In occasione della giornata internazionale dei diritti della donna dell’8 marzo, si è tenuto alla Camera dei Deputati nella sala Matteotti il convegno “L’esigenza di tutela di donne e minori nell’ambito dei procedimenti civili e penali. Profili culturali, interventi normativi e aspetti psicologici della rete e degli operatori coinvolti”, promosso ed organizzato dall’avvocata Laura Marsala, Presidente dell’”associazione Avvocato Mario Bellomo”, con la Presidente dell’”Associazione Aurea Caritate”, Anthea Di Benedetto.
L’evento patrocinato dal sindacato FSP Polizia di Stato, moderato dal presidente nazionale FSP Polizia di Stato Antonio Scolletta. Alessandra Locatelli ministra per le Disabilità ha inviato un suo messaggio, attesa l’impossibilità a partecipare; ha presenziato anche deputata la Parlamento Europeo Annalisa Tardino.
Tra i relatori sono intervenuti Mirella Agliastro, già giudice di Cassazione; Angela Lo Curzio, avvocata familiarista dell’associazione Aurea Caritate e cofondatrice della Consulta Femminile della Camera Penale di Palermo; Alessandro Faraci, avvocato già Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Enna; Stella Cappelli, Segretario Nazionale Vicario FSP Polizia di Stato; Tiziana Barrella, avvocata e criminologa, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Giuridico Italiano nell’ambito della comunicazione non verbale. In sala Fabio Fazzi, Segretario Provinciale Generale di Caltanissetta FSP Polizia di Stato, Walter Mazzetti, segretario generale FSP Polizia di Stato.
Ed ancora Andrea Monteleone, vice segretario nazionale Sinalp e coordinatore della rete Zeromolestie, Michela Nacca, avvocata e Presidente di Maison Antigone nonché relatrice alla Conferenza Europea sulla Violenza domestica (ECDV) che si terrà a Reykjavik nel settembre prossimo. Ha fornito la sua testimonianza anche una donna vittima di violenza domestica ed istituzionale. A conclusione del convegno l’intervento dell’onorevole Eliana Longi.
L’ex giudice di Corte di Cassazione Mirella Agliastro nel suo intervento si è soffermata dettagliatamente sulla vittimizzazione secondaria che “ha rilevanza in molti ambiti, nei tribunali, nei percorsi legali, nei percorsi sanitari, nella rappresentazione dei media e nel contesto sociale”.
La ex giudice sottolinea il percorso doloroso che subisce una donna quando ha avuto il coraggio di denunciare che ” si trova nel contesto giudiziario a lei non comune, non facile, in un contesto che non conosce, viene scoraggiata perché in primo luogo deve rivivere gli incubi e ciò che ha vissuto”. Quella donna deve rivivere, raccontare la violenza subita più volte, per cercare di essere difesa e protetta.
“Nello stesso tempo viene – continua la ex giudice di Corte di Cassazione – in qualche modo colpevolizzata, anche sul piano psicologico come se fosse colpa sua”. Prova, quindi vergogna, frustrazione e, quindi, molte volte, “rinunciano addirittura a fare valere i propri diritti”.
La dottoressa Agliastro si sofferma anche sul modo di condurre un interrogatorio quando le donne si presentano alle Forze dell’ordine per sporgere denuncia di episodi di stalking, di aggressioni, di violenza e vengono a loro volta colpevolizzate, formulando domande quali “ma tu perché ti vesti così, ma perché attiri l’attenzione. Perché non l’hai denunciato prima, invece di subire fino ad ora e venire solo ora? Questa è la domanda più devastante per una donna perché mette in dubbio tutto il suo passato di vittima – precisa la giudice ed aggiunge – è un triste fenomeno”.
La donna è vittima di violenza unitamente ai propri figli che subiscono altrettanta violenza su sé stessi o quella assistita” un’altra forma di vittimizzazione secondaria, perché assistono alla violenza dei padri, commenta la giudice.
Ciò avviene soprattutto nei processi di separazione – continua la Agliastro – o quando il padre pretende di esercitare la sua genitorialità in difetto dei canoni giuridici. Accade che la donna viene colpevolizzata nell’inopportuno tentativo di ricostruire il rapporto padre- figlio forzando impropriamente il cosiddetto affido condiviso o gestione della genitorialità comune, che è bene ricordare può essere applicato in condizioni di normalità.
