco ( Petrov e X c. Russia, n. 23608/16, §§ 98-102, 23 ottobre 2018).
Applicazione dei principi summenzionati nel caso di specie
(i) Sull’asserita violazione dell’art. 8 nei confronti del secondo e del terzo ricorrente
109. La questione nel caso di specie è se, tenuto conto del suo ampio margine di discrezionalità, lo Stato convenuto abbia raggiunto un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco, fermo restando che l’interesse superiore del minore deve prevalere. In particolare, la Corte ricorda che il margine di discrezionalità varia a seconda della natura delle questioni e della gravità degli interessi in gioco, quali, da un lato, l’importanza di proteggere un minore in una situazione considerata una grave minaccia per la sua salute o il suo sviluppo (si veda Wunderlich c. Germania, n. 18925/15, § 47, 10 gennaio 2019) e, dall’altro, l’obiettivo di ricongiungere la famiglia non appena le circostanze lo consentano ( K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 155, CEDU 2001-VII, e Mohamed Hasan c. Norvegia, n. 27496/15, § 145, 26 aprile 2018).
110. Per quanto riguarda la protezione dell’integrità fisica e morale di un individuo nei confronti di altri, la Corte ha già dichiarato che gli obblighi positivi che incombono alle autorità – in alcuni casi ai sensi dell’articolo 2 o dell’articolo 3 della Convenzione, e in altri casi ai sensi dell’articolo 8, considerati da soli o in combinato disposto con l’articolo 3 – possono comportare un obbligo di stabilire e attuare in pratica un Quadro giuridico adattato che fornisce protezione contro gli atti di violenza che possono essere commessi da privati (Söderman c. Svezia [GC], n. 5786/08, 80, CEDU 2013).
111. Per quanto riguarda i bambini, che sono particolarmente vulnerabili, i meccanismi creati dallo Stato per proteggerli dagli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione degli articoli 3 e 8 devono essere efficaci e includere misure ragionevoli per prevenire maltrattamenti di cui le autorità conoscevano o avrebbero dovuto essere a conoscenza e una prevenzione efficace che protegga i bambini da forme così gravi di danno personale. Söderman, sopra citata, § 81, e nel contesto della violenza domestica vedi Hajduová c. Slovacchia, 2660 /03, § 49, 30 novembre 2010). Tali misure devono mirare a garantire il rispetto della dignità umana e la protezione dell’interesse superiore del minore (vedi C.A.S. e C.S. c. Romania, n. 26692 /05, § 82, 20 marzo 2012).
114. La Corte rileva che il tribunale non ha risposto prontamente per quasi quattro mesi alle richieste dei servizi sociali e del primo ricorrente.
115. Poiché la prima ricorrente ha deciso di non portare i suoi figli agli incontri previsti, il tribunale ha deciso nel maggio 2016 di considerarla un genitore ostile al ripristino di un rapporto padre-figlio e di sospendere la sua autorità genitoriale senza considerare i suoi argomenti e senza tenere conto del contesto di violenza domestica menzionato nella sua prima decisione.
116. La Corte rileva che il giudice non ha ascoltato l’assistente sociale che aveva sottolineato il pericolo a cui erano esposti i bambini, che non ha tenuto conto degli argomenti del primo ricorrente e che ha invece ordinato la continuazione degli incontri. Inoltre, lo psicologo non è stato nominato fino a dicembre 2015.
117. La Corte osserva che le riunioni si sono protratte per circa tre anni e che, anche se si sono svolte in presenza di uno psicologo in una fase successiva, il comportamento sprezzante di G.C., aggressivo nei confronti degli operatori dei servizi sociali, li ha indotti a chiedere al giudice di consentire loro di spostare gli incontri in un luogo dal quale sarebbe stato facile per loro fuggire in caso di comportamento violento.
118. Dalle varie segnalazioni dei servizi sociali risulta che, inizialmente, gli incontri sono stati organizzati e si sono svolti in luoghi non idonei senza la presenza di uno psicologo, e che, in secondo luogo, da marzo 2016, sono stati caratterizzati da una forte aggressività di G.C. e sono stati mantenuti anche nel 2018, quando i figli erano stati lasciati soli con il padre, senza alcun miglioramento della situazione nel frattempo e nonostante le varie segnalazioni inviate all’autorità giudiziaria riguardanti l’aumento dell’aggressività di G.C.
119. A tal riguardo, occorre rilevare che il comportamento aggressivo di G.C. era stato segnalato nel febbraio 2017 (v. punto 42 supra), nel giugno e nel luglio 2017 (v. punti 44-45 supra), nel gennaio 2018 (v. punto 47 supra), nel marzo 2018 (v. punto 52 supra) e che, nell’aprile 2018, il tutore dei minori aveva informato il giudice della difficile situazione in cui si trovavano, La loro sicurezza non è garantita.42444547‑52
120. La Corte osserva che, nonostante tutte queste relazioni, la Corte non è intervenuta per sospendere le riunioni fino a novembre 2018, un anno e nove mesi dopo la prima relazione.
121. La Corte rileva che durante tutto questo periodo i bambini sono stati costretti a incontrare il padre in condizioni non rassicuranti e non garantivano la loro tranquillità e sviluppo, anche se la corte era stata avvertita che G.C. non era più nel suo programma di disintossicazione e che il procedimento penale contro di lui per maltrattamenti era pendente. Il tribunale, che era stato anche informato che i bambini avevano bisogno di sostegno psicologico, non sembra aver tenuto conto del loro benessere, soprattutto perché questi incontri li hanno esposti sia a testimoniare le violenze commesse contro il primo ricorrente (mutatis mutandis Eremia c. Repubblica di Moldova, 3564/11, §§ 77-79, 28 maggio 2013) e a coloro che hanno subito direttamente a causa dell’aggressione del padre.
