AGI – Silvio Berlusconi, che oggi si è presentato al trono di quell’Altissimo cui tante volte ha dato segno di sentirsi molto prossimo, è uno dei pochi italiani che hanno segnato di sé la propria epoca. Ci azzardiamo ad indicarne altri due, perché di più non riusciamo a trovarne negli annali: Alcide De Gasperi e Benito Mussolini. Nel bene o nel male, l’Italia sarebbe stata diversa senza di loro e lo stesso vale per Berlusconi Silvio, nato a Milano, classe 1936 (in quel momento, sia detto per inciso, Mussolini impazzava nelle piazze mentre De Gasperi tagliava il formaggio alla mensa della Biblioteca Vaticana), imprenditore, creatore di imperi massmediatici, fondatore di partiti, presidente di consigli, viveur impenitente, frequentatore di cene eleganti, patron di squadre di calcio le più forti del mondo allora conosciuto. Anzi, dell’Orbe Terraqueo.
Diceva una volta Indro Montanelli: gli italiani hanno tutti due idee fisse, la prima è la sfortuna e la seconda Napoli. Poi al loro cospetto comparve Berlusconi e per un trentennio buono nel Paese non si è parlato d’altro: tutti a pensare solo a lui, a domandarsi delle sue intenzioni, a scommettere sulle sue mosse nemmeno fosse stato Richelieu al centro del pranzo di Don Rodrigo con Attilio e l’Azzecca-garbugli. Lui ne era senz’altro lusingato, vista la sua indole. Quanto a Montanelli, non si accorse per tempo del mutamento in corso e ci rimise la direzione de Il Giornale.
Ora, Richelieu – con rispetto parlando – forse è troppo, come inaccostabili gli sono anche De Gasperi e Mussolini, ma ciò non toglie che, a volgere all’indietro il nastro della nostra storia recente come fosse Matrix, le vicende della cosiddetta Seconda Repubblica divengano riassumibili con una definizione: l’Era Berlusconiana. Gli altri sono tutti comprimari e meteore, compreso quel Prodi che pur si tolse lo sfizio di batterlo due volte nelle urne.
Prodi, il PdS ed i suoi derivati, i suoi alleati più o meno fedeli e financo i suoi avversari più irriducibili, tutti insomma altro non hanno fatto se non brillare di luce riflessa, giustificando la loro stessa esistenza in politica o negli affari con l’essere a favore o no dell’uomo di Arcore. Il quale, a sua volta, poteva allora credersi autorizzato a sentirsi il Sole di un sistema post tolemaico in cui anche gli astri avevano segnata una nuova orbita da seguire.
C’è chi dice che tanta fortuna personale, politica e negli affari, avesse radici occulte: di lui in effetti si è parlato come iscritto alla P2, o datore di lavoro di stallieri dalle dubbie frequentazioni. Esistono, in diversi casi, anche delle sentenze passate in giudicato. Ad esse rimandiamo per un giudizio che non può che essere approfondito e complesso, quindi troppa roba per queste poche righe. Ci limitiamo a ricordare che esiste sempre un Lato Oscuro della Forza, e che anche la Luna ha la sua faccia nera. Se poi ce l’ha la Luna, figuriamoci il Sole.
A guardar bene, per capire la figura e le opere di Berlusconi o almeno avere una chiave di lettura che non sia schiacciata su un facile dualismo alla Coppi contro Bartali, conviene sfogliare l’ultimo grande romanzo di Melville, “The Confidence Man”: L’Uomo di Fiducia (le traduzioni italiane, tagliate con l’accetta, non fanno giustizia alla finezza del titolo originale e pertanto non se ne tenga conto). È la storia più che di uomo, di un metodo: consiste nel far sentire l’altro a suo agio, rassicurarlo, fargli intravedere un sereno futuro in cui tutti saranno felici. È così che su un battello in navigazione sulle acque del Mississippi uno, due, tre, tanti passeggeri vengono avvicinati da una sola persona dalla voce suadente. Il finale non lo diciamo: primo perché lo spoiler non è cosa educata, poi perché l’ultima parola di questa nostra storia tutta italiana deve ancora essere scritta. Come si dice in questi casi: cosa Egli davvero è stato, lo capiremo col tempo.
