AGI – “La dicitura corretta è Garante delle persone private della libertà personale, questo perché oltre alle carceri la competenza è sui Centri per i rimpatri di Ponte Galeria, sulle persone in trattamento sanitario obbligatorio quindi è più ampio”. Inizia con una precisazione l’intervista a Valentina Calderone, la nuova Garante delle persone private della libertà personale di Roma Capitale, nominata dall’Assemblea lo scorso 16 marzo: “La mia elezione è stata la prima dall’istituzione del Garante perché è cambiato il regolamento. Prima la nomina era fatta direttamente dal sindaco e adesso c’è l’ok dell’Assemblea capitolina. Questo dà ulteriore forza alla figura del Garante e al suo ruolo”.
Con l’AGI Valentina Calderone traccia un bilancio di queste prime settimane di lavoro. “Il primo mese è stato di avvicinamento a queste realtà, che già conoscevo molto bene. Sono andata a presentarmi in veste ufficiale alle direzioni. Penso che questo lavoro sia di collaborazione con i vari enti e istituzioni che ruotano intorno a questo mondo. La prima cosa su cui ho deciso di lavorare è portare gli uffici anagrafici all’interno dei penitenziari. Le persone private della libertà hanno una serie di impossibilità ad accedere a servizi che sono basilari che sia una richiesta di residenza, una carta d’identità, un estratto di nascita. Questioni che per noi sono scontate, per chi è ristretto non lo è per niente – spiega la Garante -. Nel corso degli anni il tema dei servizi anagrafici è stato affrontato varie volte, quello che vorrei fare io in collaborazione con questa amministrazione è istituzionalizzare gli sportelli anagrafici all’interno agli istituti. Allargare la maglia dei diritti per le persone detenute è sicuramente un mio compito”.
Le carceri sovraffollate
Quella del sovraffollamento delle carceri di Roma “è una situazione abbastanza preoccupante nei quattro complessi di Rebibbia tra cui quello femminile, che è l’istituto femminile più grande d’Europa, Regina Coeli e il minorile di Casal del Marmo. Sono istituti molto diversi, ma il dato certo è che c’è un sovraffollamento superiore alla media nazionale. C’è una percentuale ancora maggiore – spiega Calderone – di persone straniere e questo per esempio apre un gradissimo tema rispetto alle persone che perdono durante la pena la possibilità di avere un permesso di soggiorno, di rinnovarlo, di avere una regolarità sul territorio, precludendo loro la possibilità di avere accesso ai servizi. C’è poi la realtà di chi entra in carcere entra già malato o si ammala nel corso della detenzione. Abbiamo dunque un tema sanitario molto importante come pure lo è quello della salute mentale che è molto forte. La domanda ricorrente è se il carcere sia il luogo in cui ci si può prendere cura di queste patologie”.
La Garante poi parla della situazione di Regina Coeli “che è una casa circondariale in cui non dovrebbero esserci persone con condanne definitive. Invece sono presenti almeno 200-300 detenuti che scontano pene definitive e molto lunghe. Questo non è un carcere strutturato con spazi per il reinserimento. Si sommano tanti problemi. È un vecchio monastero trasformato in carcere, con una capienza massima di circa 630 posti quando invece sono ospitati oltre 1000 detenuti. Ci sono sezioni davvero malconce dal punto di vista della struttura, delle pareti, degli impianti idrici e della mancanza di riscaldamenti. Dovremmo porre anche l’attenzione sul fatto che ora in carcere ci sono molte persone che lì non dovrebbero starci e potrebbero essere destinatarie di altro tipo di misure. Davvero tutti hanno bisogno di una misura inflittiva come quella del carcere? I dati ci dicono di no”.