122. La Corte non capisce perché il tribunale, al quale erano state inviate segnalazioni già nel 2015 e reiterate negli anni successivi, abbia deciso di mantenere gli incontri quando il benessere e la sicurezza dei bambini non erano garantiti. In nessun momento il giudice ha valutato il rischio a cui i minori erano esposti e non ha ponderato gli interessi coinvolti. In particolare, la motivazione delle sue decisioni non dimostrerebbe che considerazioni relative all’interesse superiore dei minori debbano prevalere sull’interesse di G.C. a mantenere i contatti con loro e a proseguire le riunioni.
123. La Corte è del parere che gli incontri tenuti dal 2015, che si sono svolti prima in condizioni non conformi alla decisione del tribunale, poi in modi che non garantivano un ambiente protettivo per i bambini, hanno disturbato l’equilibrio psicologico ed emotivo dei bambini, come sottolineato dai servizi sociali, che avevano più volte sottolineato la necessità di un sostegno psicologico per i bambini.
124. La Corte rileva inoltre che la Corte d’appello di Roma ha constatato, il 19 dicembre 2019, che G.C. era venuto meno al suo dovere di garantire uno sviluppo sano e sereno dei minori attraverso il suo comportamento aggressivo, distruttivo e sprezzante durante le riunioni (v. punto 62 supra).62
125. Le considerazioni che precedono sono sufficienti per concludere che i minori sono stati costretti dal 2015 a incontrare G.C. in condizioni che non garantiscono un ambiente protettivo e che, nonostante gli sforzi compiuti dalle autorità per mantenere il legame tra loro e G.C., il loro interesse prevalente a non essere obbligati a soddisfare alle condizioni summenzionate è stato violato.
126. Di conseguenza, vi era stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione nei confronti del secondo e del terzo ricorrente.
133. La Corte rileva che la decisione del Tribunale per i minorenni di Roma di sospendere la potestà genitoriale è stata successivamente confermata dalla Corte d’Appello e revocata solo nel maggio 2019, nonostante la richiesta avanzata dalla Procura il 10 novembre 2018 e quella dei servizi sociali, pervenuta nell’aprile 2019.
134. Non risulta che la sospensione dell’autorità genitoriale abbia comportato un cambiamento di domicilio per i figli, che sono rimasti con il primo richiedente, come si evince dalle decisioni contraddittorie del Tribunale civile di Tivoli e del Tribunale per i minorenni di Roma e della Corte d’appello (v. punti 34, 36 e 38 supra).343638
136. Il Tribunale ritiene che le decisioni dei giudici nazionali di sospensione dell’autorità genitoriale del primo ricorrente non abbiano tenuto conto delle difficoltà che avevano contraddistinto lo svolgimento delle riunioni e della mancanza di sicurezza ripetutamente rilevata dai vari intervenienti. La situazione di violenza subita dalla prima ricorrente e dai suoi figli non è stata affatto presa in considerazione, né è stato avviato il procedimento penale contro G.C. per maltrattamenti.
137. La Corte rileva inoltre che nella sua relazione sull’Italia, il GREVIO ha sottolineato che la sicurezza del genitore non violento e dei bambini deve essere un fattore centrale nel decidere l’interesse superiore del minore in materia di affidamento e visita. Il GREVIO ha inoltre osservato che i giudici nazionali non hanno tenuto conto dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul.
138. La Corte condivide la preoccupazione del GREVIO circa l’esistenza di una pratica diffusa tra i tribunali civili di considerare le donne che invocano atti di violenza domestica rifiutarsi di partecipare agli incontri dei loro figli con il loro ex coniuge e di opporsi alla condivisione dell’affidamento con lui o lei o alla concessione del diritto di visita a lui come genitori “non collaborativi” e quindi “madri inadatte” meritevoli di punizione.
139. La Corte non è convinta che le autorità nazionali abbiano giustificato la sospensione dell’autorità genitoriale del primo ricorrente per tre anni sulla base di motivi pertinenti e sufficienti nel caso di specie. I giudici interessati non hanno esaminato attentamente la situazione del primo ricorrente. La Corte osserva che la Corte e la Corte d’appello hanno deciso di sospendere l’autorità genitoriale della ricorrente sulla base del suo comportamento asseritamente ostile nei confronti degli incontri e dell’esercizio della co-genitorialità da parte di G.C., senza tener conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie.
140. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il Tribunale per i minorenni e la Corte d’appello non abbiano fornito motivi sufficienti e pertinenti per giustificare la loro decisione di sospendere l’autorità genitoriale del primo richiedente per il periodo compreso tra maggio 2016 e maggio 2019.
141. Di conseguenza, vi era stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione nei confronti del primo ricorrente.
II SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
142. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione: la Corte constata che vi è stata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente consente solo la cancellazione imperfetta delle conseguenze di tale violazione, la Corte, se del caso, concede alla parte lesa la giusta soddisfazione.”
(omissis)
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, DELIBERANDO ALL’UNANIMITÀ,
- Il ricorso è
- ritiene che vi sia stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
- Questo: (a) che lo Stato convenuto deve pagare congiuntamente al secondo e al terzo ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza è divenuta definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, EUR 7.000 (settemila euro) più qualsiasi importo che possa essere dovuto di tale somma a titolo di imposta, per danni non patrimoniali; (b) che l’accertamento della violazione costituisca di per sé sufficiente giusta soddisfazione per il danno morale subito dal primo ricorrente;
- Respinge il resto della richiesta per giusta soddisfazione.
Di Giada Giunti
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