Ce l’ha fatta il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, per la prima volta costretto al ballottaggio dallo sfidante Kemal Kilicdaroglu. Il leader turco ha vinto con il 52.14% delle preferenze, il rappresentante dell’opposizione si è fermato al 47.86%. Tra i due un divario di 2.3 milioni di voti, erano stati 2.5 milioni al primo turno di 2 settimane fa. Leggermente più bassa, ma comunque altissima l’affluenza, 83.6%, al primo turno era stata dell’88%.
Segnale evidente di un Paese di 83 milioni di abitanti, dove gli aventi diritto di voto sono 64 milioni e che nella partecipazione ci crede e non rinuncia al proprio diritto di voto.
“Governeremo il Paese per i prossimi 5 anni a Dio piacendo. Ci meriteremo la vostra fiducia. Oggi l’unico vincitore è la Turchia“, ha detto il presidente alla folla in delirio radunatasi dinanzi la sua casa di Istanbul. Erdogan ha poi attaccato Kilicdaroglu e arringato la folla accostando i partiti che lo hanno sostenuto di essere Lgbt. Una caduta di stile che andava evitata, ma che al suo popolo piace, purtroppo. Il segno evidente di un Paese spaccato in due.
A voltare le spalle a Erdogan sempre la costa Egea e Mediterranea, ma anche le grandi città come Istanbul e Ankara, dove la maggioranza della gente ha una visione ben diversa da quella della gente dell’Anatolia e del Mar Nero, che lo adora, lo vota in massa ed è pronta a perdonargli tutto. Il presidente turco ha dominato anche nelle aree colpite dal devastante sisma dello scorso 6 febbraio. Il sud est a maggioranza curda ha visto un leggero vantaggio a favore di Kilicdaroglu, che era sostenuto dai filo curdi di Hdp, ma ha perso voti in seguito alle alleanze concluse con gli ultranazionalisti tra il primo e il secondo turno.
Di sicuro dalle urne viene fuori un Paese spaccato in due con un solo uomo al comando. Il ballottaggio di oggi in Turchia, è stato il primo nella storia di un Paese che ancora una volta ha dato fiducia all’uomo che, prima da premier e poi da presidente ha imposto la propria figura, leadership e linea politica per 20 anni ed è destinato a rimanere al potere fino al 2028.
Numeri che lasciano indietro l’indimenticato padre della Turchia laica, secolare e repubblicana, Mustafa Kemal Ataturk. Un sorpasso di cui il popolo turco è consapevole e proprio per questo la fiducia riposta nel presidente in carica assume un valore ancora maggiore. Eppure Erdogan fino alle elezioni del 2015 ha governato da solo con il suo partito Akp, da allora in poi in coalizione e fino a oggi ha continuato a perdere consenso, senza tuttavia che questa perdita fosse sufficiente a porre fine al suo impero.
La fiducia in Erdogan, il timore di metà della popolazione di ritrovarsi senza una guida in un Paese in perenne emergenza sono state le chiavi della vittoria, ieri e oggi. Fiducia e timore che hanno prevalso al fotofinish sulla voglia di cambiamento di cui si è fatto carico lo sfidante, Kemal Kilicdaroglu a cui non sono bastati l’inflazione, l’economia a pezzi e la carta nazionalista e anti migranti per detronizzare un leader che, nel bene e nel male, ha segnato per sempre la storia di questo Paese.
Anche la crisi economica, la perdita di valore della lira turca, il caro vita,problemi arrivati alla pancia del Paese si sono tramutati in una perdita di voti non sufficiente a farlo perdere, perchè nella maggior parte della popolazione è rimasta forte la percezione che nessuno meglio di lui possa risolvere i problemi. Al termine di una campagna elettorale di basso profilo, caratterizzata da un inaspettato equilibrio nei manifesti e nello spreco di volantini Erdogan si riconferma nel nome della continuità.
F.B.