AGI – Il voto alla riunione degli ambasciatori Ue sul Regolamento che prevede lo stop dal 2035 alla vendita di auto nuove diesel e benzina è stato rinviato a data da destinarsi. “Il Coreper (la riunione degli ambasciatori) tornerà sulla questione a tempo debito”. Lo rende noto un portavoce della presidenza svedese dell’Unione.
Oggi doveva tenersi il voto degli ambasciatori in vista del via libera definitivo in programma al Consiglio di martedì. Tuttavia le perplessità della Germania, unita alla contrarietà di Polonia e Italia (e l’astensione di Bulgaria) hanno fatto saltare tutto l’iter. Il Parlamento europeo aveva già dato la sua approvazione finale il 14 febbraio scorso.
Il braccio di ferro
Il rischio è che il provvedimento, uno dei più simbolici e importanti della legislatura, riceva un’imbarazzante bocciatura. E per evitare questo scenario, la presidenza svedese dell’Ue ha optato per un nuovo rinvio, come già avvenuto mercoledì. Prende tempo per fornire ulteriori garanzie a Berlino in particolare sul ruolo che possono avere i biocarburanti per azzerare le emissioni inquinanti.
Il quadro si è complicato da quando – martedì sera – il Governo italiano ha fatto sapere che voterà contro il regolamento. Con l’astensione di Germania e Bulgaria e la contrarietà di Polonia e Italia il provvedimento (che richiede una maggioranza qualificata, 55% dei Paesi che rappresentino il 65% della popolazione) non passa.
La posizione dell’Italia
Il ministro per le Imprese e il Made in Italy, a Bruxelles per il Consiglio Competitività, ha confermato la posizione. E ha chiarito che allo stato attuale non c’è nulla che Bruxelles possa offrire per fargli cambiare idea.
“L’Italia vota contro come segnale per quanto riguarda tutta l’attività che la Commissione, le istituzioni europee, faranno, e faremo insieme a loro, nei prossimi mesi che riguarderanno gli altri dossier che sono ancora aperti. Non soltanto quelli inerenti l’automotive ma anche quelle inerenti il packaging piuttosto che l’eco-tessile, dossier nei quali noi chiediamo ragionevolezza”, ha spiegato l’esponente del Governo Meloni, orgoglioso del fatto che “l’Italia è tornata in campo come grande Paese, fondatore dell’Unione europea, che sa bene quali siano davvero il sentimento e la necessità di questo Continente”. “Noi siamo un Governo pragmatico che guarda innanzitutto agli interessi nazionali e alla sostenibilità del sistema sociale che è conseguenza della sostenibilità del sistema produttivo. E vorremmo che altrettanta consapevolezza e ragionevolezza ci siano nelle Istituzioni europee”, ha spiegato
Tuttavia qualche margine di trattativa c’è e soprattutto ci sarà nel 2026 con la revisione generale (prevista nel Regolamento che è ai voti) ma soprattutto perchè ci saranno un nuovo Parlamento europeo e una nuova Commissione che secondo Urso sarà “più capace di interpretare a fondo quali siano gli interessi e gli ideali della nostra casa comune europea”.
“Non mettiamo in dubbio le date del 2035 o del 2050. Noi chiediamo che ci sia una riflessione sulla base di dati concreti che sono sotto gli occhi di tutti e che hanno portato le associazioni di imprese europee e i lavoratori europei a chiedere un cambio di passo alla Commissione”, ha evidenziato il ministro. Noi tuteliamo l’impresa e il lavoro italiano ed europeo e credo che sia questo uno dei punti fondamentali di un’Europa che voglia essere solidale e competitiva a livello globale”.
E ciò vale in particolare per la neutralità tecnologica su cui insistono tanto Roma e Berlino. “Chiediamo che siano modificate le tappe e le modalità a quegli appuntamenti affinchè siano sostenibili. Per esempio non vediamo perchè debba essere considerata soltanto l’elettricità. Non è una religione, è una tecnologia come altre. Se altre tecnologie, per esempio pensiamo ai biocombustibili, possono permetterci di raggiungere lo stesso obiettivo perché non dobbiamo utilizzarle?”, ha chiesto Urso.
L’altro elemento di critica rivolta alla strategia europea attuale è la scarsa disponibilità di terre rare e materie prime, indispensabili per la transizione green, ma attualmente custodite nelle mani della Cina. “Non possiamo passare dalla subordinazione all’energia fossile della Russia che stiamo pagando a caro prezzo, e lo stanno pagando soprattutto gli ucraini che combattono quella guerra anche a nome nostro, a una subordinazione alle materie prime che sono appannaggio della Cina e alla tecnologia green che oggi in gran parte si realizza in Asia”, ha avvertito il ministro per le Imprese. “Passeremmo dalla padella alla brace. Non ce lo possiamo permettere, non possiamo lasciare ai nostri figli questa eredità”.