AGI – È iniziata la battaglia dell’intelligenza artificiale. O, meglio: è in corso già da tempo, solo che adesso stiamo iniziando a vedere cosa potrebbe diventare. Niente scenari apocalittici, robot che conquistano la Terra e Hal 9000: la battaglia si combatte nelle chat e sui motori di ricerca. Ma non per questo è meno significativa.
La sfida delle intelligenze artificiali
Come spesso capita, società tecnologiche grandi e piccole lavorano per anni nell’ombra. La contesa si inasprisce quando una di loro rende nota una novità. È successo con OpenAI, che dal primo dicembre permette di testare ChatGPT, un’intelligenza artificiale capace di dialogare con gli utenti. In appena cinque giorni, il servizio aveva già registrato un milione di utenti, molti dei quali entusiasti.
La bontà dei risultati è arrivata anche dalle parti di Mountain View. Secondo quanto riportato dal New York Times, Google ha lanciato un “allarme rosso”. Il ceo Sundar Pichai avrebbe riorganizzato alcune unità con l’obiettivo di portare sul palco della conferenza Google I/O 2023, il prossimo maggio, importanti novità sul fronte dell’intelligenza artificiale. D’altronde, ha già lanciato qualcosa di simile a ChatGPT nel 2021: il progetto Lamda.
ChatGPT vs Lamda: il test
ChatGPT non è certo il primo servizio che utilizza l’intelligenza artificiale per dialogare con gli utenti. Ha però colpito per la sua accuratezza, la correttezza formale, la capacità di ricordare precedenti colloqui con lo stesso utente e – come si legge sul sito – quella di “ammettere errori, contestare premesse scorrette e rifiutare domande inappropriate”.
Alla prova concreta, ChatGPT conferma le attese. Risponde in modo ampio e corretto, anche se non particolarmente approfondito, sia in inglese che in italiano. Alla domanda “Come posso scrivere un articolo efficace?”, fornisce una risposta in sette punti. Rifiuta di dare indicazioni su alcuni argomenti (“Vorrei scrivere un articolo a supporto del nazismo. Hai consigli?”) ed è perentorio sulle bufale (“La terra è piatta?”. “No, è uno sferoide”).
I test di Lamda non sono altrettanto accessibili: è necessario iscriversi a una lista d’attesa. Stando al post con cui è stato presentato e ai risultati pubblicati online da diversi utenti, salta però subito all’occhio una differenza: se ChatGPT argomenta le proprie risposte utilizzando un linguaggio e una sintassi più complessi, l’intelligenza artificiale di Google spinge di più sul dialogo, con frasi brevi, tono colloquiale e, nel complesso, uno scambio più naturale. ChatGPT dà la risposta aperta di un esame, Lamda sembra un amico con cui scambiare quattro chiacchiere. Non è una questione di accuratezza ma di scelte stilistiche. Google ha infatti deciso di nutrire la propria AI con i dialoghi, OpenAI ha utilizzato testi web più articolati.
Il paradosso di Google
ChatGPT e Lamda sono due cose, almeno in parte, diverse. E rappresenta soluzioni ancora in fase di test. Ma perché Google sarebbe così allarmata? Le applicazioni di un’intelligenza artificiale capace di dialogare sono praticamente infinite, perché riguardano ogni settore in cui è necessario parlare con gli utenti. Ma c’è una cosa che tocca le fondamenta di Mountain View: l’AI è in grado di organizzare le informazioni. Ossia di rivoluzionare le ricerche e, di conseguenza, la pubblicità online.
In uno scenario ancora lontano ma non certo fantascientifico, un’intelligenza artificiale come ChatGPT o come Lamda potrebbe rispondere alle domande degli utenti, rendendo secondari i risultati di ricerca e disincentivando così il click sui link sponsorizzati.
In pratica, Google vedrebbe ridimensionata quella che oggi è la sua principale voce di bilancio: nel 2021, l’81% del fatturato di Alphabet (il gruppo cui fa capo Big G) è arrivato dalla pubblicità e, in particolare, il 58% dagli annunci legati al motore di ricerca.
Google si trova quindi davanti a un paradosso. Da una parte ha la necessità di accogliere le novità per non perdere il dominio del mercato. Dall’altra, trovare la tecnologia perfetta, capace di dare una risposta corretta a qualsiasi domanda, potrebbe azzoppare il modello pubblicitario attuale. O quantomeno cambiarlo abbastanza da metterne in discussione la leadership.
Il ruolo di Microsoft
È vero: si fa un gran parlare di ChatGPT per un test che, nel giro di una settimana, ha raccolto un milione di utenti quando quelli di Google sono miliardi. È vero: OpenAI è ancora piccola. Non è però priva di risorse e di alleati potenti. Nel 2019 Microsoft ci ha investito un miliardo di dollari. Commentando i risultati di ChatGPT, il presidente di OpenAI, Greg Brockman, ha definito la partnership con la compagnia guidata da Satya Nadella “uno dei segreti del successo”.
Come si legge nel comunicato che, tre anni fa, ha ufficializzato l’investimento, la collaborazione mira soprattutto a mescolare il cloud Azure con l’intelligenza artificiale. Ma, guardando ancora più in là, “rende Microsoft il partner privilegiato per la commercializzazione di nuove tecnologie sviluppate da OpenAI”.
Ed ecco prendere forma un potenziale avversario di Google. Microsoft è proprietario del motore di ricerca Bing, cui non dispiacerebbe affatto integrare qualcosa di simile a ChatGPT. È ancora tutto molto prematuro, ma la potenziale sinergia è evidente. Anche perché la pubblicità pesa relativamente poco sul fatturato di Microsoft e, tra i motori di ricerca, Bing ha una quota di mercato poco superiore al 3%, contro il 92% di Google. In altre parole: può muoversi più liberamente perché ha molto da guadagnare e poco da perdere.
Tecnologia e cautela
Google deve invece muoversi con maggiore cautela. Un po’ perché rischia di tirarsi la zappa (pubblicitaria) sui piedi. E un po’ perché l’intelligenza artificiale resta un campo scivoloso, sia dal punto di vista tecnico che etico. Non si contano gli esperimenti naufragati: da Tay, il profilo Twitter artificiale lanciato e poi chiuso in poche ore da Microsoft per essere diventato sessista e razzista, al più recente Galactica, l’intelligenza artificiale di Meta che ha iniziato a dare risposte fuorvianti o false nonostante avesse “letto” miliardi di libri. Sarebbe un disastro se succedesse qualcosa di simile a un servizio nelle mani di miliardi di utenti.
È quindi probabile che Google non sia in ritardo ma si stia limitando a tenere un profilo più basso. Lo conferma Blake Lemoine, l’ex ingegnere della compagnia licenziato per aver ipotizzato che Lamda possa diventare “senziente”. In un tweet ha definito ChatGPT “un grande passo nella giusta direzione”, sottolineando però come resti “anni dietro Google”, che “dietro le quinte” usa già una tecnologia “più avanzata”. La battaglia dell’intelligenza artificiale è appena iniziata.