L’amicizia con Confalonieri
Possiamo solo dire che Berlusconi era così, fin da ragazzo. Aveva un amico dell’università il cui nome fu garanzia per un’intera vita: Fedele. Fedele Confalonieri. Si misero in testa di fare i palazzinari, e ancor prima di avere tirato su non diciamo un muro, ma una timida fila di foratini già pensavano a vendere tutto quel ben di Dio. Chiamarono la zia di Confalonieri: “Qui c’è la camera da letto, Signora, qui c’è il salotto”, le sussurrava Silvio. E intanto indicava l’erba verde. Lei guardò, si immaginò, parve convincersi. Poi tornata a casa, chiamò il nipote: “Digli al tuo amico che si è dimenticato di progettare il bagno”. Una vecchia Milano che si opponeva inutilmente, nel nome dell’economia reale, a chi già si preparava a vendere la Milano da bere.
Ad ogni modo quello fu l’inizio della sua fortuna, perché i foratini messi l’un sull’altro divennero migliaia, decine di migliaia, milioni di foratini a definire gli spazi dei sogni di uomini, donne e bambini. E qui qualcuno ebbe il colpo di genio. Perché di genio, non fa fatica ammetterlo, si trattava.
La tv
Lo sanno anche i sassi che il Berlusconi televisivo nasce sulle onde cortissime e scalcagnate di una televisione piccola piccola, che stentava a farsi vedere nel raggio di trecento metri da un ripetitore che nemmeno esisteva, o se esisteva guardava dall’altra parte. Lui la prese, perché le qualità imprenditoriali non gli mancavano certo, e ne fece con il passare degli anni un Biscione a tre teste. Lo aiutò non poco Bettino Craxi, che a quell’epoca era segretario del Psi, presidente del Consiglio, Signore di Milano e – nella definizione dell’Economist – l’uomo forte d’Europa. Fu così che Berlusconi subì per la prima volta la fascinazione della politica, e della politica legata all’uso della televisione.
Infatti quando Craxi crollò per via di Tangentopoli, con lo stesso fragore di un Filippo Maria Visconti, Berlusconi ebbe il suo secondo colpo di genio. Altri si sarebbero ritirati dalle scene, lui rilanciò. Anzi, volle tutto il jackpot, e lo vinse.
Dice che in quel momento fosse sommerso dai debiti, e che la sua in realtà fosse la mossa della disperazione. Chissà. Ma se debitore, indubitabilmente debitore di successo fu. Se disperato, seppe nasconderlo bene dietro un sorriso maliardo e una calza di nylon applicata alla telecamera. Fu così che, in tre mesi tre, da gennaio a marzo, passò dal ruolo dell’imprenditore condannato dai tempi a quello di uomo della Provvidenza. Promise un milione di posti di lavoro, un avvenire a colori come le sue televisioni, certezze e sicurezze per tutti. Gli italiani, che avevano assistito con gusto allo sfacelo dei vecchi partiti ma ora si domandavano preoccupati cosa avrebbe portato il futuro, non esitarono un attimo a gettarsi tra le braccia di questo Uomo di Fiducia.
Qui si deve aprire una doppia riflessione: sulle sue televisioni e sui suoi rapporti con la Chiesa cattolica. Le due cose sono distanti, ma solo apparentemente. Avendo tra le mani il più potente strumento di formazione dell’opinione pubblica e della cultura nazional-popolare dopo la Rai, Berlusconi ancor prima di usarlo per la lotta politica lo usò, consapevolmente o no, per cambiare il Paese tutto.
Sarà pure un discorso pedante da fare, ma è innegabile che le sue televisioni – commerciali, commercialissime – abbiano mutato alla radice i costumi e le abitudini degli italiani. Quando nacque la Fininvest, la Rai era ancora quella del cattolico Bernabei (anche lui un genio della comunicazione, sia chiaro). Berlusconi impose nuove regole del gioco (l’Auditel e simili) e nel nome di esse sgangherò la potenza comunicativa della concorrenza, salvo poi impossessarsene con il tempo e plasmarla a sua immagine e somiglianza. Addio Tv dei ragazzi e documentari: all’orizzonte si stagliavano le gambe e non solo le gambe delle ragazze del Drive-In. Secondo un pensatore cattolicissimo come Vittorio Messori, Berlusconi è stato il Grande Scristianizzatore.
