Correva l’anno 1745 quando, in una Francia al culmine del periodo illuminista, usciva il Trattato dell’anima di Lammetrie che si rivelò essere uno dei libri più materialisti della storia del pensiero filosofico nel quale, durante il periodo in cui ci si vantava di appartenere all’epoca della ragione, si palesava l’esaltazione dei sensi e la meccanicità dell’aspetto psichico a svantaggio della razionalità.
Su questo stesso sentiero iniziarono a camminare anche il tedesco Dietrich von Holbach, che nel 1770 pubblicò quello che fu definito “La Bibbia del materialismo”, ovvero il suo libro intitolato il Sistema della Natura, ed il medico inglese David Hartley il quale, nelle sue Osservazioni sull’Uomo, si spinse ancora oltre affermando, sempre rimanendo nell’ambito delle sensazioni, la predominanza di quella che fino a quel momento era considerata la meno nobile di tutte: il tatto.
Nella disputa illuminista tra i sostenitori della ragione ed i partigiani dei sensi, si inserì una terza via, quella del sentimento, della quale Rousseau fu un tenace paladino, destinata a diventare il fulcro centrale del futuro pensiero romantico.
Nello stesso periodo in Svezia, in cui il sentimento e la malinconia iniziavano sempre di più ad albergare nelle opere letterarie, uno degli uomini più importanti, sia a livello politico che scientifico, Emmanuele Swedenborg, preso da una crisi mistica, decise di abbandonare ogni incarico per dedicare il resto della sua vita alla filosofia della religione.
“Il Signore si è rivelato a me, suo servitore, nell’anno 1745 e mi ha aperto gli occhi sul mondo spirituale. Da quel giorno sino ad oggi egli mi ha conferito il potere di comunicare con gli spiriti e con gli angeli. Da allora ho voluto render pubblici i diversi arcani che mi sono stati manifestati e rivelati. Inoltre, su altri argomenti importanti per la salute e la saggezza degli uomini, ad esempio sul cielo, sull’inferno e sullo stato degli uomini dopo la morte”, così scriveva Swedenborg in una lettera a Hartley dove spiegava le motivazioni della sua decisione.
Un anno prima di morire, nel 1771, pubblicò la sua opera Vera Christiana Religio in cui presentò una diversa visione dell’inferno, molto più umana rispetto a quella dantesca. I peccatori non sono più sottoposti a pene e tormenti in proporzione dei loro peccati, come narrato nella Divina Commedia, ma sarebbero condannati a vivere la stessa vita che vivevano sulla Terra la quale è ritenuta sempre di livello più basso rispetto alla beatitudine celeste e quindi spregevole.
Da questo si evince come l’Inferno descritto da Swedenborg diviene un luogo caratterizzato non da una esigenza di giustizia ma da contrastanti alternanze di umana simpatia e sentimento religioso.
Non desta nessuna meraviglia il fatto che la Vera Christiana Religio riscosse subito un grande successo in Svezia nonostante, in quel periodo, gli svedesi sembravano apprezzare maggiormente gli scritti ed il pensiero del francese Rousseau ed il fatto che in Francia fosse praticamente un personaggio isolato e poco considerato nei centri culturali, non ne sminuì affatto l’importanza e la considerazione ma, anzi, la rafforzò.
In conclusione, per ben comprendere l’evoluzione filosofico letteraria svedese, ecco una bellissima e melanconica ninna nanna del poeta Bellmann che ben rappresenta i diffusi sentimenti dell’epoca :
“Piccolo Carlo, dormi dolcemente in pace!
Hai tempo per svegliarti.
Hai tempo per vedere questa nostra triste epoca,
e i suoi sterili gusti.
Il mondo è un’isola di guai:
appena si respira, già si muore,
e si ritorna terra”
TRISTANO QUAGLIA