Non serve citare Dostoevskij o Freud per riflettere sul sentimento di guerra che albeggia in ciascuno di noi. Campeggia in cento rappresentazioni letterarie e pittoriche. Si annida anche nell’immaginario collettivo di famosi motivi canori. Tutt’é tre gli stadi del sentire e della riflessione poetante si connettono nello spettacolo di Gloria Zarletti alla Biblioteca Comunale di Mentana, sabato 17 giugno a Mentana.
Con lei le canzoni d’autore interpretate da Alessandro Camilli. Sono tese a dare apparente leggerezza ai temi toccati da Gloria ma anche a riflettere su parole mai banali. Oltre al due canoro-teatrale, da pilastro intellettuale, c’è la storica dell’arte Antonella Avagnano. (Perché l’intellettualità è sempre una versione ottimistica e consolatoria per dare espressione all’aggressività umana).
I conflitti si svolgono innanzitutto dentro ciascuno di noi. Quelli a cui assistiamo in vitro, sia nelle contese condominiali che nelle guerre ancora oggi in atto, ne sono la loro rappresentazione. Lo spirito di sopraffazione che emerge, si s-copre! Ha bisogno di veder soccombere l’altro per dire: io esisto. Ma, a ben guardare, è lo stesso “spirto selvaggio ch’entro mi rugge” ad aver fatto fuori altre parti di me che avrebbero potuto esprimersi al meglio.
E non ha senso menzionare fatti, cose, nello specifico. Ogni concessione al cronachismo o alla auto-celebrazione è cerebrale. Mette al centro gli atti e non sono quelli al centro del contendere. Non ha motivazioni d’essere lo straripamento del vissuto. Devierebbe la narrazione diretta di questo flusso. Non darebbe senso alle cose dette. Si deve guardare alla direzione presa da questa voglia di affermazione sul mondo.
Il trittico canoro-riflessivo-intellettuale messo in scena dal trio Camilli-Zarletti-Avagnano vuole allora invigilare sulla famigerata dinamica non sufficientemente tematizzata come tale. Affermare l’ultima esistenza. Dire che c’è.
Suggerire, forse, che se da una parte è un bene estromettere il proprio vissuto – e capire dove e come si è fatto male e del male – si deve convivere con questa presenza selvaggia. Si tratta di quel qualcosa a cui non potremmo nemmeno dare un nome. Molto meglio vederla raffigurata – in arte visiva, musicale e letteraria, ma soprattutto nella Storia del mondo e in quella personale – per abituarci a prenderne le distanze. Dicendo: io c’ero. Ma io sono qui. E non sono, non posso essere quella cosa lì.