Il rapporto con la Chiesa
Ma questo non gli ha impedito di avere a lungo eccellenti rapporti con la Chiesa. Quest’ultima, orfana e carnefice della Democrazia Cristiana, vide anch’essa in quest’uomo, al netto dei suoi innegabili difetti, un Uomo di Fiducia: contro i comunisti (che non esistevano più dal 1989) come contro la secolarizzazione (e qui siamo davvero nell’imperscrutabile). L’idillio durò per decenni, poi una serie di storie poco commendevoli con ragazzotte talvolta scarsamente maggiorenni ruppe l’incanto. Pare che la rottura ebbe inizio perché i parroci presero a lamentarsi di non potere più chiedere ai fedeli la continenza, quando il pubblico peccatore era additato come modello da seguire dagli stessi apici della Conferenza Episcopale.
A ben raffigurare il cortocircuito, quando Berlusconi raccontò una delle sue barzellette su Rosy Bindi condendola questa volta con un’espressione poco lusinghiera verso il Vertice dei Vertici della gerarchia della Chiesa, uno più in alto dello stesso Papa, ci fu un prelato che disse: “Bisogna contestualizzare”. Frase infelice che non portò bene né a Berlusconi, né al suddetto prelato. Perdonare va bene, ma la Perdonanza è altra cosa: quell’anno il portone di Santa Maria di Collemaggio restò chiuso all’impudente, e fu una decisione definitiva.
Fu l’inizio del declino dopo anni di potere, leggi ad personam, processi condanne assoluzioni prescrizioni, vertici internazionali, governi, vittorie sconfitte dileggi fatti e subiti, campagne più o meno di odio o di denigrazione – magari in entrambi i sensi – litigi con l’Europa e lettere alla Bce. Eredi designati e fagocitati, comunisti stigmatizzati se italiani ed esaltati se cinesi, guerre in Medioriente e Barack che è giovane alto e abbronzato.
Con Scalfaro
Ma ancora prima si soffermarci su questo punto, apriamo una parentesi. Non è esatto fino in fondo sostenere che, nel trentennio berlusconiano, tutti gli altri furono comprimari. Uno ci fu, che lottò con il Cavaliere alla pari, se non dal punto di vista delle televisioni certamente da quello della fermezza di carattere e del convincimento. Ciò che segue intende essere un breve accenno ad Oscar Luigi Scalfaro. Lo scontro tra lui e Berlusconi fu più intenso e più profondo di quanto ci si possa ancora adesso immaginare.
I due si confrontarono con la stessa determinazione che traspare dalle pagine di Sallustio, quando descrive il duello in Senato tra un Cesare legato a Catilina e un Catone l’Uticense disposto a tutto pur di salvaguardare la Repubblica. Finì con Scalfaro che, dopo otto mesi di primo governo Berlusconi, metteva graziosamente il Cavaliere alla porta. Non gli sarebbe stato perdonato. Tra Catone e Cesare aveva vinto il primo, come all’epoca di Catilina. Però, come all’epoca di Catilina, la Repubblica venne magari salvata, ma da allora non sarebbe stata più la stessa.
Le Olgettine e il declino
A dare il via al declino di Berlusconi fu il caso delle Olgettine, ma la prova palmare della prossimità del tramonto la si ebbe con le elezioni del 2018 ed un giovane burbanzoso che pretende di parlare lui, al termine delle consultazioni che sfoceranno nel governo di Movimento 5 Stelle e Lega con l’esclusione di Forza Italia. Quando Salvini si avvicina al microfono, da solo, tutti i presenti hanno la sensazione che un’epoca si stia chiudendo, e pazienza se un Berlusconi relegato in seconda fila si lascia andare alle sue doti di mimo (aveva anche quelle).
Il Cavaliere – cosa rara per lui – è alla rincorsa. Non guida la carica, cerca faticosamente di tornare alla guida del plotone. Non ci riuscirà più: né con l’appoggio strategico al governo Monti, tantomeno con l’ultimo, estremo tentativo di completare i suoi sogni ed avere l’unica cosa che ancora gli mancava, cioè la Presidenza della Repubblica. Fu riconfermato Mattarella, invece. Uno che, tanti anni prima, aveva lasciato il governo pur di non veder approvata la Legge Mammì.
Ma sono gli ultimi fuochi, o meglio l’accensione di un televisore analogico quando tutti in casa ne hanno di digitali al plasma. E quel suo contare fino a dieci, alle spalle di Salvini, più ancora dei sondaggi ingenerosi, di una giovanotta Presidente del Consiglio e dell’età stessa, che avanza, segnò il cambiamento irreversibile.
Meglio: segnò la fine delle trasmissioni.