La signora Giada, un genitore amorevole ma considerato un po’ “strano” dalle relazioni – sempre sopra le righe, per usare un eufemismo – di alcune assistenti sociali della Città Metropolitana di Roma, lotta da anni nell’interesse dei propri bambini, allontanati da casa per presunte accuse di discuria (carenze di cure genitoriali), da sola contro un sistema di affidi e adozioni che sovrasta genitori in condizione di isolamento e/o debolezza economica e li colpevolizza senza consentire loro neppure di potersi difendere.
Le modalità che hanno fatto diventare la categoria degli assistenti sociali “infedeli” una sorta di minaccia generica per adulti e bambini sono ormai ben conosciute: ricevono una segnalazione da persone non degne di fede (perché in conflitto con la famiglia interessata, o perché semplicemente malevoli) o dalla scuola, accusano il genitore di maltrattamento e/o incuria sui minori, non trasmettono alcuna notizia di reato alla Procura, il fascicolo che racchiude le relazioni dei servizi viene inviato al Tribunale per i minorenni bypassando quello ordinario civile o penale, i documenti vengono secretati o resi inaccessibili ai genitori che, in questo modo, possono subire un provvedimento inaudita altera parte (senza preavviso né contraddittorio) e non possono opporsi al prelievo forzoso dei figli che avviene di solito presso la scuola (all’insaputa dei genitori) o, in alcuni casi, presso l’abitazione familiare con l’ausilio delle forze dell’ordine. In quella fase, il genitore non ha diritto al contraddittorio, perchè di fatto viene nominato un curatore e lui viene trattato come “soggetto pericoloso”.
Il sistema, com’è noto, si basa su una stretta collaborazione tra servizi sociali e case famiglia, ossia enti privati in evidente conflitto di interesse – la retta giornaliera incassata dagli enti locali varia da 75 a 200 euro al giorno – a cui viene incredibilmente dato il potere di confermare, nelle loro relazioni inviate al Tribunale, l’esistenza di svariati “traumi” sui minori, mai verificati e tutti sempre attribuiti alle condotte dei genitori. Tali relazioni, tuttavia, altro non sono che relazioni postume, senza alcun accertamento concreto da parte di consulenti dei genitori, cui è impedito di effettuare qualunque attività di contro-verifica.
I minori, così, possono stare in una casa famiglia che fa gravare sulle finanze locali (in questo caso sulla Città Metropolitana di Roma) costi quotidiani elevatissimi, all’interno di un sistema che ha tutto l’interesse ad allungare il periodo di “ricovero” dei minori “traumatizzati”, privati del tutto dei propri rapporti parentali e di cura, ben al di sopra del periodo previsto dalla legge 184 dell’1983 che in caso di intervento del servizio sociale e di allontanamento dei minori dal nucleo famigliare dispone di realizzare ed effettuare, massimo entro due anni, un progetto concreto di rientro e supporto della famiglia. Ebbene, tale progetto non viene quasi mai effettuato dai servizi sociali, con l’aggravante che nessuno controlla e nessuno – neanche il tribunale dei minorenni – lo pretende: è sufficiente che il binomio assistenti sociali-case famiglia dichiari che non ci siano i presupposti, e nulla accade.
In questa storia drammatica, il servizio sociale nel suo complesso ha raggiunto il risultato che non solo sono stati allontanati i figli dalla madre, ma allo stato i fratelli (sono 4) dopo l’intervento pubblico non hanno più rapporti tra di loro, mentre prima li avevano. Le relazioni e segnalazioni sono sempre le stesse, “il minore è traumatizzato” alla vista della mamma, la quale però non si arrende e tramite il nuovo difensore tenta il tutto per tutto, a spese proprie, fa analizzare tutti i video e le registrazioni effettuate anche quando si è recata a vedere fuori dalla scuola uno dei figli, il più grande.
E così, quello che nella relazione degli assistenti sociali è stato descritto come un atto proditorio e invasivo, che avrebbe fortemente “traumatizzato” il minore, si rivela essere una bufala, dal momento che il brevissimo incontro si conclude con una frase del figlio che è la prova più classica delle verità sottaciute: “Ciao Mamma. Ti voglio Bene”.
Il difensore della madre, Avv. Rita Ronchi, presenterà in data 22 maggio 2023 le trascrizioni al Tribunale per i Minorenni di Roma, richiedendo al Tribunale di rivalutare il caso complessivo dei quattro fratelli divisi. “Abbiamo già evidenziato in atti la violazione di legge della procedura caratterizzate dell’eccesso di delega e di affidamento a soggetti non legittimati ad emettere giudizi anche clinici, tanto che il Tribunale ha concesso termine per il deposito di memorie difensive; oggi si aggiunge il profilo della obbiettiva omissione e descrizione falsata di un fatto invero molto bello come quello di un figlio che vuole bene alla mamma. Il problema risiede tuttavia nell’assenza di controllo della spesa pubblica, da parte dell’autorità giudiziaria, relativa all’inserimento di minori presso le case famiglia o comunità private. E’ un circolo vizioso, in base al quale il soggetto che beneficia dei fondi pubblici è il medesimo che dichiara sussistenti le condizioni per continuare l’inserimento del minore presso la struttura privata”.
Sarebbe utile che la Città metropolitana di Roma si pronunciasse e chiarisse la propria posizione su questo caso, che verrà esaminato da svariate associazioni a tutela dei minori e presto verrà portato all’attenzione del Ministero competente.