“Diario Elettorale” spettacolo scritto, diretto e interpretato da Mario Migliucci che lo porta in scena dal 2 al 5 marzo al Teatro Spazio 18b nel cuore della Garbatella a Roma. La musica a cura di Giulia Anita Bari e Javier Salnisky. Le luci di Dario Aggioli e il contributo realizzazione video di Gianluca D’Apuzzo (Karma Gava).
L’amore si può incontrare per strada, a lavoro, in palestra, ma anche in un semplicissimo seggio elettorale. Un banale incontro al seggio, un lui e una lei che a malapena si parlano, poi tutto finisce e si rimane in attesa. Si l’attesa della prossima chiamata alle urne. Qualsiasi motivo va bene, un referendum, le politiche, un ballottaggio, ogni voto potrebbe essere l’occasione giusta per rivedersi. In mezzo scorre la vita, scritta, raccontata, immaginata. Legati da un filo invisibile, gettato da lui, senza che nemmeno lei lo sappia.
“Diario Elettorale” è un progetto di scrittura che iniziò circa dieci anni fa, quando l’autore scrisse un diario epistolare quotidiano a una ragazza conosciuta come scrutatrice durante le elezioni. Da allora il progetto ha subito diverse fasi di sviluppo e sedimentazione. Una ragazza mai incontrata prima, con cui un giorno potremmo riuscire a inviare i messaggi.
Lo stesso Mario Migliucci commenta «In questa prima fase che ancora non prevedeva un’evoluzione teatrale il dichiarato modello di riferimento è stato il romanzo “Che tu sia per me il coltello” di David Grossman, autore a me particolarmente caro in quanto legato al mio debutto teatrale professionistico, avvenuto nel 1998 con “Il giardino d’infanzia di Riki”, sua unica opera teatrale».
Del romanzo di Grossman, Migliucci è stato conquistato dalla creazione di un universo parallelo, un mondo fuori dal mondo, ma che dallo stesso si nutre. Un uomo vede una donna, sente un’attrazione irresistibile, le scrive e inizia a comunicare con lei senza paura di essere giudicato.
«Le prime pagine del mio diario epistolare le ho scritte prima ancora di finire di leggere quelle del romanzo di Grossman» continua Migliucci «Quello era il modello, la materia da lavorare ovviamente era la mia, il caso singolare a cui adattarlo era il mio. E così per un po’ mi sono scritto, scrivendo alla mia musa, Donatella, la ragazza del seggio. Poi mi sono fermato, pensando di poter ricominciare da un momento all’altro, sarebbe bastato scrivere di nuovo quel nome, Donatella, in cima a una pagina del mio blocco diario. Ma non è successo. Quindi, più recentemente, mi sono riletto e trascritto, parola per parola. Ho sentito la brace scoppiettare ancora sotto la cenere del tempo raccontato e trascorso e ho pensato fosse arrivato il moneto. Il momento di far arrivare a Donatella le parole a lei destinate e ho capito che il mio ufficio postale non poteva che essere il teatro».
Agostino Fraccascia