“Giunse a Napoli che era buio, la pioggia battente risuonava nelle strade vuote mescolata al richiamo lontano degli uccelli notturni. Lei, che avrebbe infiammato i cuori di mezzo mondo, il cui nome sarebbe stato urlato e sussurrato da una miriade di bocche esultanti, a quel tempo era una bambinetta timida che dimostrava meno della sua età, tanto era gracile.” Così inizia l’intensa biografia romanzata, scritta da Flaminia Marinaro, giornalista e conduttrice radiofonica; edita da Fazi Editore.
Il libro racconta la storia di Francesca Bertini, una diva del cinema del secolo scorso che ha contribuito alla nascita dell’industria cinematografica grazie alle sue straordinarie qualità artistiche e visionarie. Un cinema diverso da quello odierno. Il romanzo si presenta come una successione di brevi capitoli, quasi fotogrammi, in cui vengono raccontate le esperienze e gli incontri più significativi dell’attrice senza alcuna forma di edulcorazione o enfatizzazione del suo talento. Il suo percorso artistico, audace in certi momenti, l’ha portata dalla recitazione alla regia e infine alla drammaturgia con la stessa abilità dei grandi maestri. Lo scritto di Flaminia Marinaro offre un viaggio coinvolgente attraverso una delle epoche più interessanti della cultura e della politica, grazie ad uno stile scorrevole e ironico ma sempre rigoroso dal punto di vista storico. La protagonista è ritratta con grande personalità, in un racconto che non concede mai tregua al lettore.
Ripercorriamo con l’autrice i tratti salienti di una fortunata carriera, elementi che fanno emergere la figura di una donna forte e determinata non a caso divenuta “l’icona” per un’intera generazione.
Com’è nata l’idea di scrivere un libro sulla vita di Francesca Bertini? Non soltanto un omaggio alla Bertini, alla quale sono stata legatissima, ma il racconto della nascita e dell’evoluzione del cinema, arte innovativa e sorprendente delle immagini in movimento, impensabile fino ad allora e di un’intera generazione di grandi artisti troppo poco ricordati.
Ci racconta com’è iniziata la sua carriera da attrice? La carriera di Francesca nasce dall’incontro fortunato con Maria Scarpetta, figlia maggiore di Eduardo. Elena Saracini Vitiello si trasferisce da Firenze a Napoli quando era ancora molto piccola e finisce in classe di Maria all’Istituto Edmondo de Amicis. Maria è un tipo spigoloso e schivo, la prende in giro per il suo cognome, si concede difficilmente ma quando scoprono di avere in comune una storia familiare complicata, diventano amiche per la vita.
Francesca Bertini è lo pseudonimo di Elena Saracini Vitiello, cosa o chi ha spinto l’attrice a cambiare nome? È Eduardo a darle il nome d’arte di Francesca Bertini. Succede durante la cena di fidanzamento di Maria con Mario Mangini. Gli artisti si riconoscono tra loro e quella sera per la prima volta Eduardo vede in lei un quid particolare, oggi diremmo l’X Factor.
In cosa si diversificava, rispetto alle colleghe dell’epoca per acquisire l’appellativo di “diva”? È un’attrice che si è costruita da sola, con l’orgoglio di non aver dovuto dire grazie a nessuno, tanto meno a un uomo. Ha lavorato molto su stessa e sulla sua recitazione, ha studiato, ha rischiato, ha interpretato, diretto, allestito, scritto sceneggiature. È stata un’artista a 360°, “Diva” è un neologismo inventato per lei, in lei si incarna l’idea di diva, dopo di lei la cinematografia si è adattata a parametri diversi.
Perché possiamo considerare la Bertini “l’ultima diva” del cinema muto? Finché ha imperato il cinema muto la Bertini era la regina incontrastata dello schermo. Amata, emulata, a volte odiata ha segnato un’epoca cinematografica. L’avvento del sonoro e del nuovo tipo di cinepresa e di ripresa, dal campo lungo al primo piano, dalla recitazione plateale, esagerata, fatta gesti teatrali e sguardi prensili a un cinema sempre più realista fanno scivolare lei e tutti gli attori di quel periodo in una sorta di oblio.
Francesca viene chiamata anche la “diva delle tende” ci spiega il perché? Dai suoi maestri e poi a lezione di recitazione da Ugo Falena, celebre regista teatrale, impara a muovere il corpo nello spazio scenico. Durante le riprese del “Re Lear” a Rimini, con Ermete Novelli, mostro sacro del teatro italiano, incalzata dall’attore inizialmente deluso dalla presenza della giovane attrice, Francesca cerca un modo per conquistarlo. Mette in pratica i consigli di Falena e d’istinto si aggrappa alle tende spesse della porta finestra, ondeggia da una parte all’altra come una libellula. Ce l’ha fatta! Novelli la guarda estasiato, il pubblico tuona in un applauso.
Che rapporto c’era fra la sua famiglia e Francesca Bertini? È stata molto amica dei miei genitori, per me era un’altra nonna, la chiamavo Zia Checca.
Com’è riuscita a ricostruire passo per passo la vita della Bertini, nonostante lei l’abbia conosciuta, è stata la stessa che si è raccontata oppure è stato un lavoro postumo? Adorava raccontare la sua vita strabiliante a noi ragazzini, l’ha raccontata centinaia di volte e ogni volta in modo diverso e accattivante. Ha riscritto la sua vita mille volte e questo romanzo è uno dei suoi racconti, forse la storia che le piaceva di più, un po’ vissuta e un po’ immaginata.
Lei che l’ha conosciuta, pensa che sia stata una donna felice? Diceva che bisognava sempre indossare una maschera e recitare, perché non serve annoiare gli altri con i nostri problemi. È stata attrice fino al midollo. Non avrebbe mai tradito infelicità, non era nelle sue corde ma ha avuto una vita bellissima quindi perché non avrebbe dovuto esserlo!
Concludendo, ci lascia con un piccolo aneddoto sulla Bertini? Quando lasciò Venezia – dopo una stagione dorata e fastosa al fianco di Giuseppe Volpi di Misurata, non ammise che se ne andava perché la loro storia era finita e lui si era invaghito di qualcun’altra, ma perché l’umidità della laguna le provocava i reumatismi. Indossò l’ultima maschera di attrice nel ’76 sul set di Novecento con Bernardo Bertolucci. Ironia della sorte doveva interpretare una suora, senza un filo di trucco e senza rossetto. Per giorni si tormentò se accettare o meno quel ruolo, poi prevalse l’attrice.
Eleonora Francescucci