“L’uomo viene ritenuto un genitore adeguato perché molte volte magari non ha alzato le mani nei confronti dei bambini, però lo ha fatto nei confronti della moglie o della compagna. Ciò induce la donna a desistere dal denunciare i fatti di violenza ed affidarsi alla giustizia”, rileva la Agliastro.
Durante un “processo, l’aula giudiziaria non è il luogo idoneo per la vittima, non è la poltrona di fiori. Quando la donna si siede per fare la sua deposizione, i meccanismi giudiziari a volte sono farraginosi, (ma non soltanto per questo, precisa) la donna diventa vittima una seconda volta, non più solo del maltrattante, ma anche proprio del sistema giudiziario.
La ex Ermellina si sofferma anche sulla cosiddetta violenza economica che accomuna molte donne che hanno avuto il coraggio di denunciare, “in primo luogo si può constatare un impoverimento delle risorse economiche, perché devono pagare i professionisti, gli avvocati, gli psicologi, i consulenti di parte, le spese processuali a volte, e, quindi vengono censurate dai consulenti tecnici, dai curatori, dai tutori, sovente anche dai giudici.
Spesso la violenza non viene riconosciuta, nemmeno quando la madre denuncia abusi contro i figli”, perché spesso questi processi relativi agli abusi, vengono archiviati, il minore non viene ritenuto attendibile e la madre viene ritenuta alienante, viene applicata la cosiddetta sindrome di alienazione parentale che – precisa – non ha fondamento scientifico”.
Nonostante ciò “viene utilizzata molte volte dai consulenti tecnici d’ufficio perché è una via breve, – lo ripete – una via breve per censurare la madre e quindi si afferma che la stessa voglia porre in atto tutta una serie di atteggiamenti per sottrarre il figlio alle visite con il padre o comunque a ricostruire un rapporto con il padre”. E’ stata rappresentata esattamente la realtà di ciò che avviene da parte delle consulenti e nelle aule dei tribunali.
“Questo è altrettanto dannoso per la povera donna che subisce quindi per la seconda volta violenza, avviene nei procedimenti soprattutto di separazione” osserva la ex giudice di Corte di Cassazione.
“Dietro alla vittimizzazione secondaria, l’autore, il maltrattante, l’abusante è un autore seriale a vittima infungibile. Quando entra nel processo la donna diventa una vittima aspecifica.
A queste donne che presentano denunce vengono fatte domande scomode, intrusive, insinuanti, addirittura si sottende che la vittima menta, oppure esageri per avere attenzione e, quindi, la donna molte volte prende consapevolezza, coscienza della violenza in modo graduale”.
Il ciclo della violenza
“Alterna momenti di tensione e momenti anche di riappacificazione e questo per i pubblici ministeri è snervante, perché istruiscono il procedimento e poi magari la donna ritira la querela, il cosiddetto ciclo della violenza. Il marito, l’uomo le fa violenza, la picchia, poi si pente, le manda un mazzo di fiori, le rose rosse, piange e la donna si commuove. Questo si chiama il ciclo della violenza e ritorna sempre. Molte volte non si tiene conto del ciclo della violenza e quindi per i pubblici ministeri è snervante, influisce, però, sulla credibilità della donna nelle aule giudiziarie”. Un concetto chiaro che dovrebbe essere sempre preso in considerazione, come pure le minacce e ritorsioni che subiscono le donne e soprattutto i bambini.
“Negli interrogatori poi per sveltire queste pratiche si parla di lite familiare, di litigiosità, di incomprensioni, così derubricando “l’autore del reato ed ” attribuendo una minore importanza invece agli episodi di violenza.
Nelle aule giudiziarie la donna viene interrogata sul suo comportamento, sulle sue abitudini anche sessuali, deresponsabilizzando contestualmente chi le ha fatto del male”.
Anche nelle sentenze, non in tutte, precisa Mirella Agliastro, vengono riportate espressioni quali “dolo d’ impeto, scatto d’ira, gelosia, esplosione di rabbia, tutti i concetti stereotipati e utilizzati spesso nei resoconti del giornali”.
Molto spesso anche nelle relazioni degli assistenti sociali e dei consulenti tecnici d’ufficio, per il diritto alla bigenitorialità, le situazioni di violenza vengono “ricondotte al mero conflitto di coppia, questo incide pure”.
