Incontro Germana Galdi in occasione della sua mostra “Drawing in The Kay of Jazz”. Già dal titolo si può intuire il mood di un’artista a tutto tondo capace di vibrare tra pittura e musica. Subito associo la sua arte a Kandinsky – l’uomo che ascoltava i colori – e come lui anche Germana deve molto alla musica. In particolare al jazz come lei stessa racconta, di quando da adolescente si sentì travolta da una folgorante Ella Fitzgerald.
Una rivelazione che scuote le corde della sua anima e che segna l’inizio di un lungo percorso artistico ed espressivo, in uno scambio emozionale tra suoni e colori. Germana ha una personalità eclettica. Artista poliedrica, nella sua produzione è un’instancabile sperimentatrice che da sempre esplora linguaggi diversi con splendida leggerezza, dalla pittura alla fotografia, al linguaggio del corpo.
Ho voluto farle qualche domanda per anticiparvi non solo la sua trentennale ricerca nell’affascinante rapporto che intercorre tra arte e musica, ma anche per raccontare
una mostra raffinata al ritmo di jazz – che ho avuto il piacere di curare – dove la musica e la pittura creano connessioni inaspettate. Adesso tocca a voi scoprirla in questa intervista …(e anche a Roma
dal 15 al 22 aprile presso gli spazi di
Micro.)
INTERVISTA A GERMANA GALDI. RITMO, SUONO E COLORE
“Drawing in The Kay of Jazz”. Solo il titolo di questa mostra meriterebbe una spiegazione. Ce ne vuoi parlare?
Da ragazzina, ad ogni ascolto sento visceralmente delle sensazioni intense ed è questo che mi interessa trasmettere, al di là della mia cultura sul tema, o se abbia mai suonato uno strumento. E’ il mio vissuto che desidero condividere.
Perché omaggiare il Jazz?
Il jazz a mio parere ha da sempre un fascino particolare, mi ha sempre suscitato emozioni variegate che includono la sensualità, il tormento, il vivere certe atmosfere di particolare attrattiva e complessità. Lo associo allo charme del bianco e nero, al vivere di eccessi e all’intensità di personalità di grandi geni.
Qual è stata la genesi di questo progetto?
Mi fu regalata una cassetta di Ella Fitzgerald in adolescenza da una cara amica, che mi trasmise la sua enorme passione per il jazz. Poi per nove anni ho avuto una relazione con un jazzista di professione e inevitabilmente quel mondo mi è rimasto dentro.
Il tema portante della mostra, quindi, è la musica. In che modo condiziona il tuo processo creativo?
Fa parte del quotidiano e particolarmente durante le fasi creative, sia pittoriche che fotografiche di shooting, per meglio far fluire idee e sensazioni.
Queste opere sono state eseguite tutte nello stesso arco temporale?
Nel 1996 iniziai il filone “Riflessi e trasparenze” e l’idea era già in me. Feci tuttavia il primo astratto nel 2018 che associai al meraviglioso album “Kind of blue” di Miles Davis. In seguito ho prodotto un diverso astratto ricordando il trombettista Aldo Bassi con il quale collaborai. Diedi seguito agli acquerelli perché soprattutto desideravo immortalare con il figurativo alcune ambienti di incredibile attrattiva.
Tutti abbiamo dei maestri. Chi sono i tuoi?
I grandi fotografi, registi, i divi di Hollywood, la personalità di artisti originali che hanno fatto la differenza. Ho una visione estesa rispetto a questo tema.
Qual è il tuo background artistico?
Sono sempre stata affascinata dal capire cosa determina il comportamento e lo studio delle personalità, come sapere chi c’è dietro ad un’opera di qualsiasi forma espressiva. Ho oltre quindici anni di gruppi di Costellazioni familiari di Hellinger e alcuni di lavoro di gruppi di crescita personale Gestalt alle spalle, che mi hanno portato a concludere un Master in Art Counseling. Il lavoro interiore a 360° per me è fondamentale poiché con la propria arte un creativo dovrebbe trasmettere sane emozioni, e ciò lo può fare solo se è in costante contatto con le proprie emozioni ed ha acquisito consapevolezza di sé stesso.
Oltre che artista sei anche una ginnasta, e ti esprimi con il corpo. Nella vita cos’altro avresti potuto essere?
Con il vuoto di aver perso i miei nonni prematuramente ho lavorato molto per riconoscermi, e sono consapevole di essere molte cose, se pure l’occasione ha avuto difficoltà ad arrivare, la cerco costantemente. Tuttavia il tema di fondo non è cosa per me, ma il quando.
Quanto è cambiato il tuo stile rispetto al passato?
Molto, perché ho trovato nel tempo il modo di esplorare vari stili e forme espressive con diversi materiali mettendomi in discussione in modo significativo e mi auguro di seguitare.
In questa mostra hai voluto affiancare le performance live di due musicisti di grande talento: Nicola Mingo e Theo Allegretti. Ci spieghi i motivi di questa scelta?
Semplicemente perché con loro ho un feeling che ha permesso questa naturale interazione.
La tua biografia è piuttosto variegata. Come ti definisci?
Una donna con un DNA che mi definisce totalmente. L’oreficeria di un tempo, la scultura, la sartoria, questi alcuni geni che mi porto dentro da quattro nonni artisti e un padre orafo, poliedrico, definito geniale. Mia mamma lavorò quarant’anni alla Lancio dei fotoromanzi, e inevitabilmente anche la fotografia ha avuto la sua importanza.
Cosa ti aspetti da questa mostra?
La condivisione e l’occasione di farmi conoscere in modo più ampio e dopo oltre venti anni in modo più “ufficiale”.
L’ultima domanda è di rito. C’è qualcosa che non ti ho chiesto che vorresti dire?
Che ho un marchio registrato che fu disegnato da mio padre e che ho iniziato a produrre anche qualche capo di abbigliamento.