AGI – Un’indagine tanto lunga quanto breve fu quel mese che trascinò via più di tremila uomini e donne fino a che i morti non ci stavano più nemmeno nei camposanti e toccò ai soldati caricarseli sui camion nel deserto umano per le strade di Bergamo. E ora arrivano le prime conclusioni della Procura notificate a 17 persone per le ipotesi di reato, a vario titolo, di epidemia colposa, omicidio colposo e rifiuto di atti d’ufficio.
“Non è un atto d’accusa” precisano i magistrati in una nota. Gli indagati sono a tutti i livelli: politico, scientifico-istituzionale e locale. Tra loro l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza le cui posizioni sono separate dalle altre e saranno valutate dal Tribunale dei Ministri di Brescia perché avrebbero commesso i reati durante le attività ministeriali.
In questi casi, la Procura non può fare atti di indagine ma deve rimettersi all’organo competente. “Sono tranquillo di fronte al Paese” dice il leader dei 5 Stelle. Finiscono invece nel 415 bis il presidente appena rieletto della Lombardia Attilio Fontana e il suo ex assessore al Welfare, Giulio Gallera e alcuni dirigenti del ministero della Salute: il presidente dell’Istituto superiore della sanità Silvio Brusaferro; il coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo; l’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli.
L’inchiesta è durata oltre tre anni col procuratore capo Antonio Chiappani, bergamasco, la moglie colpita duro dal virus proprio nei giorni pià tremendo, che ha scelto sin da subito un lume per navigare dentro a un groviglio immenso di documenti, norme, testimonianze, azioni e omissioni. “Ci sono molte difficoltà tecniche ma il mio obbiettivo è che la gente sappia quello che è successo” ha sempre detto quando con la collega Maria Cristina Rota studiavano cosa potesse essere reato, cosa comportamento censurabile ma non compreso nel codice penale e cosa fosse semplicemente l’impossibilita’ oggettiva di affrontare quel drago che si inghiottì una provincia intera, e Nembro e Alzano in particolare, i paesi dove nemmeno più le campane a morto avevano la forza di suonare. I magistrati si sono mossi su tre piani: locale, nazionale e mondiale, fino ad arrivare all’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Le ipotesi
Il 23 febbraio, due giorni dopo il ‘paziente 1’ di Codogno, vengono accertati i primi due casi al ‘Pesenti Fenaroli’ di Alzano Lombardo. L’ospedale viene subito chiuso per poi riaprire poche ore dopo senza ragione, è l’ipotesi da cui muove l’accusa, e senza essere sanificato.
Un episodio chiave che si inserisce in un altro tema sviscerato dalla Procura e da una gigantesca consulenza firmata dal microbiologo Andrea Crisanti, quello della presunta mancata ‘zona rossa’ in un territorio che aveva un numero di contagi altrettanto esorbitante rispetto a quello del lodigiano, che venne invece subito sigillato.
E per rispondere alla domanda su chi dovesse chiudere i dintorni di Bergamo, se il Governo o la Regione, i magistrati hanno sentito come testimoni, poi diventati indagati, Conte e Speranza e Attilio Fontana e Gallera. La scena si è poi allargata alle stanze del ministero, anche in epoca precedente a quella dell’esecutivo in carico in quei mesi e addirittura all’Oms sul tema della preparazione del nostro Paese rispetto alla catastrofe. Sono arrivate le accuse dell’ex funzionario dell’OMS Francesco Zambon contro il numero due dell’ dell’Organizzazione, Ranieri Guerra, di avere postdatato il piano pandemico (dal 2006 al 2017) per affrontare la crisi sanitaria facendolo sembrare aggiornato quando non lo sarebbe stato.
Ma quel piano, e qui i pm hanno messo il naso negli uffici ministeriali, chi doveva aggiornarlo? Domande a cui, finalmente, ora la Procura di Bergamo dà una prima e parziale risposta
Il “grazie” delle famiglie
Un “ringraziamento” alla Procura di Bergamo arriva dall’associazione dei familiari delle vittime dopo la chiusura delle indagini. “I magistrati hanno individuato responsabilità precise nella gestione della pandemia che coinvolgono il settore politico e istituzionale. Da sempre ci siamo battuti per i nostri cari nonostante l’omertà che ha sempre contraddistinto questa storia. Questa decisione non ci restituisce i nostri cari ma onora la loro memoria”.
Le reazioni
Giuseppe Conte
“Apprendo dalle agenzie di stampa notizie riguardanti l’inchiesta di Bergamo. Anticipo subito la mia massima disponibilità e collaborazione con la magistratura”, dice Giuseppe Conte. “Sono tranquillo di fronte al Paese e ai cittadini italiani – riprende l’ex presidente del Consiglio – per avere operato con il massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica”.
Roberto Speranza
L’ex ministro della Salute Roberto Speranza ha assicurato di avere “piena fiducia nella magistratura” dopo la notizia che è indagato nell’ambito del’inchiesta di Bergamo sulla gestione della prima ondata di Covid. “Apprendo da agenzie di stampa notizie riguardanti l’inchiesta di Bergamo”, si legge in una nota del deputato.
“Ho sempre pensato che chiunque abbia avuto responsabilità nella gestione della pandemia debba essere pronto a renderne conto. Io sono molto sereno e sicuro di aver sempre agito con disciplina e onore nell’esclusivo interesse del Paese. Ho piena fiducia come sempre nella magistratura”
Giulio Gallera
“Non ho ancora ricevuto alcun atto ufficiale. Ma sono sereno e garantirò, come ho sempre fatto, la massima collaborazione alla magistratura”. Lo afferma Giulio Gallera, già assessore al Welfare della Regione Lombardia, in relazione alle notizie di natura giudiziaria legate all’inchiesta di Bergamo sulla prima fase dell’emergenza Covid.
“Abbiamo affrontato il Covid a mani nude”, sottolinea Gallera, “e, sulla base delle pochissime informazioni delle quali potevamo disporre, abbiamo messo in campo le decisioni più opportune per affrontare l’emergenza. Ho sempre garantito ogni forma di collaborazione con la Procura di Bergamo come persona informata sui fatti, e continuerò a farlo”.
“Come afferma la stessa Procura, l’avviso della conclusione delle indagini preliminari non è un atto di accusa bensì un atto di garanzia per l’indagato, che viene messo a conoscenza degli atti di indagine e posto nelle condizioni di esercitare la propria difesa chiedendo l’archiviazione”, ha sottolineato l’ex assessore.
“Un’indagine così lunga e complessa – prosegue Gallera – è composta da migliaia di pagine di atti processuali, molti dei quali di natura tecnica. Se le notizie fossero confermate, chiederemo tutto il tempo necessario per esaminare gli atti e predisporre il contraddittorio affinché possa essere accertata la correttezza delle azioni messe in campo durante l’emergenza”.