Le fonti di vittimizzazione secondaria
“La prima fonte di vittimizzazione secondaria è l’aula di giustizia, l’audizione della donna, l’esame dibattimentale ed il contro esame.
Nel controesame gli avvocati spesso dilaniano la donna facendo domande rozze, insidiose e chiedendo di mettere in piazza la sua vita personale e familiare, e quindi, questa donna subisce per la seconda volta la violenza, sotto altra forma.
Quando si tratta di vittime vulnerabili l’audizione avviene in maniera protetta – ci spiega la giudice – , però c’è un trapezio di discrezionalità da parte del giudice, il quale può decidere se si tratta di una testimonianza decisiva e, quindi, richiedere l’audizione per l’ennesima volta della donna”.
Questa discrezionalità – secondo la Agliastro – compromette pure l’effettività di tutela delle donne.
“Altra fonte di vittimizzazione sono le omesse protezioni” e chiarisce che l’ordinamento prevede l’allontanamento da parte della PG in flagranza di reato di violenza e di maltrattamenti, oltre ad altri provvedimenti, “quali l’arresto in flagranza, l’ordine di allontanamento, divieto di avvicinamento da parte del pubblico ministero dai luoghi frequentati dalla persona offesa; arresti domiciliari fino al carcere. Anche qui è rimesso alla discrezionalità del magistrato.
Ulteriore fonte di vittimizzazione secondaria è l’eccessiva durata dei processi, in spregio del principio costituzionale della ragionevole durata del giusto processo. Questi processi durano moltissimo rispetto alla tutela che devono offrire”.
Ed ancora – prosegue la Agliastro – altra fonte di vittimizzazione secondaria sono i mass media, atteso che già le donne vivono condizioni di vulnerabilità, sono fragili psicologicamente, “ma l’intrusione dei media molte volte negli aspetti più intimi della vita privata della donna dà proprio il colpo di grazia a queste donne che si vedono spiattellare la loro vita soprattutto sui social”.
Come ulteriore vittimizzazione cita “la cosiddetta terziaria, ossia quando l’autore rimane ignoto, oppure viene assolto, quello è proprio lo sfacelo totale per la donna”.
L’audizione da parte dei pubblici ministeri dovrebbe essere svolto “nel più breve tempo possibile”, come pure “l’adozione di misure coercitive necessarie, misure patrimoniali ed escussioni personali in modo protetto”.
Un passaggio lo dedica al codice rosso “che ha fatto molto, ma molto dipende anche dalla sensibilità dei singoli”.
Un ultimo riferimento la magistrata lo dedica alla riforma del processo civile e penale, “la nuova disciplina in materia di famiglie e minori. Questa urgenza, sensibilità è stata spinta dal fatto che se non avessimo adottato queste riforme, non sarebbero state date delle somme da parte del PNRR, quindi è diventata una urgenza” (affermazione che ha meritato l’applauso del pubblico in sala).
L’ultima riforma del diritto di famiglia, fa notare la Agliastro, risale al 1975, quindi a 47 anni fa.
Un riferimento che le sta a cuore è che con la nuova riforma “l’ascolto del minore sarà riservato esclusivamente al giudice togato, mentre prima era delegato ai giudici onorari, dei collegi minorili, che non sono attrezzati giudiziariamente per le sentire il minore. Adesso invece c’è l’obbligo e poi entro un termine molto stretto il giudice deve decidere le misure da adottare, come l’allontanamento.
Ci sono stati dei giudici (ci pensa, riflette) pavidi – una parola che ha un suo significato forte ed intrinseco- che hanno preso decisioni impopolari in procedimenti de proteste e a volte quelli che dispongono l’allontanamento del minore della famiglia. Giudici che sono portati ad assumere provvedimenti a volte poco incisivi, a volte tenteranno a non decidere, ricorrendo più spesso alla CTU, il cui costo graverà sullo Stato.
“Io giudice pavido non lo sono mai stata” con questa affermazione sottolinea l’esigenza che ogni giudice debba possedere anche la qualità del coraggio e particolare sensibilità, così conclude l’intervento Mirella Agliastro, già giudice di Corte di Cassazione.
Di Giada Giunti