Le richieste dei detenuti
“Le questioni anagrafiche sono centrali. Poi la situazione del carcere ti mette nelle condizioni di dover chiedere ogni cosa. Ogni tua esigenza passa attraverso una richiesta, oltre ad essere una perdita di libertà è anche una perdita di autonomia – aggiunge la Garante -. Poi purtroppo c’è, come dicevo prima, un grande tema sanitario. Siamo in un momento in cui Roma ha una grossa emergenza legata alla carenza di personale di polizia che si occupa di traduzioni, quindi di chi si occupa dello spostamento dei detenuti per motivi giudiziari o per ragioni di salute. Sono talmente pochi gli agenti che spesso le visite mediche programmate saltano. Sicuramente va rivista l’adeguatezza di questo nucleo traduzioni perché evidente che sia insufficiente per coprire la popolazione carceraria che ha delle esigenze di cura molto importanti”.
Tra i detenuti non tutti se la passano alla stessa maniera, gli stranieri stanno sicuramente peggio. “La percentuale di stranieri nelle carceri viaggia tra il 30 e il 35 per cento – rivela la Garante -. Questi numeri ci raccontano un’ulteriore verità: che le persone straniere sono peggio rappresentate dal punto di vista legale, la mancanza di domicilio e/o di residenza impedisce loro di avere accesso a misure alternative alla detenzione. La sovradimensione non è dovuta a una maggiore delinquenza, ma a minori opportunità”.
Le prigioni femminili
“Io penso che il carcere non sia fatto e non sia strutturato per le donne. In Italia non si raggiunge mai il 5 per cento della popolazione detenuta, capiamo già che si tratta di una percentuale residuale. La condizione carceraria per le donne è più afflittiva, hanno più problemi di adattamento e questo provoca un aggravio psicologico – spiega Valentina Calderone -. Per fortuna, dal Covid in poi, il fenomeno della presenza dei figli in carcere si è andato riducendo. L’ultima volta che sono stata in visita c’erano solo due donne con i figli minori. Da anni ci sono stati tentativi vari, anche con proposte di legge, per fare in modo che madri detenute con figli al seguito avessero un’altra sistemazione o un diverso percorso ma senza esito. Questo è un fenomeno da monitorare”.
Ma non c’è solo la tematica legata ai penitenziari, l’agenda della Garante contempla anche la situazione dei migranti trattenuti nei Cpr. “In Italia ci sono 13 Cpr, nel Lazio solo uno, quello di Ponte Galeria che ospita una novantina di persone. È l’unico Cpr in Italia ad avere una sezione femminile che ospita cinque donne. Se in generale i posti per le donne in tutta Italia sono cinque mi chiedo se non ci sia un’altra sistemazione per loro. Questa è una delle miopie del sistema, perché non si capisce quale sia il senso di trattenere cinque donne irregolari in strutture così – chiarisce Calderone -. La maggior parte delle persone ospitate nei Cpr fa fatica a capire il motivo del trattenimento, non è inusuale trovarsi davanti a persone che entrano ed escono dai Cpr”.
“L’altro tema poco affrontato è che spesso vengono trattenute persone provenienti dall’ex Jugoslavia, spesso rom che magari sono nati in Italia, ma sono senza documenti e cittadinanza. Persone che non hanno alcun contatto con i consolati e però si continua a non fare un ragionamento sulla regolarizzazione di queste persone, che sono poche migliaia sul territorio nazionale”.
In generale tra Cpr e carcere sembra che quelli che soffrono di più siano gli stranieri per una carenza del sistema. “C’è una carenza in tutti i servizi per quanto riguarda la mediazione culturale. Recentemente all’interno dell’amministrazione penitenziaria sono stati inseriti i mediatori culturali. Ovviamente all’interno dei Cpr i mediatori sono da sempre parte dello staff – spiega la Garante -. Sia nelle carceri che nei Cpr c’è anche gente che ha subito mancanze e ingiustizie, parliamo di un’assenza della capacità di integrazione e non di grandi criminali. A volte può succedere che per sostentarsi si possa commettere qualche reato. In questi luoghi si ha la fotografia di quello che è mancato per avere una integrazione adeguata”.
Francesca Ruggiero